La caccia al patriarca ha un nuovo obiettivo. Paolo Bonolis ha chiamato il “Maestro” (lo ha detto al Corsera che preferisce essere chiamata così) Francesca Perrotta solamente “signora”. Andava utilizzato quanto meno ‘direttrice d’orchestra’, come precisato dalla stessa in diretta. Solo pochi secondi più tardi Bonolis, che aveva evidentemente accusato il colpo, è riuscito anche a fare peggio scherzando con una percussionista (l’orchestra era di sole donne) dicendole che era molto sexy. “Mi percuote l’anima”, ha detto.
Tutto chiaro? Paolo Bonolis, sì. Quello che ha il senso dello spettacolo e della frase smisurata, quello che fa da televisione da quarant’anni (e più) riuscendo a usare il grimaldello dell’equivoco, marchio di fabbrica di una comicità sicuramente passata di moda, ma che fa pur sempre parte del nostro bagaglio culturale. Paolo Bonolis, che ad Avanti un altro prende in giro tutti i suoi interlocutori e gioca sempre sul filo, sul limite. Paolo Bonolis, che a Ciao Darwin ancora sberleffa e spernacchia, gigioneggia davanti alla morbosità di tutte le situazioni grottesche che vengono costruite apposta affinché lui possa riderci sopra. Poche ore prima che scoppiasse questo scandalo tutto da ridere, il conduttore a La Stampa l’aveva detto: “La vergogna è negli occhi di chi guarda”.
I fondamentalisti del linguaggio però s’attaccano al solito discorso: “E se davanti a lui avesse avuto un direttore? Avrebbe giocato allo stesso modo?”. Ma certo che lo avrebbe fatto. Magari avrebbe fatto pure peggio, sottolineando qualche difetto fisico, come un caricaturista di Piazza Navona. Ma dico io, come si fa a buttare la croce addosso a un conduttore che ha fatto di questo continuo giocare tra le linee il suo tormentone?
Il punto debole, se di punto debole si tratta, di Paolo Bonolis è forse questo. Lui non riesce a essere diverso da quello che è. Non sa modulare la frequenza sua al contesto e qualcosa non ha funzionato e questo è chiaro. Eppure in passato è stata data prova che creare un contrasto ha portato a risultati più o meno positivi. Penso a Geppi Cucciari che da due anni rianima il Premio Strega grazie al fatto di averne sconquassato la liturgia. Chissà, forse era questo il tentativo di Paolo Bonolis – e magari degli stessi organizzatori – ovvero cercare di rompere le righe della formalità. Chissà, se fosse stata una donna a fare quella battuta, chissà se adesso ne staremmo parlando, chissà in che termini. Tutto sommato, la serata che ha inaugurato Pesaro come Capitale della Cultura 2024 poteva andare molto peggio. C’è stato un ritorno, si direbbe. Meno male, allora, che c’è stato Paolo Bonolis.