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Fabio Maria Damato replica alla nota delle aziende Ferragni: “Non mi hanno licenziato, me ne sono andato io”

Fabio Maria Damato replica alla nota diramata dalle aziende Fenice e TBS Crew del brand Ferragni: “Non mi hanno licenziato, me ne sono andato io”. Poi aggiunge: “Non posso dire niente sul caso pandoro, ma esco stremato da una certa violenza che abbiamo tutti subito, specie Chiara Ferragni”.
A cura di Eleonora D'Amore
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Fabio Maria Damato replica alla nota diramata dalle aziende Fenice e TBS Crew del brand Ferragni: "Non mi hanno licenziato, me ne sono andato io". Poi aggiunge: "Non posso dire niente sul caso pandoro, ma esco stremato da una certa violenza che abbiamo tutti subito, specie Chiara Ferragni".

La versione di Fabio Maria Damato: i saluti iniziali

Domani sarà il mio ultimo giorno da General manager di TBS Crew e Chiara Ferragni brand e per questo voglio ringraziare tutti i professionisti che con la loro esperienza e umanità hanno voluto affiancarmi in questa avventura. Oltre, ovviamente, a Chiara Ferragni che più di sette anni fa mi ha chiamato a supportarla nell’evoluzione del suo progetto di business credendo nella mia visione. Ringrazio anche tutti i talent che ho seguito nella loro evoluzione, da Marina Diguardo a Francesca e Valentina Ferragni, ma anche Pietro Terzini, Manuele Mameli e Luca Vezil.

Le dimissioni a febbraio e il caso pandoro Balocco

Lo scorso febbraio, infatti, dopo attente e inevitabili riflessioni, ho deciso di dare le dimissioni (quindi no, non sono stato licenziato) dalle aziende con cui ho condiviso un percorso professionale incredibile, e per le quali  negli anni ho dato tutto me stesso in termini di assoluta dedizione, idee, cuore e testa, sempre onorando i valori di onestà e correttezza che mi contraddistinguono. A dimostrazione di questo ho accolto fino alla fine le necessità delle società che mi hanno chiesto di restare fino a giugno, nonostante le operazioni di comunicazione poste in essere dal 17 dicembre 2023 in avanti non hanno visto il mio coinvolgimento. Non mi è permesso in questo momento entrare nel merito del caso pandoro ma essendo diventate pubbliche alcune email insistentemente a me attribuite, devo precisare come nessuna di queste email fosse mia.

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Lo sfogo: "Esco stremato dalla violenza che abbiamo subito tutti"

Resto però amareggiato per come questa vicenda abbia messo in ombra anni di duro e onesto lavoro fatto dalle società e dalle persone coinvolte. Un lavoro sempre in salita, costellato di tanti ostacoli e altrettanti successi, che chiunque si ritenga intellettualmente onesto non può attribuire solo al caso e alla fortuna. Mi ferisce la sofferenza inflitta ai dipendenti di tutte le società che si sono sentiti attaccati pubblicamente e hanno visto messe in pericolo le aziende per cui lavorano e di conseguenza i loro posti di lavoro. Esco stremato da una certa violenza che abbiamo tutti subito, specie Chiara Ferragni che ho sempre rispettato come persona e capo e per la quale l’onestà, la dedizione e l’affetto che ho dedicato nessuno potrà mai mettere in discussione.

I guadagni: "Cifre inventate e nessuna liquidazione aggiuntiva"

Nei mesi ho letto una certa ossessione circa in miei presunti incredibili guadagni. Purtroppo (per me) non solo le cifre circolate sul mio stipendio di lavoratore dipendente sono lontane dalla realtà, ma non ho nemmeno percepito da membro dei due consigli di amministrazione quei fantastici compensi di cui si scrive, perché sono ruoli che ho ricoperto a titolo gratuito fino alla mia uscita volontaria. Per finire nel segno della coerenza al momento delle mie dimissioni volontarie da tutte le cariche non ho richiesto nessuna liquidazione aggiuntiva, tantomeno da 4 milioni di euro e nulla in più mi è stato versato se non gli oneri previdenziali spettanti di legge a qualsiasi lavoratore dipendente.

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La scelta del silenzio fino alla volontaria uscita dal brand Ferragni

In questi mesi difficili non ho mai replicato a provocazioni o a informazioni errate circolate sul mio conto perché da dipendente credevo non fosse corretto farlo visto il rispetto per le persone, le gerarchie e per le aziende per cui ho lavorato. Ma oggi è opportuno anche rettificare come la mia uscita sia stata una scelta autonoma e volontaria, e non, come diffuso dall’azienda, che il “cambiamento fa parte di un percorso di rinnovamento aziendale”. Grazie.

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