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Addio a David Lynch, il “James Stewart venuto da Marte” che con Twin Peaks rivoluzionò cinema e TV

In 79 anni esatti si racchiude l’esistenza di David Lynch, il “James Stewart venuto da Marte”, come lo aveva definito un’altra leggenda della cinematografia stelle e strisce, Mel Brooks. Da The Elephant Man a Twin Peaks passando per i capolavori di Mulholland Drive e Strade Perdute, ecco com’è diventato uno dei più grandi registi fra i grandi del cinema statunitense.
A cura di Andrea Bedeschi
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Missoula, Montana, 20 gennaio 1946. Los Angeles, California, 16 gennaio 2025. In questi quasi 79 anni esatti si racchiude l'esistenza di David Lynch, uno dei più grandi fra i grandi del cinema statunitense, morto a soli 78 anni. Il James Stewart venuto da Marte, come lo aveva definito con un'espressione che più azzeccata di così non si può, un'altra leggenda della cinematografia stelle e strisce, Mel Brooks.

I destini dei due artisti si sono incrociati nel 1980 con The Elephant Man, il secondo dei dieci film diretti dal regista da poco scomparso nel corso della sua carriera. È quello dedicato alla vera storia di Joseph Carey Merrick, noto come l'Uomo elefante, un cittadino britannico vissuto fra il 1862 e il 1890 tragicamente divenuto celebre per la rarissima malattia di cui soffriva, la sindrome di Proteo, che gli causò deformazioni fisiche di enorme entità e gravità.

Brooks negli anni settanta aveva ormai definitivamente scalato la vetta di quella montagna chiamata “celebrità” grazie alle sue immortali commedie e stava esordendo anche come produttore in quel periodo. Decise di produrre The Elephant Man dopo che sua moglie, Anne Bancroft, la signora Robinson del Laureato, gli fece leggere la sceneggiatura. E si convinse ad affidare la direzione proprio a Lynch dopo aver visto il suo film d'esordio, Eraserhead – La mente che cancella.

John Hurt in "The Elephant Man"
John Hurt in "The Elephant Man"

Un film in bianco e nero, girato nell'arco di cinque anni, che ha sostanzialmente inaugurato il filone del body horror (David Cronenberg e Clive Barker sarebbero arrivati poi), di cui è quasi impossibile sintetizzare la trama – venne giudicato come impossibile da distribuire – ma che una volta visto resta impressionato a fuoco nella mente di chi lo ha guardato. Perché già con Eraserhead – La mente che cancella, uscito nel 1977 quando il suo autore aveva appena 31 anni, venivano poste le basi di un modo di girare film che sarebbe presto diventato un aggettivo, come accade solo ai più grandi.

Lynchiano è da decenni l'epiteto che viene adoperato per descrivere quei lungometraggi in cui i confini della realtà sfumano tanto da sfociare in quelli del sogno – o dell'incubo – dove non c'è alcun apparente filo logico fra le varie immagini che si susseguono… se non quello che viene intessuto dall'inconscio. The Elephant Man ottenne ben 8 candidature agli Oscar nel 1981 senza vincere in alcuna categoria. Ma una nuova stella del cinema americano era nata.

Un corpo celeste che è sempre stato entità a sé anche all'interno di quel nutrito ed eterogeneo manipolo di “movie brats”, i registi di quella Nuova Hollywood che fra gli anni settanta e i primi anni ottanta avrebbero dominato la scena. Dopo il trionfo di The Elephant Man è arrivato quello che, ad oggi, è il suo flop più grande, Dune, pellicola voluta da un Dino DeLaurentiis deciso a cavalcare l'onda del trionfale Star Wars ma che è poi miseramente naufragata per la turbolenta relazione fra il regista e DeLaurentiis.

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Per il filmmaker però, che nel corso della sua attività ha spesso lavorato più volte con i suoi attori, fu l'inizio del sodalizio con quello che è poi diventato il suo attore feticcio, Kyle MacLachlan. Che avremmo poi ritrovato in Velluto blu e nei panni dell'agente Dale Cooper de I segreti di Twin Peaks. Già, proprio quella serie Tv concepita da David Lynch insieme a Mark Frost che, a inizio degli anni novanta, ha rivoluzionato il linguaggio stesso della serialità catodica e ridotto il confine fra piccolo e grande schermo, una produzione il cui eco ha attraversato i decenni, da X-Files a True Detective, con una propagazione dell'onda d'urto che, a tutt'oggi, non accenna a perdere intensità. Un mix di generi, horror, commedia, giallo, dramma senza eguali.

E che, anche più di Velluto blu o Cuore selvaggio del 1990, ha stravolto per sempre la maniera in cui i narratori di Hollywood, e il pubblico, avrebbero guardato le stranezze e la malvagità che poteva nascondersi nella provincia statunitense. Venticinque anni dopo la messa in onda delle due stagioni, Lynch e il suo socio, Frost, hanno dato forma a una terza stagione che, in un panorama ormai standardizzato e schiavo dell'algoritmo delle piattaforme streaming come quello di oggi, è riduttivo etichettare come “un oggetto anomalo”. Anche rispetto agli standard abituali di Lynch e di Twin Peaks. Ma che resta una delle più interessanti e lucidamente folli riflessioni sull'origine del Male, quello con la M maiuscola.

Nell'arco di 14 anni, fra il 1992 e il 2006, ha diretto cinque film, dal discusso Fuoco cammina con me, prequel di Twin Peaks che inizialmente deluse tutti, ma che col tempo è stato giustamente rivalutato, Strade perdute (Lost Highway), Una storia vera, Mulholland Drive e Inland Empire. Poi lo stop.

La sua ultima incursione sul grande schermo è come attore in The Fabelsman, la pellicola semi-autobiografica di Steven Spielberg del 2022. Il filmmaker ha voluto il suo collega e amico nei panni di un'altro gigante del cinema, John Ford perché era la persona più adatta per interpretare un autore al temperamento particolare come Ford. Ha dovuto insistere un po' per convincerlo, ma, alla fine, David Lynch ha accettato a una condizione: il ricevere una busta grande di Cheetos, il famoso snack alla farina di mais a base di formaggio di cui era ghiotto.

Una carriera, quella di Lynch, che è difficile racchiudere in uno schema di comodo. Una personalità che si merita davvero quell'aggettivo, poliedrico, che così spesso viene usato a sproposito. È stato regista, attore, sceneggiatore, produttore, scenografo, progettista del suono, ma anche produttore di miscele di caffé, pittore, fumettista – come dimenticare la sua striscia The Angriest Dog in the World (Il cane più arrabbiato del mondo) pubblicata sulle pagine del LA Reader fra il 1983 e il 1992 – e conduttore di un personalissimo bollettino meteorologico sulle condizioni meteo di Los Angeles.

Ufficialmente, la sua esistenza terrena è terminata il 16 gennaio del 2025. Ma siamo sicuri che, prima o poi, lo ritroveremo, magari mentre parla al contrario, seduto su una poltrona di qualche misteriosa loggia situata chissà dove nello spazio e nel tempo.

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