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Funerali Franco Di Mare, l’omelia: “Non si è mai disperato per la malattia, la sua vita non è finita”

Il testo dell’omelia di Don Walter Insero ai funerali di Franco Di Mare, il giornalista Rai morto a 68 anni per mesotelioma. L’ultimo saluto oggi nella Chiesa di Santa Maria in Montesanto in Piazza del Popolo a Roma.
A cura di Gaia Martino
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Si è tenuto oggi il funerale di Franco Di Mare, il giornalista Rai morto a soli 68 anni lo scorso 17 maggio, colpito da mesotelioma. Come aveva dichiarato a Che tempo che fa a fine aprile, confidava nella ricerca e sperava che nuove cure potessero riuscire a salvarlo. Dopo aver combattuto tra la vita e la morte, purtroppo il tumore non gli ha dato scampo. Nella chiesa di Santa Maria in Montesanto (Chiesa degli Artisti) in Piazza del Popolo, a Roma, sono accorsi parenti, amici e colleghi per l'ultimo saluto in questo pomeriggio di lunedì 20 maggio. Questo il testo dell'omelia di Don Walter Insero.

L'omelia di Don Walter Insero per Franco Di Mare

Alle ore 14 è iniziata la celebrazione del funerale di Franco Di Mare. Il vescovo Don Walter Insero, dopo la lettura del Vangelo, ha letto l'omelia:

Gesù dice "non sia turbato il vostro cuore", prima della Passione. Queste parole sono un balsamo per noi. Come si può non turbare il nostro cuore, visto il lutto che viviamo? E Gesù rivela, nel momento più drammatico della sua vita, di non essere preoccupato per la sua sorte ma per quella dei discepoli perché la Parola seminata può vacillare. Il cuore può non essere turbato, può non cadere nella disperazione se mantiene fiducia e Fede in Dio, nella sua opera, nel suo progetto. "Nella casa del Padre mio crescono molte dimore". Gesù ci conferma che c'è posto in Paradiso. Questa è una grande notizia. Credo sia una delle pagine più consolanti che troviamo nei Vangeli. Gesù stesso ha avuto paura, dinanzi alla sua Passione ma si è fidato di Dio. […] La vita di Franco non è finita. La sua anima continua a vivere e ad amare. Cari familiari, colleghi, amici, questa chiesa non è capiente e non può raccogliere tutto l'affetto e l'amore, la riconoscenza che si manifesta oggi per questo nostro fratello. La nostra vita non finisce con la morte, la morte non si subisce. Si attraversa per andare verso l'eternità. Franco aveva questa Fede. Franco è nato a Napoli il 28 luglio 1955, da papà Alfonso e mamma Maria. Lo abbiamo conosciuto e apprezzato per le sue doti, per la sua carriera giornalistica, è stato reporter di guerra, scrittore. Lo ricordiamo come un grande amico, uno che amava la cucina, lo sapeva fare da vero chef perché per lui la cucina era amore e condivisione, stare insieme con le persone alle quali volere bene. Amava mangiare e bere bene. Era capace di andare controcorrente. Ha scherzato anche nei momenti più severi della malattia. Ha sempre avuto la battuta, sdrammatizzando cercando di portare leggerezza e per non aggravare, per non pesare con il dolore che provocava negli altri. È stato un uomo che non si poneva limiti. Mi ha colpito ascoltare le tante testimonianze, di conduttrici, giornalisti e giornaliste di successo oggi, che hanno grande riconoscenza perché hanno fatto una scuola vera con lui. Un apprendimento che si fa in studio, imparando il mestiere da un maestro che lo è anche nella vita. Un maestro che sa vivere e che ha grande rispetto per i suoi collaboratori, oltre che per il pubblico. Franco ci ha raccontato le guerre degli ultimi trent'anni, tranne gli ultimi conflitti. Ci ha raccontato, con grande umanità, il mistero dell'umano. Riusciva, nelle atrocità che ha visto e ha documentato, a trovare una chiave, una cifra umana per raccontare l'umanità. Ricordo una volta che Franco mi raccontò di aver avuto un'esperienza nella guerra dei Balcani nel 92. Assistì a un omicidio, un colpo di mortaio che uccise dei bambini. Tutto questo dolore ti segna e lui mi disse: lì ho sentito che la mia Fede ha vacillato. Poi mi disse: ho capito che in quella esperienza, in cui c'è una mano che produce la morte, lì non c'è Dio, lì non è Dio. La domanda più giusta a quel punto è: dov'è finito l'uomo? Perché non c'è più l'uomo in quell'agire. La libertà dell'uomo può operare il male. Franco era un uomo sempre elegante, fino al giorno del suo matrimonio. Un uomo generoso, che esprimeva un senso di affetto protettivo verso gli altri. Se poteva aiutarla, si faceva in quattro. Un uomo profondamente generoso, tutti lo potete testimoniare. È stato lucido, come abbiamo visto quando ha annunciato la prova che stava vivendo, ha affrontato la malattia mai da disperato, con la forza dei cari che non l'hanno mai fatto sentire solo. Ha dato coraggio a lui, agli altri, mi ha raccontato Franco che aveva frequentato una parrocchia di Fuorigrotta, raccontava come in quel quartiere era cresciuto, con le attività dell'oratorio. Franco mi disse che nel giubbotto antiproiettile custodiva un'immagine della Madonna di Fatima, sapere di averla sapevo di avere la tolleranza, l'accoglienza, quello che ha a cuore una mamma. Tra gli orrori della guerra, lui riusciva sempre a trovare un'oasi di pace e dolcezza nelle chiese e sperava che l'intervento di Maria potesse riportare la pace e la riconciliazione in quelle zone. Lui diceva, da uomo sincero, "noi andiamo tutti in Purgatorio". Non pretendeva il Paradiso, diceva "speriamo che lì avremo unione di intenti, ritrovarci insieme con le persone amate". Franco è sicuramente coi suoi genitori, coi suoi nonni, con le persone amate che sicuramente l'hanno accolto. Quando ci lascia una persona cara è un distacco fisico e temporaneo. Franco non ci ha abbandonato, non avrebbe voluto ovviamente, ma rimane l'amore che continua a comunicare attraverso la sua anima. Quest'amore non è finito.

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