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Francesco De Carlo che ti dà del molestatore in impermeabile, ecco il senso della stand up comedy

Cronaca di quello che può accadere in un teatro se uno stand up comedian di razza come Francesco De Carlo individua tra il pubblico un tizio vestito in modo strano e un ragazzo di 13 anni che assiste a un monologo che parla di sesso, religione e non disdegna la blasfemia.
A cura di Andrea Parrella
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Indossare un impermeabile è una scelta azzardata, è una verità antica. Il pericolo che l'immaginazione altrui atterri subito sulle associazioni che riguardano questo capo d'abbigliamento è altissimo. Indossarlo a una serata di stand up comedy può diventare una specie di condanna e Francesco De Carlo non ha fatto passare 30 secondi prima di catalogarmi come il molestatore della platea del suo spettacolo di Napoli, al teatro Trianon.

Lo capisco, avrei fatto anch'io al posto suo e lascerò ad un libro di confessioni alla fine della mia vita il racconto di cosa si provi a rientrare tra i molestatori del pubblico scelti da De Carlo come sparring partner involontari in ogni tappa del suo tour, ma credo fosse importante partire da qui per evidenziare un aspetto cruciale che deve caratterizzare una performance di stand up, ovverosia quel principio di complicità che induce il pubblico a sentirsi dentro un'esperienza di racconto.

Il ragionamento che sta alla base di "Bocca mia taci", questo è il titolo dello show che De Carlo porta in giro per l'Italia e che si chiuderà con l'ultima tappa del 15 maggio a Napoli, ha come sottotesto un'allusione ai cliché contemporanei del non si può dire più niente e del politicamente corretto. Per chiunque faccia comicità in questo periodo storico di rottamazione delle idee e dei linguaggi corrisponde al nutrimento quotidiano di uno/a stand up comedian. Non credo sia solo una mossa scaltra per attaccarsi a un tema di attualità, è più che altro un'operazione inevitabile per sondare il terreno e chiarire le regole d'ingaggio con il pubblico, il contratto tra chi sta sul palco e le persone che siedono in platea.

De Carlo sonda, chiarisce il contesto, premette e poi parte, senza pietà. Perché non bestemmiamo di più?/"In fondo il pubblico ha rotto i coglioni"/"abortire non dovrebbe essere un diritto ma un obbligo". È questo il registro di iperboli e parossismi in cui si muove il comico romano, che a un certo punto scopre in platea un ragazzo di 13 anni, reduce da una lezione di religione il giorno prima e quindi preparato sulla domanda di De Carlo in merito ai comandamenti. Il trauma adolescenziale di aver assistito a questo show diventa così un altro leit motiv comico dello spettacolo, che prende una vita tutta sua, reputando improbabile l'ipotesi che De Carlo abbia assoldato un13enne da portarsi in giro in teatro tutte le sere per fingere sia un caso. Ammetto di sentirmi un po' messo da parte in quanto molestatore, ci avevo presto gusto, ma delusione a parte questo serve a rimarcare una caratteristica ineludibile della stand up comedy: si trasforma. L'errore più grosso è compararla alla psicanalisi, dove c'è uno/una che riversa i suoi drammi ingigantiti a un pubblico di uditori. Non è così. La stand up enfatizza le esperienze personali di chi racconta proprio per diventare contenitori in grado di accogliere chi assiste, facendo sentire il pubblico parte di qualcosa. Per una sera, solo lì.

Affinché questo avvenga ci vuole mestiere, non ci si improvvisa stand up comedian e De Carlo ne è la prova. Lui che è indiscutibilmente un volto di punta della prima generazione di stand up comedian da quando questa forma espressiva ha assunto un rilievo in Italia, porta sul palco la sua destrezza nella gestione dei meccanismi comici, figlia di un trascorso che lo ha visto esibirsi spesso anche all'estero, in un'altra lingua (in inglese) davanti a sensibilità molto diverse dalle nostre. Cosa di cui, tra l'altro, parla nello spettacolo.

Bocca mia taci è la dimostrazione che la stand up non può essere casuale, come molti hanno creduto in questi anni, travolti dall'ebrezza di pensare che bastasse salire su un palco ed esibirsi in turpiloquio per farlo, che questo genere somigliasse a uno sfogatoio per chi non aveva trovato il coraggio di esibirsi prima. Lo spettacolo di De Carlo passa in rassegna, in modo evidentemente volontario, tutti i luoghi comuni della stand up, dalla religione al sesso, la pedofilia, la blasfemia, il porno. Chi è già addomesticato a questo stile di racconto potrebbe quasi intravedere una ricorsività del repertorio, ma De Carlo è soprattutto un comico di razza che conosce i meccanismi emotivi di chi assiste. Sembra vada a braccio ma nulla di quello che fa è casuale. In un certo senso è la dimostrazione del fatto che lo stile comico della stand up, dopo il boom e un'onda anomala della durata di qualche anno, seguita da un effetto saturazione, stia fisiologicamente raggiungendo una condizione di stabilità impermeabile alle fluttuazioni che qualsiasi fenomeno vive, in senso ascendente o discendente. Si sta consolidando una tradizione di questa arte, con i suoi riferimenti, e questa è una buona notizia soprattutto per il pubblico, che va dai molestatori involontari 35enni in impermeabile agli adolescenti di 13 anni. Tutti nello stesso luogo, dove non c'è niente che non si possa dire, a patto che sia chiaro dove ci si trovi.

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"L'avvenire è dei curiosi di professione", recitava la frase di un vecchio film che provo a ricordare ogni giorno. Scrivo di intrattenimento e televisione dal 2012, coltivando la speranza di riuscire a raccontare ciò che vediamo attraverso uno schermo, di qualunque dimensione sia. Renzo Arbore è il mio profeta.
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