Vera Gemma: “Ho fatto la spogliarellista, la domatrice. Ora vado agli Oscar con un film sulla mia vita”
Vera Gemma ha vissuto pienamente, lasciandosi travolgere da emozioni e situazioni talvolta estreme che, però, l'hanno portata ad essere l'artista che è oggi. La sua vita è stata raccontata con occhio attento e non banale dai registi Tizza Covi e Rainer Frimmel, nel film Vera, ora candidato agli Austria Oscar come miglior film straniero. In un'intervista rilasciata al Corriere della Sera si è raccontata senza filtri, parlando di questa nuova rinascita artistica e del suo rapporto con il padre, Giuliano Gemma, l'icona degli Spaghetti Western.
Il film sulla sua vita nato per una casualità
Il suo film, che l'ha portata a vincere un premio alla Mostra del Cinema di Venezia, sta girando vari festival cinematografici, dove viene accolto con grande entusiasmo. Quando è stato proiettato a Los Angeles gli americani erano entusiasti: "Hanno riso tantissimo. Quanto ridono questi americani… Il problema è che ridevano pure nei momenti drammatici… Alla fine, applaudivano e gridavano Fellini, Fellini e realistic movie. E quando raccontavo che l’abbiamo girato in quattro, senza neanche la roulotte per gli attori, applaudivano come matti". L'idea di girare un lungometraggio sulla sua vita è nata per caso, perché i registi che hanno poi firmato Vera, erano impegnati in un documentario sul circo e nel loro girovagare l'hanno incontrata e Tizza Crovi si è incuriosita alla sua persona:
Nei circhi ci sono cresciuta, papà ha imparato lì a fare lo stunt man. Quando nel 2013 è morto, ho sentito il bisogno di ritrovarlo in un ambiente in cui lo amavano, ho iniziato a passare le giornate nei circhi, ho girato un documentario su quel mondo. Diventare domatrice è venuto naturale: entravo nelle gabbie per portare il cibo agli animali, che si sono abituati a me, mi hanno considerata capobranco. Ho fatto tournée in Russia, Ucraina, Bielorussia. Nel circo, ho trovato un mio modo di essere artista. Tizza voleva sapere tutto di me e ha detto che voleva raccontare.
Al cinema, da ragazzina, si era avvicinata, lavorando con registi noti come Pupi Avati, Dario Argento, Paolo Virzì, ma poi la sua attenzione si è spostata su altro. Al Corriere, infatti, ha dichiarato di aver voluto fare una scelta diversa, senza mai abbandonare il suo spirito artistico:
Ho smesso quando ho capito che in Italia non mi avrebbero mai preso come protagonista: non sono abbastanza bella per fare la bella, non sono la bruttina che fa ridere; il mio viso fa pensare a cose estreme, ma da noi, non esistono protagoniste dai caratteri estremi. Al che, ho scritto libri, fatto il circo, la spogliarellista: ho rinunciato a essere attrice ma non artista.
L'esperienza da spogliarellista
Inseguire il sogno di esprimere a pieno la sua arte, non è stato facile, anche perché c'è stato un momento in cui dopo aver sperperato i soldi ereditati, si è dovuta sostentare da sola: "Quando è morta mamma, ho ereditato e mi sono mangiata i soldi in pochissimo tempo e papà mi ha detto che non mi dava una lira. Decido di andare a Los Angeles, provo a propormi come cameriera, niente. A un certo punto, scopro un locale di strip tease, The Body Shop, con show di livelli altissimi. Vado dal direttore e chiedo come si fa a lavorare lì". È così, quindi, che ha iniziato a lavorare e guadagnare un certo quantitativo di denaro: "La spogliarellista è un sogno da guardare e non toccare e gli americani sono pazzi: lanciavano mance da duecento dollari, gli togli soldi solo per guardarti ballare".