Brian Cox, gigantesco attore di nuovo a lustro grazie a Succession, ha sparato a zero su Johnny Depp nel suo memoir In Putting the Rabbit in the Hat. In buona sostanza, l'attore nel parlare dell'offerta rifiutata per far parte di Pirati dei Caraibi nel ruolo del Governatore, poi affidato a Jonathan Pryce, ha affermato che la carriera di Johnny Depp è stata inflazionata dal successo di Edward Mani di Forbice, un ruolo troppo facile: "Con mani come quelle e un trucco del genere, non devi fare nulla. Ammettiamolo!". E da quel momento in poi, una carriera in cui "ha fatto ancora meno".
Ma è davvero così? È possibile che abbiamo vissuto gli ultimi 30 anni, obnubilati da una fascinazione, storditi da un campare di rendita su ruoli via via sempre più facili? Se lasciassimo parlare i riconoscimenti della sua filmografia, la risposta è "probabilmente sì". Tanti ruoli, tanti grandi film acclamati dal pubblico e che hanno fatto incetta al botteghino, ma ben poche candidature che contano e ancor meno premi. Per gli Oscar, Johnny Depp è impalpabile: tre sole candidature nel 2004, 2005 e 2008 per La maledizione della prima luna, Neverland – Un sogno per la vita e Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street. Per questo musical, riesce a portare a casa l'unico vero premio che conta, il premio come Miglior attore in un film commedia o musicale ai Golden Globe del 2008. Anche in questo caso, uno come Brian Cox potrebbe dire che sarebbe riuscito a farlo benissimo senza guardare e con le mani legate dietro la schiena.
Il meglio della carriera di Johnny Depp si esprime tra la metà degli anni Novanta e i primi anni del Duemila con ruoli che hanno contribuito a creare un legame fortissimo con il pubblico: Buon compleanno Mr. Grape, Ed Wood, Don Juan de Marco – Maestro d'Amore. La storia vera di Joe Pistone in Donnie Brasco, accanto a un mostro sacro come Al Pacino, gli regala l'investitura a stella dei gangster movie che si sublima qualche anno più tardi in un'altra storia vera, quella di George Jung in Blow di Ted Demme, e in una frase che oggi è la più abusata nelle didascalie social: "Che tu possa avere sempre il vento in poppa, che il sole ti risplenda in viso e che il vento del destino ti porti in alto a danzare con le stelle".
Nel mezzo, tra Donnie Brasco e Blow, film mica da poco: Paura e delirio a Las Vegas – il migliore a parere di chi scrive, dove c'è una corrispondenza perfetta tra attore e personaggio. Questo lo pensavo con maggiore convinzione da giovane studente universitario. Con l'età adulta, sono consapevole del fatto che Terry Gilliam abbia scritto e diretto film decisamente più interessanti – La nona porta, Prima che sia notte, Chocolat e From Hell – La vera storia di Jack lo Squartatore. Tutti film per cui siamo stati fieri di esibire ad amici e parenti la tessera di Blockbuster.
Ogni personaggio dei film citati ha contribuito rinsaldare l'immagine di "bello e maledetto" del cinema, immagine che poi non è più riuscita a scrollarsi di dosso, fino a risultare estremamente patetico in prove come Nemico pubblico, The Tourist, Dark Shadows fino a quelle dell'ultima decade, assolutamente inguardabili e a cui si fa davvero fatica a starci dietro – da Trascendence fino al più recente Waiting for Barbarians. Quello che manca tuttora, che forse mancherà per sempre, è il ruolo della maturazione, quello che definisce una nuova esistenza e porta un attore a scendere finalmente a patti nel rapporto con il tempo che passa, fuori e dentro dal set. Servirebbe estrema serenità. Uno come Johnny Depp non è fatto per la serenità. Johnny Depp ha vissuto di fiammate, ha il suo personalissimo ritratto di Dorian Gray custodito in soffitta. Uno come lui è semplicemente destinato a specchiarsi nei suoi demoni per l'eternità. Forse ha ragione Brian Cox.