Chi era Daniela Shualy, moglie di Raiz degli Almamegretta e madre di sua figlia Lea
Con un post pubblicato su Facebook, gli Almamegretta hanno annunciato la scomparsa di Daniela Shualy, moglie di Raiz. Risaliva ad appena qualche giorno fa l’ultimo post pubblicato dal cantautore su Instagram, dedicato proprio alla moglie. “Quanno ‘o veco, nun ‘o credo, nun me pare overo ca ‘a cchiù bella d’’e Quartieri fa ammore cu’ mme. Stasera su Rai2 h 21.00 finale di stagione per Mare Fuori 4. La mia dedica personale va a Daniela Shualy, madre della mia rosa Lea e amore di una vita”, aveva scritto Raiz, all’anagrafe Gennaro della Volpe, ricordando ai fan il finale di stagione della serie Rai nella quale interpreta il ruolo di don Salvatore Ricci. Ma la parte più significativa del post era quella dedicata alla moglie Daniela, l’amore di una vita.
Raiz e Daniela Shualy vivevano tra l’Italia e Tel Aviv
Daniela Shualy, moglie di Raiz, aveva origini italo-israeliane. Fu proprio l’incontro con la donna a segnare la scelta dell’artista di convertirsi all’ebraismo, benché lo stesso Della Volpe avesse antenati ebrei. I nonni di Daniela Shualy, di origini ungheresi, si erano sposati dopo essere rimasti vedovi sopravvivendo alla prigionia nei campi di sterminio. Terminata la guerra, si sposarono a Varsavia ma poi decisero di tornare in Israele per ricominciare lontano dagli orrori vissuti. Costruirono una casa affacciata sul mare appena fuori Tel Aviv, casa rimasta in eredità a Daniela che ci viveva per parte dell’anno insieme al marito Raiz e alla loro bambina. La coppia si è divisa a lungo tra roma e Tel Aviv.
La malattia e la canzone che Raiz dedicò alla moglie
Nel 2022, Raiz raccontò in un’intervista di avere dedicato la canzone Make it Work proprio alla moglie che stava combattendo contro un tumore al seno: “Make it Work è da incoraggiamento per mia moglie e per tutte le persone che stanno affrontando la sua stessa situazione, il brutto male… Nessuno ha il coraggio di chiamare il cancro con il suo nome: brutto male, come se poi esistesse un bel male. Come il diabete o il raffreddore, è giusto chiamarlo con il suo nome per sapere bene con chi si ha a che fare. È la prima cosa che insegnano ai malati di cancro appena prendono coscienza della malattia”.