Si ragiona spesso della cesura che si è prodotta nel corso degli anni tra la televisione generalista e il pubblico, prevalentemente quello più giovane. È accaduto che a un certo punto, un momento senza una data precisa, abbia iniziato a diffondersi un sentimento di scetticismo verso il mondo (ed il modo) rappresentato dalla Tv. Se c'è un volto televisivo che meglio di altri rappresenta questa crisi di fiducia, la risposta è Bruno Vespa.
La questione non ha a che fare con le competenze, sia ben chiaro, né con la storia professionale di un personaggio che ha segnato l'ultimo trentennio del piccolo schermo italiano con un programma televisivo – Porta a Porta – in grado di segnare con istantanee ben precise dei fatti storici di enorme rilevanza. Non è neanche quella cintura nera in equilibrismo politico necessario a chiunque intenda lavorare con continuità in Rai di cui il giornalista sembra detentore. E spirito di sopravvivenza e, semmai, la colpa è qui da attribuire alla Rai e a come funzioni.
Il problema legato alla pretesa di onnipresenza di Bruno Vespa, la sensazione di trovarsi davanti a qualcuno che non intenda cedere il passo. Vespa non solo lo mostra, ma lo rivendica senza alcun imbarazzo. "Sarà il padreterno a decidere quando mi ritirerò", dice in un'intervista al Corriere della Sera a un passo dagli 80 anni, lasciando intuire che di farsi spontaneamente da parte non ha la minima intenzione.
La cifra di Vespa, d'altronde, non può che essere questa: esserci sempre e comunque, entrare nell'immaginario per effetto di abitudine. Non essendo mai stato particolarmente incline alla simpatia (non è la prerogativa di un giornalista, d'altronde), né troppo amato dal pubblico come potevano e possono esserlo altri decani della Tv, Vespa ha fatto del presenzialismo la chiave di ingresso nella storia del piccolo schermo.
È bene chiarire che una rottura tra la Tv e gli spettatori si è verificata, manco a dirlo, con il proliferare delle piattaforme digitali, che nella loro fase di gestazione sono state un laboratorio in cui si è progettato l'attentato all'autorevolezza della televisione, il mezzo che da uno arrivava a tanti, emblema dell'era che molti volevano lasciarsi alle spalle. I linguaggi cambiano, la realtà si evolve, ma la televisione finge di non accorgersene. È questo il luogo mediatico dove si percepisce meno il concetto di imbarazzo, forse perché è proprio lì che l'imbarazzo trova spesso casa. Negli anni in cui succedeva tutto questo Bruno Vespa era della Tv generalista italiana un pilastro imprescindibile, la famosa "terza camera" che definiva il potere di Porta a Porta. Un marchio che è rimasto, nonostante la metamorfosi subita dalla televisione negli ultimi quindici anni. È lì, immarcescibile, resistente a tutto.
Ora, per chi c'è sempre stato e vuole continuare ad esserci, c'è possibilità di accreditarsi presso gli altri in due modi: come grande saggio, adorato, oppure chi, testardamente, non accetta di non essere indispensabile. Inutile dire in quale delle due direzioni sia andato Vespa, altrimenti non stareste leggendo questo articolo.
A furia di raccontarsi che esserci tutte le sere conti più di ogni altra cosa, Bruno Vespa finisce per essere protagonista in un solo mese di due immagini clamorose, dal dibattito con soli uomini sul tema dell'aborto all'associazione al Vesuvio per la situazione bradisismica ai Campi Flegrei che col Vesuvio non ha niente a che vedere. Due cose dimenticabili per chi non le nota, due indizi che non fanno una prova, due errori sì eclatanti ma plausibili nella prassi quotidiana, che sono però esempi plastici (un aggettivo a caso se si parla di Porta a Porta) di qualcosa che va oltre la sciatteria e diventa paradigma della distanza siderale tra quello che la Tv è e quello che potrebbe essere. Due mattoni in meno per quel ponte, già precario, tra la televisione e i telespettatori di domani.
C'è di peggio in Tv, si dirà, e forse è vero. Sono però le fondamenta a mostrare lo stato di salute di un edificio e Vespa della Tv generalista è stato ed è un'indiscutibile colonna della Tv italiana.