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The Electric State, i fratelli Russo: “Ossessionati dai robot, l’IA può essere uno strumento se l’uomo è al comando”

The Electric State, in streaming su Netflix dal 14 marzo, è il nuovo kolossal dei fratelli Russo, registi degli ultimi due Avengers. Su Fanpage.it raccontano la loro infanzia da “drogati di media” che guardavano “di tutto, dai film agli anime giapponesi”. Tanto intrattenimento, ma anche un monito sul “potere praticamente sterminato delle big tech che agiscono solo in base ai propri interessi”.
A cura di Andrea Bedeschi
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The Electric State è il nuovo kolossal multimilionario – si parla di circa 320 milioni di budget – diretto da Anthony e Joe Russo, i due filmmaker italoamericani diventati un'istituzione del cinema ad alto tasso di effetti speciali grazie ai quattro film Marvel che hanno diretto (e ce ne sono altri due all'orizzonte). Portano in scena un road movie che sembra più una scusa per dare sfogo a quelle che sono, e sono state, le loro ossessioni d'infanzia in materia di robot, giocattoli e cartoni animati giapponesi.

Elementi importantissimi nella loro crescita personale e professionale, ma è anche un modo per dire la loro su questioni sempre più rilevanti al giorno d'oggi come gli sforzi delle big tech per ottenere la nostra attenzione e, soprattutto, i nostri soldi, la vita a stretto contatto con la tecnologia e il rapporto spesso confusionario che c'è con il raccontare cosa sia l'Intelligenza Artificiale.

In Italia c'è una lunga storia d'amore con i robot, principalmente grazie agli anime giapponesi e ai loro mecha giganteschi. Qual è il vostro rapporto personale con le storie di fiction in tema robot?

Joe Russo: È un rapporto molto importante e profondo. Crescendo, io e mio fratello siamo sempre stati dei veri e propri “drogati” dei vari media con cui avevamo a che fare e, di conseguenza, guardavamo di tutto: film, televisione, anime giapponesi. Abbiamo comprato i diritti di Battle of the planets, che è l'adattamento americano dell'anime Gatchaman – Battaglia dei pianeti. Quando eravamo bambini lo amavamo, c'era quel robottino, 7-Zark-7, ci piaceva tantissimo.

Altri esempi?

Joe Russo: C'era il robot della serie TV Lost in space, ne eravamo ossessionati, la guardavamo di continuo, repliche incluse. Poi Jet Jaguar, dal film di Godzilla del 1973. I robot sono stati uno degli ingredienti principali della nostra dieta a base di cultura pop, ci hanno accompagnato durante la nostra crescita. Per questo realizzare una pellicola come The Electric State, che è piena zeppa di robot enormi, è letteralmente l'avverarsi di un sogno.

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Parlatemi un po' del design dei robot. Sono quasi giocattolosi per certi versi. Vi siete magari ispirati proprio a un giocattolo della vostra infanzia?

Anthony Russo: Per noi era molto importante far sì che The Electric State risultasse diverso dal resto, con una sua impronta peculiare. E doveva avere questa qualità anche nella maniera in cui racconta la relazione fra gli umani e i robot. Nell'ottica della finzione del film, volevamo spingere molto sul concetto di creazione.

Spiegami meglio.

Anthony Russo: Doveva essere chiaro che questi robot erano stati creati da Walt Disney. Lo scopo era rendere palese che la finalità della loro ideazione e costruzione era quella di intrattenere e compiacere, in qualche modo, le persone. Poi dopo, col passare del tempo, si sono trasformati anche in robot di servizio impiegati per aiutare la gente nelle faccende quotidiane o sul posto di lavoro.

E come si riflette questa cosa sul loro aspetto?

Anthony Russo: Non dovevano avere caratteristiche tali da farli percepire come delle minacce per la gente, dovevano semmai averne delle altre che attirassero le persone. Dotati di un'intelligenza artificiale magari più semplice di quella reale degli esseri umani, in aggiunta a una connotazione bambinesca nel loro modo di agire. La loro coscienza è perfettamente definita, ma con un'impronta comunque elementare se vogliamo. Sono anche personaggi sviluppati, con dei veri e propri archi narrativi.

Però poi c'è di mezzo una guerra.

Anthony Russo: Sì, perché ci piaceva proprio l'idea che la relazione così semplice, anche innocente, fra umani e robot potesse poi trasformarsi in qualcosa di più complicato e potenzialmente molto dannoso.

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Da zoom potete vedere il mio ufficio che è pieno di oggetti pop quindi capirete perché mi sono subito innamorato del magazzino di Keats (Chris Pratt). È pieno zeppo di gadget e memorabilia vintage. Come li avete scelti?

Joe Russo: È stato molto divertente lavorare alla realizzazione di quel set. Quasi tutti gli oggetti che vedi o che vengono menzionati dal personaggio hanno fatto chiaramente parte della nostra infanzia. Abbiamo inserito un sacco di easter egg che arrivano direttamente dalle nostre vite, come il porta pranzo di G.I. Joe o le barrette Zagnut e la linea Cabbage Patch Kids. Nostra sorella aveva quelle bambole. Ci sono anche i Beanie Babies, il pesce animatronico Big Mouth Billy Bass.

Quindi è davvero tutto collegato direttamente alla vostra vita?

Joe Russo: Sì, c'è qualsiasi cosa abbia avuto importanza nel nostro passato. Proprio per questo è stato uno spasso ambientarci e girarci delle scene del film.

Nel film c'è anche molto affetto nei confronti dei robot. Come vi ponete di fronte all'uso dell'intelligenza artificiale e delle sue eventuali ripercussioni nell'industria del cinema, sia dietro che davanti alla macchina da presa?

Anthony Russo: Potrebbe diventare uno splendido strumento per i creativi, un aiuto concreto per il processo stesso di creazione. Tenendo però sempre a mente che la tecnologia ha due facce, una che promette fantastiche possibilità, l'altra che ti mette di fronte a un prezzo da pagare. Il messaggio che cerchiamo di trasmettere si basa sulla necessità di dover bilanciare i due aspetti, quello dell’impiegare la tecnologia senza che la nostra umanità ne risenta.

Pensate ci sia uno stigma verso l'IA?

Anthony Russo: Più che altro penso ci sia confusione. Quando le persone pensano all'intelligenza artificiale, si figurano questa sorta di entità monolitica, ma la realtà dei fatti ha molte più sfaccettature. Sono software molto flessibili e possono essere di sostegno. La questione semmai si basa sulla posizione di controllo: finché è l'uomo a occupare quella posizione, allora sì, può essere qualcosa di utile. Non deve trasformarsi in un rimpiazzo e non bisogna abusarne.

I vostri film sono sempre molto spettacolari, ma non perdono mai di vista i personaggi e le loro emozioni. Come fate a bilanciare questi due elementi?

Joe Russo: Devi sempre restare focalizzato al 100% sui personaggi. Devi capire le loro motivazioni, il viaggio che compiono all'interno di un film e anche quando hai a che fare con l'ideazione e la lavorazione di scene spettacolari devi sempre tenere a mente quello che vogliono i personaggi. E il tipo d'impatto che questi momenti avranno o meno su di loro. Per noi è fondamentale lavorare sull'aspetto emotivo perché è quello che garantisce quella profondità in più al racconto.

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E che accade con le persone che guardano?

Joe Russo: Il pubblico ha un livello di tolleranza limitato per lo spettacolo fine a sé stesso, dopo un po' l'attenzione cala. Bisogna lavorare duramente per essere sicuri che le reazioni a ogni attimo e a ogni stratificazione emotiva del film siano guadagnate. Ci ispiriamo ai grandi film della Amblin di Steven Spielberg che guardavamo da ragazzini.

Anthony Russo: Per questo al centro della nostra narrazione troviamo spesso dinamiche e relazioni familiari. Possono essere biologiche o putative. Accade anche in questo film.

Nel film c'è questo grandioso villain interpretato da Stanley Tucci che è anche a capo di una corporation di tecnologia dai modi di fare non propriamente etici. Un'allegoria di quello che pensate in materia di big tech?

Joe Russo: Sì!

Anthony Russo: Assolutamente sì. Parliamo di aziende che hanno un potere praticamente sterminato che agiscono solo in base ai propri interessi, spesso e volentieri. Dobbiamo prestare moltissima attenzione e tenerle d'occhio perché possono esercitare una grandissima influenza su tutti noi anche perché sono dappertutto. Alcune di queste operano con il solo scopo di rendere le persone dipendenti in tutto e per tutto da loro.

Ci siamo già incontrati anni fa a Londra quando presentavate un film Marvel, Captain America: Civil War. Abbiamo brevemente parlato dell'Abruzzo, visto che vostra madre è originaria di quella regione. Avete altri due film degli Avengers da dirigere. Ipotizziamo che alcune scene siano ambientate in Italia. Dove vi piacerebbe girarle?

[Ridono all'unisono, ndr.]

Joe Russo: È una scelta che si baserebbe interamente sul dove vorremmo andare a mangiare. Personalmente girerei a Bologna. Adoro il cibo da quelle parti.

Anthony Russo: È un'ottima scelta, ma davvero a me verrebbe da dire Roma. Mi rendo conto di essere banale, ma quella città è visivamente così potente. È un campo da gioco cinematograficamente perfetto. È entusiasmante anche solo pensare agli Avengers calati nel contesto delle rovine della Roma antica.

Però opportunità sceniche a parte, diciamo che la scelta si baserebbe principalmente sul cibo.

[All'unisono, ridendo] Sì, è così.

Anthony Russo: Semmai a complicare la scelta c'è il fatto che in Italia si mangia bene ovunque.

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