The Last of Us 2, Craig Mazin: “Mi interessa vedere il mondo in frantumi. Leslie Nielsen? Era il migliore”

The Last of Us 2, la seconda stagione della serie tratta dall'omonimo videogame, è arrivata su Sky e NOW con le sue sette puntate. Su Fanpage.it, lo showrunner Craig Mazin parla del “trovare la bellezza nelle brutte cose”, del suo legame col grunge quando improvvisamente “tutta la musica più interessante di questo mondo arrivava da Seattle” e dell'onore di aver lavorato per ben tre volte col leggendario Leslie Nielsen.
Una laurea cum laude in psicologia in una delle più prestigiose università della Ivy League americana, Princeton. Una carriera hollywoodiana che ha prosperato a lungo nell'ambito della commedia e un passaggio improvviso a dei registri drammatici completamente agli antipodi. Sceneggiatore, regista e produttore, Craig Mazin, in ambito di comicità, ha avuto l'onore di lavorare per ben tre volte con una leggenda come Leslie Nielsen (in Scary Movie 3 e 4, da lui co-sceneggiati, e con Superhero – Il più dotato fra i supereroi, da lui anche diretto) e di scrivere il secondo e il terzo capitolo della trilogia multimilionaria de Una notte da leoni.
Poi, nel 2019, arriva come un fulmine a ciel sereno Chernobyl, serie prodotta da HBO e Sky che, come si intuisce già dal titolo, di divertente non aveva nulla. Formata da cinque puntate, venne accolta con un'ovazione sostanzialmente unanime da parte della critica. Dopo i due Emmy ottenuti grazie a Chernobyl, Craig Mazin è passato all'adattamento televisivo di The Last of Us, tratto dall'omonimo videogame sviluppato da Naughty Dog. Una storia da “fine del mondo” in cui, di nuovo, c'è ben poco da ridere. Prodotta da HBO e PlayStation Production, la serie, che in aggiunta a Mazin vede come showrunner anche Neil Druckmann, co-ideatore e regista della saga videoludica, è stata salutata come un capolavoro e un fulgido esponente di una nuova serie di produzioni hollywoodiane di altissimo livello tratte dai videogame.
Hai cominciato con le commedie. Poi è arrivata la serie su Chernobyl. Anche se basata su un fatto storicamente avvenuto, in certi passaggi pareva quasi un horror per come era messa in scena. Quanto è stata importante quella produzione in ottica di quello che poi avresti fatto con The Last of Us?
Va da sé che, mentre lavoravo a Chernobyl, non è che stessi pensando a quello che avrei fatto dopo, men che meno con The Last of Us. Ma è una serie che è stata molto importante perché, grazie ad essa, ho imparato davvero tantissimo.
Imparato cosa, nello specifico? A”pensare” creativamente e produttivamente in una maniera differente?
Diciamo che molto di ciò che ho imparato si deve al regista di Chernobyl, Johan Renck. Lui era sicuro dell'idea che lo stile con cui raccontare quella storia dovesse basarsi sull'iper-realismo. E c'era un argomento di cui Johan ed io parlavamo molto spesso: la bellezza del brutto, del trovare la bellezza nelle architetture brutaliste tipiche del comunismo, del trovare la bellezza in volti strani, nei vestiti brutti. E tutto ciò per non restituire alle cose una patina troppo zuccherosa.
E come entra in gioco The Last of Us in questo ragionamento?
Entra così: quando parlavo con Neil Druckmann (co-autore e regista dei videogiochi da cui la serie è tratta nonché co-showrunner della produzione TV della HBO, ndr.) di fare The Last of Us, gli ho detto: “Ascoltami Neil, secondo me dovremo basare il nostro lavoro di adattamento seguendo un concetto molto importante per rendere credibile e realistica quella che è comunque una storia horror dove appaiono dei mostri. Dovremmo adottare uno stile di regia che riprende, tramite l'impiego della macchina a mano, quello del videogame con la macchina da presa virtuale, che segue i personaggi, e adottare una palette cromatica dalle tonalità spente".
Cosa ne è venuto fuori?
Un'enorme lavoro, in particolare con gli effetti visivi di The Last of Us e i team che hanno lavorato a essi. Volevamo che ogni singolo elemento fosse il più possibile integrato nel reale, così, mentre guardi le puntate, non sei sicuro di cosa sia vero e cosa no. Chernobyl è stato il miglior allenamento possibile che potessi avere in vista di quello che avremmo poi fatto con The Last of Us.
La seconda stagione ha meno episodi della prima. E, in media, durano meno di quelli della stagione uno, che variavano dai 50 ai 75 minuti. Qua siamo fra i 45 e i 60. Eppure, The Last of Us parte II è un gioco estremamente più lungo e complesso narrativamente del primo che, per essere portato a termine, richiedeva fra le 15 e le 20 ore di gioco. Con la parte II si arriva tranquillamente a 40 ore. Come mai avete fatto questa scelta?
Il videogame di The Last of Us è molto grande, sotto ogni punto di vista, dalla durata alla messa in scena, passando per la trama, ed è per questo che abbiamo lavorato in questa maniera. La storia del videogame di The Last of Us 1 poteva essere adattata con una sola stagione ma, con la parte II, non si poteva percorrere una strada analoga a quella. Per questo, il nostro processo creativo doveva necessariamente basarsi su un modus operandi diverso, era fondamentale capire come dividerla e dove individuare il momento più indicato per metterla in pausa.
Generare curiosità per come continuerà?
Esattamente. Vogliamo che quando questa stagione terminerà, le persone pensino “Okay, non vedo l'ora di vedere la prossima stagione, ho bisogno di sapere che accade!”. E così abbiamo una specie di schema da seguire mentre lavoriamo a The Last of Us che non è mai qualcosa di uniforme.
Quindi questo schema si riflette anche sulla scelta del numero di episodi, per tornare alla domanda di poco fa?
Sì, perché il nostro modo di ragionare non si basa sul seguire una regola ferrea in base alla quale decidiamo a monte il numero di episodi che andrà a formare una stagione. Ragioniamo come con i “movimenti d'opera” musicali. La durata del “movimento d'opera” della seconda stagione è di sette episodi e non è detto che quella della terza stagione non possa essere più lungo.
Sia il videogioco che la serie di The Last of Us hanno un legame molto forte con la musica. Specie con i Pearl Jam, fondamentali per la Parte II con Future Days. Addirittura, nella serie TV li ascoltiamo pure nella stagione 1 con All or none. Ero adolescente negli anni novanta durante l'esplosione del grunge; tu potresti essere mio fratello maggiore quindi eri più sulla ventina. C'è qualcosa che ti lega particolarmente alla band di Eddie Vedder?
Penso che chiunque avesse una certa età a quel tempo… andavo al college quando sia i Pearl Jam che i Nirvana sono esplosi sulla scena, quasi contemporaneamente. Improvvisamente, tutta la musica più interessante di questo mondo arrivava da Seattle! Quando mai era capitato di sentire il nome di quella città associato alla musica. Quello che ascoltava la gente proveniva dalla Motown, da Detroit, da New York, da Nashville, Los Angeles, Londra. Poi all'improvviso, dal nulla, Seattle. Ho un forte legame con il grunge, ma anche Neil, che è più giovane di me, ha davvero una profonda connessione con i Pearl Jam. Che forse scaturisce proprio dal suo essere più giovane di me, perché quella è stata davvero, credo, la sua prima, vera passione in quanto a band musicali. Siamo stati così fortunati ad avere Eddie Vedder e Mike McCready al lavoro con noi.
Come è stato incontrare queste due leggende?
Mike si è presentato con la sua famiglia per visitare il set, ed è stato un momento divertente e surreale. Si presenta con i suoi e si sono ritrovati a esprimere quello stupore che puoi provare quando ti ritrovi su un grande set, solo che, allo stesso tempo, io guardavo lui con altrettanto stupore perché avevo di fronte una rock star importantissima. Ma oltre a Eddie e Mike abbiamo anche lavorato con Tom Morello dei Rage Against the Machine. Che grande opportunità è quella d'incontrare e lavorare con artisti di questo calibro. Per non parlare, ovviamente, dei Nirvana, abbiamo anche un po' della loro musica dentro a The Last of Us.
Nel rispetto del vostro lavoro e dei nostri lettori, cerco di evitare spoiler. Si vede anche nel trailer, quindi, senza dire come, dove e quando accade c'è un momento incredibilmente spettacolare in The Last of Us 2 con la città di Jackson che viene assaltata dagli infetti. Perché avete deciso di inserire questo passaggio in un episodio in cui, di cose da processare, ce ne stanno parecchie?
Ci sono momenti in cui il piccolo e il grande dovrebbero farsi eco a vicenda. Poi a me interessa sempre vedere i sistemi, di qualunque tipo essi siano, che vanno in frantumi. In The Last of us le relazioni vanno a rotoli, mentre il mondo va a pezzi. Letteralmente. Il mondo che conoscevamo crolla, ci sono aerei che cadono dal cielo, e in mezzo a queste cose così grandi, c'è la storia tragica di un padre e sua figlia. A mio modo di vedere, quando puoi mostrare questi diversi livelli di collasso della società, i differenti piani tendono a chiarirsi vicendevolmente.
Perciò questo tuo modo di ragionare si riflette anche nella puntata di cui ti sto parlando?
In quell'episodio abbiamo avuto la possibilità di mostrare qualcosa che i giochi non avevano mai raccontato, che, secondo me, era una vulnerabilità, in particolare per la comunità di Jackson. Noi esseri umani siamo molto bravi a capire come metterci al sicuro di fronte al pericolo. Così facendo, spesso ci dimentichiamo di quanto siamo comunque insicuri. E la natura, in particolare, ha un modo tutto suo di umiliarci. Abbiamo pensato di avere l'opportunità di mostrare che non importa quanto grande sia la recinzione che costruisci intorno alla tua città: c'è l'elemento del pericolo pronto ad abbattere quelle mura. Quindi, come ti dicevo, avviene una sorta di dialogo fra diversi livelli di collasso umano.
Con la mia ultima domanda, vorrei tornare alla tua carriera passata. Hai avuto l'onore di lavorare con Leslie Nielsen più di una volta, in Scary Movie 3 e 4 e in Superhero. Cosa ricordi di questa leggenda?
Leslie era un vero gentiluomo e un gran burlone, amava far ridere la gente sul set. Quando ho lavorato con lui, era già piuttosto anziano. Non si è mai lamentato dei ritmi di lavoro, era molto puntuale, meticoloso nello studio dei copioni. È stato meraviglioso lavorare con qualcuno che era il migliore in qualcosa.
Cosa pensi del prossimo sequel di Una pallottola spuntata con Liam Neeson nei panni di suo figlio?
Ho visto il trailer del nuovo Una pallottola spuntata e – oh mio dio – quella battuta su OJ Simpson mi ha ucciso. Penso abbiano davvero la possibilità di tirar fuori dal cilindro qualcosa di divertente. Pare spassoso.