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Caso Chiara Ferragni

Le società di Chiara Ferragni ispezionate dalla Guardia di Finanza per il caso del pandoro Balocco

Il procedimento per pratica commerciale scorretta avviato lo scorso giugno nei confronti di Balocco Industria Dolciaria è stato esteso anche a Fenice srl e TBS Crew, società che fanno capo all’imprenditrice digitale.
A cura di Giulia Turco
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Le società di Chiara Ferragni sono finite nel mirino della Guardia di Finanza per il caso del pandoro Balocco. Lo scorso giugno era stata avviata un’istruttoria per pratica commerciale scorretta nei confronti dell’azienda produttrice del pandoro, che lo scorso inverno è stata coinvolta in una campagna di beneficenza in favore dell’ospedale Regina Margherita. Ora, il procedimento è stato esteso anche alle due società che fanno capo all’imprenditrice digitale.

Le società di Chiara Ferragni coinvolte nel caso Balocco

Ansa fa sapere che il procedimento avviato nei confronti della Balocco Industria Dolciaria, in reazione all’iniziativa commerciale denominata ‘Chiara Ferragni e Balocco insieme per l’Ospedale Regina Margherita di Torino’, è stata estesa anche a Fenice srl e TBS Crew. La prima, nello specifico, è la società che detiene Chiara Ferragni Brand e che si occupa del business legato a tutte le licenze legate al marchio. Di recente è stata valutata complessivamente 75 milioni di euro. L’autorità garante della concorrenza e del mercato fa sapere in data 19 luglio che i funzionari Agcm hanno svolto ispezioni nelle sedi di entrambe le società dell’influencer, con l’ausilio del Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza.

L’istruttoria per pratica commerciale scorretta

I pandori ad edizione limitati sono stati annunciati lo sorso inverno anche e soprattutto grazie alla sponsorizzazione di Chiara Ferragni tramite le sue pagine social. La campagna intendeva sostenere la ricerca sull’osteosarcoma e sul sarcoma di Ewing, a favore dell’ospedale Regina Margherita di Torino. Secondo l’Agcm tuttavia, le modalità con le quali è stata presentata l’iniziativa potevano indurre in inganno il consumatore, facendo leva sulla sensibilità per incrementare gli acquisti e dunque sostenere la causa. In realtà però a quanto pare Balocco aveva già stabilito mesi prima del lancio del prodotto una cifra fissa da devolvere in beneficenza.

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