Vladimir Randazzo di UPAS: “Dovevo fare il medico, il teatro mi ha stregato. Nunzio potrebbe avere rimpianti con Rossella”
Tra i giovani protagonisti di Un Posto al Sole, Vladimir Randazzo è senza dubbio colui che è riuscito a compiere, passo dopo passo, una scalata che lo ha fatto sedere comodamente nel salotto dei volti preferiti dal pubblico. Il suo personaggio, quello di Nunzio Cammarota, si era allontanato dalla soap per qualche anno e il suo ritorno, sebbene in principio guardato con sospetto, ha regalato alla fiction di Rai3 non pochi risvolti narrativi. Il 6 agosto, l'attore siciliano compirà 30 anni, età di bilanci, compromessi da accettare, ma anche di desideri realizzati e altri ancora da realizzare tra cinema, teatro e ovviamente televisione. Quando ci sentiamo, al telefono, è nella sua terra dove torna di rado: "È stata una fuga, giusto quattro giorni, poi si torna sul set per girare le ultime settimane". Ma i sacrifici non lo spaventano, anzi, è pronto ad affrontare nuove sfide, grato di aver avuto la possibilità di farsi amare attraverso uno dei prodotti più iconici della tv: "Molti parlano della qualità di Un posto al sole, ma è una macchina complessa, a suo modo perfetta, ma soprattutto unica nel suo genere".
Siciliano, con origini rumene, vivi a Roma e lavori a Napoli. C'è un posto che senti davvero casa?
Gli attori sono un po' nomadi, ma Roma ho iniziato a sentirla casa. Vuoi per l'abitudine di vederla, attraversarla ogni giorno, vuoi perché molti dei miei colleghi di Accademia vivono qui e abbiamo creato un gruppo coeso. Ho anche comprato casa con la mia compagna, la mia vita professionale e affettiva è di fatto a Roma. Però il luogo del cuore è sempre quello d'origine, quindi casa mia al mare, la mia casa in città (a Ragusa ndr.), dappertutto spuntano ricordi.
Quindi il trasferimento a Roma diventa una necessità.
È stata una decisione dettata dalle possibilità, anche immaginarie, che mi si sarebbero potute aprire. L'Accademia del dramma antico di Siracusa, mi ha dato uno sbocco professionale immediato, perché siamo sempre stati coinvolti nelle rappresentazioni, però già dal secondo anno strizzavo l'occhio al cinema, alle serie. Facevo già all'epoca provini a Roma, era un investimento tra aereo, alloggio e il mio obiettivo era stare su piazza, ma farsi conoscere è complicato.
Cos'è che hai trovato difficile?
Quello dell'attore è un lavoro di dedizione, speranza, ma anche di porte in faccia. Potrà sembrare banale, ma la vera fatica è resistere.
C'è stato un momento preciso in cui hai capito che la recitazione poteva essere qualcosa di più di un hobby?
Più o meno alla fine del liceo, ero in dirittura d'arrivo per il test di medicina, quello sarebbe stato il mio percorso. Poi, però, ho frequentato tanti laboratori teatrali mentre ero a scuola. All'ultimo anno, poco prima della maturità, abbiamo visto un ciclo di rappresentazioni classiche a Siracusa, quell'anno c'era Edipo Re di Sofocle, forse il plot più nobile della cultura classica e lì sono rimasto folgorato. Forse ero pronto ad accogliere quello che voleva dirmi. Avevo studiato gli ultimi due anni con i libri di anatomia, di fisiologia, che sono letteralmente scomparsi in un qualche settimana. Così mi sono cimentato in questa avventura, un salto del buio che ha cambiato i miei piani.
Hai iniziato col teatro, ti manca l'adrenalina del palco?
Da quattro anni non ho più tempo di farlo. Il teatro ha tempi di produzione molto più lunghi, che non mi permettono di far combaciare il lavoro sul set, però mi riprometto sempre di cercare progetti che mi consentano di tornare sul palcoscenico. È una delle emozioni più belle mai provate in vita mia.
I tuoi inizi sono in Sicilia e sei finito a lavorare a Napoli, ma hai preso parte anche a serie che parlassero della tua terra. Non credi che, ancora adesso, nel raccontare tanto i siciliani, quanto i napoletani, ci sia ancora la tendenza ad assecondare gli stereotipi?
Sfondi una porta aperta. Il bello è che anche lo stereotipo è svilito, pur volendo restituire un mood dialettale, un ambiente culturale, gestuale, tipico di quella terra, calcando quindi un'idea stereotipata di quel luogo, si reclutano poi attori che non sono nemmeno di quel posto, anche perché spesso si pensa solo al profitto. In Sicilia si tende sempre a parlare di un determinato aspetto, per quanto sia importante farlo, forse a Napoli sapete difendervi meglio, siete più orgogliosi.
In Un Posto al Sole, in effetti, c'è un racconto più totalizzante. Seppur in una narrazione giornaliera, si raccontano le luci e le ombre della città.
Il creare quotidianamente un ventaglio di possibilità all'interno delle quali il pubblico si può riconoscere, in ogni sfaccettatura, è qualcosa che ha una potenzialità incredibile, insieme alla quotidianità che fidelizza il pubblico. Dentro questa enorme macchina c'è una puntualità e un'originalità nell'affrontare anche gli argomenti più caldi e spinosi, che credo sia la ricetta segreta per durare quasi trent'anni.
Arriviamo, quindi, al ruolo di Nunzio Cammarota. Prima di te, ad interpretarlo c'era Vincenzo Messina, a cui il pubblico era particolarmente affezionato. Hai temuto il confronto?
Sono entrato in punta di piedi, mi sono comportato con riverenza sperando che la direzione presa dal mio lavoro incontrasse i gusti della gente. Avevo l'impressione come se stessero lì a chiedermi "cos'hai da dire?". Avevo un po' d'ansia da prestazione, lo ammetto, soprattutto perché temevo di non poter garantire un risultato che fosse consono al prodotto. Poi, una volta arrivato, ho trovato una famiglia, umanamente e poi lavorativamente, e questo fa la differenza. Penso di essere riuscito a creare un personaggio che sia mio e non più di qualcun altro. Così sono arrivati anche i primi apprezzamenti, quasi a volermi dire "lo stai raccontando bene".
Parlando con Peppe Zarbo (Franco Boschi nella soap), con cui hai dovuto girare svariate scene, ti ha definito una persona di grande sensibilità. È una descrizione in cui ti rivedi?
Sì, a volte sono anche fin troppo emotivo, tendo a preoccuparmi in maniera eccessiva in certe situazioni. Non ho difficoltà ad immedesimarmi nell'altro, essere una persona sensibile credo sia un vantaggio in questo mestiere, perché c'è il tuo background personale dal quale attingere per creare qualcosa che sia utile a un personaggio. La sensibilità può diventare un'arma.
E ancora, parlando invece della possibilità che Nunzio potesse diventare il "nuovo Franco Boschi", Zarbo ha immaginato per te qualcosa di diverso e solamente tuo. Quindi, cosa vorresti che il tuo personaggio raccontasse e non ha ancora fatto?
Peppe è un attore che stimo tantissimo, si è comportato veramente come un padre nei miei confronti e lo ringrazio. Penso che uno degli aspetti ancora non raccontati di Nunzio, sia legato anche a Franco, alla crescente lontananza dai suoi rapporti familiari, una cosa che anche io Vladimir sto sperimentando, soprattutto in questi ultimi anni. Sarebbe un aspetto interessante da raccontare, questa crescita personale che si lega anche al concetto di radici, famiglia. Ma anche di nostalgia.
Per cosa provi nostalgia?
Alla soglia dei 30 anni, quando magari si è più vicini anche al poter diventare genitori, inizi a riflettere su tutto ciò che i tuoi genitori hanno fatto, a cui magari non hai dato troppa importanza. Ti accorgi del tempo che passa e di quanto il lavoro sia la causa principale dell'allontanamento, impedendoti di stare con loro quanto vorresti. Ci si accontenta dei ritagli di tempo, in una vita sempre organizzata e scandita. E a volte questa continua programmazione pesa.
Quale credi sia l'atto d'amore più grande che i tuoi genitori hanno fatto per te?
Tantissimi, non potrei contarli. Il primo che mi viene in mente è quando ho comunicato loro che avrei voluto tentare questa strada. Lì ho avuto la dimostrazione di quanto l'immagine di un figlio possa brillare negli occhi di un genitore. Ricordo discussioni piuttosto concitate, ma costruttive con mio padre e mia madre, che guardavano con preoccupazione questa mia scelta. Però, poi, mi hanno detto una frase che a pensarci mi commuovo ancora, "nell'incertezza del futuro, soprattutto per i giovani, investi solo in ciò che ti rende felice davvero". È diventato un monito per me. Sarebbe potuto subentrare l'egoismo genitoriale, invece questo è stato il loro grande atto d'amore per me.
Hai spesso parlato in questa chiacchierata della tua scelta, improvvisa, nel seguire la passione per la recitazione. Quanto sei caparbio, testardo?
Molto, mi fisso sulle cose. Penso che la mia compagna mi lancerebbe volentieri qualcosa quando accade, ma ho eliminato tutti gli oggetti contundenti da casa. Ovviamente scherzo (ride ndr.) Sono una persona testarda, ma non su tutto, ascolto tantissimo, però su certe cose batto i piedi perché con un po' di presunzione, lo ammetto, ho tanta voglia di avere ragione.
Come te, anche Nunzio è testardo. Forse in amore un po' meno e, infatti, finora non si è imposto come ci si sarebbe aspettati. O sbaglio?
Abbiamo raccontato il lato tenero di questo personaggio, che è pieno di sfaccettature, alcune condivise anche con Vladimir. Abbiamo voluto dare spazio ad un lato nascosto, perché Nunzio è descritto come un personaggio testardo, impulsivo e valoroso quando crede in certe cose, sa essere serio, affidabile, ma è anche scapestrato, con la testa tra le nuvole. Ad esempio in amore si lascia trascinare, lo abbiamo visto con Chiara Petrone, ha fatto delle cose assurde. I personaggi non si giudicano, ma è capitato che leggendo il copione in camerino, gli dicessi "ma che stai facendo?" (ride ndr.)
Però, anche con Rossella ha avuto timore di esprimere pienamente i suoi sentimenti. Odore di rimpianti?
Si è creato un triangolo tra Nunzio, Rossella e Diana, che è una persona che lo stimola tantissimo, è quasi una caccia tra loro. Ma purtroppo, o per fortuna, il personaggio di Rossella desta in lui quelle reazione telluriche, istintuali, che non riesce a controllare, va a smuovere dei sentimenti molto profondi. Ma forse se ne sta allontanando perché la sua vita sta prendendo un'altra piega ed è disposto ad affrontare le cose con una serietà diversa, perché si conosce e conosce il suo passato. Non escludo che possa esserci un rimpianto per ciò che non è successo.
E parlando di Vladimir: come vi siete innamorati tu e Federica (Quartana ndr.), la tua compagna?
A teatro, anche se non subito. Eravamo già amici da tre anni, si è fatta aspettare. Nel 2020 abbiamo messo in scena Euripide a Siracusa, per poi riprendere lo spettacolo varie volte, era anche il periodo del Covid, ma proprio in quel clima di assurdità, è partita la relazione.
Qual è l'atto più coraggioso che hai fatto finora per te stesso?
Allontanarmi da una cosa che continuava a ferirmi quotidianamente. Una mia caratteristica è quella di perseverare nell'errore, o in situazioni che vorrei sistemare, ma ho avuto il coraggio di riconoscere a me stesso che quella situazione non mi rendeva felice, anzi, aveva l'effetto contrario su di me, quindi ho ripreso in mano le redini della mia vita.
Cosa pensi di aver imparato dal tuo mestiere?
Mi ha insegnato che i risultati che ottieni dipendono dalla dedizione che metti in ciò che fai, bisogna avere rispetto per quello che si fa, perché già solo il poterlo fare rappresenta un privilegio. Ma nonostante l'impegno individuale, ho imparato anche l'importanza del lavorare insieme.
Com'è essere diventato un personaggio riconoscibile, popolare?
Non era una cosa che aspettavo, sono sincero. Ma una volta arrivata, bisognava fronteggiarla, non è stato sempre semplice. È anche una grandissima gratificazione, perché hai la percezione di come il tuo lavoro abbia sortito un effetto positivo. Ad esempio è bellissimo quando i bambini mi riconoscono, mi chiamano e vengono ad abbracciarmi, è una cosa che mi apre il cuore.