Vincenzo Comunale: “In Italia siamo tornati al cabaret ed è un bene, ma la stand up ci ha cambiati”

Intervista a Vincenzo Comunale, che racconta la sua visione della comicità e l’evoluzione del suo percorso di carriera. Dal prossimo ritorno a teatro con uno spettacolo che parte da Napoli per attraversare tutta Italia, alla conferma a Zelig come monologhista: “È come una chiamata in nazionale”.
A cura di Andrea Parrella
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Vincenzo Comunale è ormai una presenza fissa a Zelig, dove anche quest'anno ha portato i suoi monologhi. Il comico campano rappresenta a pieno l'incontro tra il filone della stand up comedy e una forma di comicità popolare, espressa sia in televisione che sui social. Un incontro di cui parliamo con Vincenzo Comunale in questa intervista, analizzando l'evoluzione della sua carriera negli ultimi anni, parallelamente all'avanzamento del discorso sulla comicità come forma di intrattenimento. Lo facciamo a poche settimane dal suo ritorno sul palco con un nuovo spettacolo, "A Ruota Libera Show" che si terrà a Napoli presso la Casa della Musica / Teatro Palapartenope, nelle date del 21 e 22 febbraio 2025, prima di girare l'Italia e arrivare anche in Europa.

Per ragionare su un nuovo spettacolo il comico deve guardarsi attorno. Cosa hai visto di nuovo?

Un sacco di cose, in giro c'è sempre l'ispirazione. Fare il comico è bello anche perché si tengono dritte le antenne della comicità. In una cosa che sembra irrilevante io ci vedo una stortura, un'incongruenza che è un pretesto comico. I social, ad esempio, restano uno specchio della realtà interessante, base per uno studio antropologico. Io guardo sempre i contenuti ma soprattutto i commenti, dove l'intrattenimento prosegue.

Ti attira di più la reazione che l'azione.

Mi attira molto guardare cosa spinga le persone a commentare un video, dai commenti capisci se l'hanno visto oppure no, se lo hanno capito. Parlo anche e soprattutto di questo nello spettacolo. L'algoritmo stesso, nel proporre i contenuti, forse ci conosce meglio di quanto conosciamo noi stessi, a me fa vedere cose che in teoria non dovrebbero interessarmi, ma poi guardo. I tizi che lavano tappeti, quelli che schiacciano i brufoli: perché? Una risposta non c'è. Guardo tizi che costruiscono piscine in India io che vivo a Giugliano.

Vincenzo Comunale a Zelig
Vincenzo Comunale a Zelig

Su Instagram scrivi come bio "mi ridono in faccia". Qual è stata la prima volta che ti hanno riso in faccia e che forse poteva diventare un lavoro?

La cosa che mi ha fatto appassionare di più alla comicità è sempre stata la reazione. Io guardavo la mia famiglia guardare i programmi comici e reagire divertita e io, pur non capendo sempre il contenuto, guardavo quell'attimo di felicità che mi è rimasto così impresso da spingermi a provare a replicarlo. Ricordo i primi monologhi, che ovviamente si fanno per imitazione e tra le prime cose fatte in un villaggio c'era un pezzo suoi dialetti di Brignano. Poi ho iniziato a scrivere le mie prime cose e ricordo quella sensazione della reazione a una battuta che tu dici per la prima volta davanti a qualcuno, come tu avevi pensato potesse succedere. È una cosa per la quale sviluppi una forma di dipendenza quando la scopri.

Scrivere una battuta è come un'equazione, ma molto spesso non c'è la percezione comune che ci sia dietro una tecnica.

La bravura secondo me è anche non farla vedere questa tecnica, non mostrare cosa ci sia dietro le quinte. Il nostro lavoro, secondo me, è come quello del mago, abbiamo i nostri trucchi e non li sveliamo e deve esserci una sensazione di magia.

Ipotizziamo che sei in una serata tendenzialmente no, col pubblico moscio. Hai strumenti particolari? Un trucco preciso che utilizzi.

Sicuramente l'interazione col pubblico, scherzare sul qui ed ora, contestualizzare, è una tecnica. Un trucchetto, di cui mi pare una volta parlò Dario Fo, è quello di battere le mani in scena, provocare un piccolo rumore, è come se tu accendessi un'area del cervello che porta il pubblico ad applaudire. Dovrebbe, teoricamente, chi sono io per contraddire Dario Fo.

A proposito di strumenti, quando sei in carenza di ispirazione per la scrittura e non hai nulla che fai?

Il segreto è non mettersi al tavolino per farsi venire idee. Mi aiutano molto le scadenze, in questo caso sapere che uno spettacolo debutta e ci sono biglietti venduti. Dopo il sold out della prima data ho detto al mio manager, scherzando, che era arrivato il momento di scriverlo davvero lo spettacolo. La mancanza di ispirazione non c'è mai quando scrivo per altri, l'idea mi viene sempre perché c'è una persona che da fuori mi fa una richiesta chiara. Su me stesso sono anche più pigro ed esigente, devo darmi da solo degli obblighi.

Capita che pensi a una battuta per qualcun altro che sia così buona da farti venire voglia di consevarla?

È una cosa che accade difficilmente, scrivo sempre per persone molto diverse da me e la comicità è come se fosse una pratica sartoriale, su misura per ognuno. Si può fare un parallelismo col cantautorato, io scrivo sempre per necessità di dire qualcosa, mi chiedo sempre cosa abbia da dire prima di farlo.

Ci sono artisti che non hanno la predisposizione a mettersi nei panni di qualcun altro e scrivere per altri?

Sì, è un lavoro diverso direi. Molti comici a un certo punto si affidano alla scrittura di altri, io spero di non arrivare mai a farlo, ma anche di continuare a scrivere per altri.

Questo rende un comico meno dignitoso di un altro?

Non direi, si tratta sempre di una predisposizione e qui torna la differenza tra cantante e cantautore. Se sei un interprete sali sul palco ed esegui un pezzo, se sei un cantautore parti da una necessità espressiva.

Passiamo a Zelig. Qualche anno fa Claudio Bisio ti descriveva come il futuro del format, ma quel futuro sembra arrivato.

Sì, ma è sempre un contratto che si rinnova annualmente, è come la convocazione in nazionale. Questo è un programma che mi ha fatto appassionare alla comicità e sono diventato un monologhista del programma, cosa non scontata perché ci sono pochi format che danno spazio a una comicità ispirata alla stand up comedy come la mia. Avere il palco tutto per me, considerando che quel programma mette principalmente al centro Claudio e Vanessa, è bello.

Il formato Zelig è l'unica comicità possibile in Tv?

Penso ci sia bisogno di format che sperimentino in maniera differente le commistioni tra comicità e figure comiche. Zelig può esistere solo così com'è e va bene, ma tutte le varie copie che ne sono susseguite non mi hanno mai convinto troppo. Mi farebbe piacere qualche trasmissione che andasse a sperimentare di più l'improvvisazione, il gioco tra comici.

Tu sei espressione di quel tempo in cui si è riflettuto della risata che cambiava con l'avvento della stand up comedy. Siamo un po' arrivati alla fine di questa necessità della novità?

Secondo me sì, siamo arrivati alla fine, anche gli stand up comedian stanno facendo i personaggi quando vanno in Tv e siamo palesemente tornati al cabaret, cosa che per me non è affatto male. La differenza sostanziale sta nel fatto che oggi se un ragazzo si appassiona alla comicità, difficilmente dirà di voler fare un personaggio o un tormentone, ma si ispira alla stand up. Prima pensavi a quale travestimento scegliere per restare impresso, mentre oggi, per quel che riguarda il live, la stand up ha lasciato un segno e credo sia giusto perché va molto più incontro al nuovo pubblico.

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Sembra anche finito quel tempo in cui ci si chiede se tutto quello che racconta il comico sia vero.

Chiaro che il comico menta sul palco, il 75% delle cose che dice è falsa, compresa quella che ho appena detto. Non è mai una cosa totalmente vera, deve essere però verosimile e deve esserci un'aderenza con la propria maschera comica, essere coerente. La comicità lavora per iperboli, esagerazioni.

Per un determinato periodo si pensava a questo allineamento tra stand up comedy e seduta di psicanalisi.

Questa cosa in giro si vede ancora, tra le degenerazioni della stand up c'è questa, gente che sale sul palco e racconta i fatti propri. Non è comicità, per quello c'è lo psicologo. Non ci dobbiamo mai dimenticare che bisogna far ridere le persone, non basta salire sul palco con il microfono col filo.

Non c'è nemmeno necessità di dire parolacce, per altro.

Assolutamente, errore comune è pensare che stand up sia black humour, quella è una forma, un sotto genere, uno stile, ma non è tutto quello stand up. Io la faccio e non bestemmio sul palco, né parlo di temi scabrosi. Faccio le mie denunce, ma non è necessario usare un linguaggio estremo, per quanto ci sia chi lo fa.

Sei del '96, hai quasi 30 anni, ma hai iniziato da quasi dieci anni. Cosa si prova ad avere una pagina Wikipedia?

Forse è la soddisfazione più grande della mia carriera. Quando l'ho scoperta, era scritta così bene che l'ho copiata per scrivere un mio curriculum.

Manca una cosa, la famosa telefonata di Benigni.

Un giorno ero a casa, squilla il telefono, era un numero sconosciuto e di là sento uno che dice "ciao sono Roberto Benigni, complimenti per la tua comicità". Mi dico che è impossibile e attacco il telefono, anche perché ho un amico, Adriano, bravissimo con le imitazioni. Dopo dieci minuti mi richiama e riattacco di nuovo. Poi chiamo il mio amico Adriano, gli chiedo se fosse lui a chiamarmi con il numero sconosciuto, "dì la verità, sei tu…" e lui ammette: "Sì Vincenzo, scusa, ero io, volevo farti uno scherzo". Finisce così. Non mi ha mai chiamato Benigni, credo non sappia della mia esistenza ed è giusto così.

Un tempo la Tv creava scarsità, tu comico andavi in onda, facevi una battuta e qualcuno decideva di venire a teatro. Oggi hai i social, che rendono le tue battute popolari, ma allo stesso tempo creano una dinamica per la quale si viene a teatro sapendo già cosa si vedrà. Non è un problema per il comico?

Io risolvo il problema alla base, quando faccio un pezzo in Tv quel pezzo ha avuto il suo ciclo vitale e difficilmente lo ripeto. Provo a dare agli spettatori dal vivo sempre qualcosa che non hanno visto. Mi terrorizza pensare che chi è tra il pubblico già sappia cosa sto per dire. Non mi affeziono mai troppo ai pezzi per evitare questo problema. Ma è la ragione per cui odio i cantanti, perché fanno una canzone, riesce e la faranno per sempre, addirittura mette il microfono verso il pubblico che continua a cantare al posto loro. I comici non possono farlo.

Ho letto che punti alla regia. Lo farai per far ridere?

Vorrei tanto, il cinema è una cosa che ho studiato all'università e vorrei fare un film quando i tempi saranno maturi, come si dice per i figli. Sicuramente da me ci si aspetterebbe un film comico, ma vorrei farlo alla mia maniera. Sicuramente vorrei fare una cosa rivoluzionaria, un film con una trama, visto che oggi tanti film sono solo una sequela di sketch senza un filo narrativo.

Il precedente di Zalone è pesante in questo senso.

Credo ci si sia rassegnati che quelli sono fenomeni a sé. Io penso sicuramente a una cosa che debba convincermi, che debba prima di tutto piacermi. Lo vorrei fare quando sarà il momento giusto.

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