Suor Noemi, dal basket alla clausura: “Lasciai fidanzato e lavoro. Povertà e castità? Voti che liberano il cuore”
Suor Noemi Scarpa è la Madre Badessa del Monastero delle Benedettine di Sant'Anna che si trova a Bastia Umbra. Ha 45 anni e quando ne aveva 20 ha lasciato la famiglia, il fidanzato e il lavoro in una vetreria di Murano per dedicarsi alla vita monastica. Oggi è anche tra i volti più amati di Food Network. Insieme a Suor Debora, Suor Miriam e Suor Eleonora propone ricette antichissime nel programma "La cucina delle monache". In un'intervista rilasciata a Fanpage.it, ha ripercorso la sua storia. Era una promessa della pallacanestro, giocava nel Murano Basket e dalla Promozione era passata alla serie C e poi alla serie B. Puntava alla serie A quando la morte di Madre Teresa di Calcutta ha acceso in lei il desiderio di rendere la sua vita un dono per i più bisognosi. Così, si è lasciata alle spalle tutto e ha scelto la clausura. La sua nuova vita e i suoi consigli per ritrovare la serenità.
La storia di Suor Noemi Scarpa, dalla serie B di basket a Madre Badessa
Madre Noemi, la vita che conduce oggi affonda le radici nella sua infanzia. Era una bambina eppure avvertiva già il desiderio di santità.
Proprio così, aspiravo alla santità. Ero attratta dalle storie dei santi che facevano atti eroici per il prossimo, inseguivano valori alti e nobili, aiutavano i poveri. Sentivo di voler fare qualcosa di grande nella mia vita, qualcosa che lasciasse un segno, ma non avevo ancora ben chiaro cosa. Un giorno presi la Bibbia e dissi a mia sorella che sarei andata a pregare nel deserto. Lei, ovviamente, mi fermò bruscamente: "Ma dove vai!" (ride, ndr). Fu una delusione. Però quella volontà profonda di fare qualcosa di grande per il prossimo per dare un senso alla mia vita, mi è rimasta.
Poi, ha iniziato a giocare a basket.
Delusa dal non potermi dedicare alla santità, sono passata ad altre vette (ride, ndr). Puntavo alla serie A di pallacanestro, quindi dedicavo tutte le mie energie, il mio tempo, la mia vita ad allenarmi per raggiungere quell’obiettivo. Sono arrivati i risultati, vincevamo i campionati, la nostra squadra andava avanti. A un certo punto sono entrate in conflitto le mie due aspirazioni, la santità e il basket e sono arrivata a promettere che non sarei più andata in chiesa.
A cosa era dovuto questo atto di ribellione?
Mio padre, persona religiosa, mi diceva: “Mi raccomando, Dio è al primo posto, vai al ritiro parrocchiale, non andare alla partita”. Ero così desiderosa di arrivare alla serie A, che mi sembrava che gli impegni religiosi interferissero con quelli sportivi. Scappai da un ritiro parrocchiale per andare a giocare di nascosto. Poi perdemmo una partita perché fui costretta ad andare via. Mio padre, arrabbiato, mi aveva portato via dal campo. Così, ho fatto una promessa a me stessa e a Dio: una volta compiuti 18 anni non sarei più andata in chiesa.
Poi ha fatto un viaggio in Europa con sua cugina e mentre si trovava a Londra, ha appreso della morte di Madre Teresa di Calcutta. Cosa è scattato in lei in quel momento?
Ho sentito con forza una voglia profonda di fare anch’io della mia vita un dono verso il prossimo. Vedevo Madre Teresa così piccola, ma che aveva fatto cose così grandi. Sentivo che l'amore sconfinato che aveva fosse il senso di tutto, la cosa più bella da perseguire. Così ho cercato anch’io la mia strada.
Madre Noemi e la clausura: la reazione dei genitori, del fidanzato e dell'allenatore
Da quel momento a quando è entrata in convento quanto è passato?
Un anno. È stato graduale. Tornata a casa sono andata alla ricerca di un luogo in cui esprimermi. Mi fu consigliato di andare a pregare per quindici giorni in un monastero. Poi, per un anno, mi sono divisa tra il monastero dove mi recavo nei giorni liberi e la mia vita ordinaria con il fidanzato, il lavoro e la pallacanestro. In monastero ero tutta contenta, a casa mi sentivo vuota e delusa. Dopo un anno su e giù ho deciso che la clausura era la mia strada.
Come reagirono i suoi genitori e il suo fidanzato?
Dirglielo non è stato semplice. I miei genitori erano un po’ preoccupati all’inizio, soprattutto mia madre che era claustrofobica e all'idea della clausura aveva un po’ paura. Però quando ha visto che ero felice, mi ha lasciato andare ed è stata molto contenta anche lei. Il fidanzato, inaspettatamente, ha avuto una reazione di grande rispetto per la mia scelta. Era come se gli ostacoli si sciogliessero lungo il percorso verso il mio obiettivo.
All'epoca, oltre a giocare a basket, lavorava in una vetreria a Murano. Come accolsero la notizia il suo allenatore e il suo datore di lavoro?
Riportare indietro la maglietta con il numero 9 è stato per certi versi molto doloroso, dall’altra parte liberante perché sentivo che seguivo la mia strada. Il datore di lavoro tentò una trattativa, pensava fosse un problema economico, provò a invogliarmi con più soldi e una macchina, ma ero troppo convinta. Ci sentiamo ancora e ci vogliamo un sacco di bene.
Ha scelto la clausura. Come mai una decisione così drastica?
Sentivo dentro di me che corrispondeva alle corde più profonde del mio essere, a quel desiderio che avevo da bambina di andare nel deserto con la Bibbia. Nel monastero ho trovato una sintesi tra l’ora et labora: la preghiera profonda ma anche l’attività, fare qualcosa per gli altri sebbene dall'interno del monastero.
Quali sono le regole della clausura?
Dove sono entrata inizialmente c’era la grata. A Bastia, invece, non c'è e la clausura è più leggera. Clausura monastica che ti permette un contatto con le persone, c’è una grande dedizione al prossimo.
Dunque la sua non è una vita esclusivamente contemplativa, ma anche rivolta ai più bisognosi?
Sì, nel monastero ci sono delle aree dedicate all'accoglienza, si possono servire i poveri che si affacciano, si fa tantissima attività di ascolto della sofferenza del prossimo tramite il telefono o il parlatorio, si fa accoglienza quindi veniamo a contatto con il dolore degli altri.
I ritmi del monastero: sveglia alle 5, poi preghiera e lavoro
Com'è una tipica giornata nel suo monastero?
Ci alziamo alle 5 e preghiamo dalle 5:30 alle 08:30. Poi andiamo a colazione e inizia la fase lavorativa. Dalle 09 a mezzogiorno c’è il lavoro, poi preghiera, pranzo, un po’ di riposo o studio a seconda dell’età, poi preghiera, lavoro, preghiera e lavoro. Ora et labora. Portiamo avanti tante attività come lavorare nell'orto, prenderci cura delle sorelle più anziane, fare l'uncinetto, decorare le icone sacre. Una vita ricca, non sprechiamo un minuto della nostra esistenza. Ogni istante è pensato e impiegato bene.
Il suo nome all'anagrafe è Erika Scarpa. Nel suo percorso spirituale lo ha cambiato in Noemi. Che significato ha il gesto di cambiare nome e come mai ha scelto Noemi?
Quando si riceve il nuovo nome è come se iniziasse una vita nuova, il cui stile è racchiuso in quel nome. Noemi significa dolcezza. Volevo fare questo di me, volevo compiere una trasformazione da una vita per certi versi dura, con un carattere forte, scontroso a una persona dolce e tenera verso gli altri, che offre ascolto e gentilezza.
Per fare un percorso come il suo occorre fare voto di ubbidienza, povertà e castità. Spesso si crea dibattito su questi voti e ci si chiede se non siano ormai superati. Lei cosa ne pensa?
Bisogna capire bene la percezione del voto. Il voto è qualcosa che ci libera dentro il cuore, libera dagli affetti morbosi, dalla proprietà privata, dal possedere le cose, dal desiderio di potere, da queste passioni che ci abitano. È ovvio che se avessimo una famiglia nostra, questa avrebbe l’esclusiva. L’energia e il tempo verrebbero dedicati ai figli. Invece in una vita consacrata, tramite questi voti, lo sbilanciamento è verso Dio, la preghiera e il povero. Non li sento vincolanti, liberano il cuore.
Le è mai mancato qualche aspetto della sua vita precedente? Ha avuto un momento di titubanza o di crisi?
Posso avere avuto, giustamente, momenti di crisi, di fatica, di non capirne il senso, però sono dei momenti di crescita. Capitano ogni tanto, servono per guardarsi dentro, fare il punto della situazione e fare un passo avanti. È come una sorta di verifica, ogni tanto vengono fuori. Però che mi manchi qualcosa no. Sono felice e realizzata.
Oggi è Madre Badessa del monastero delle Benedettine di Sant’Anna. Cosa implica il suo ruolo?
La Badessa è la responsabile, la madre della comunità, non solo a livello spirituale ma anche organizzativo. È colei che decide la linea e come orientare la comunità. È un po’ come il capitano della nave, qualcuno che dà una rotta, che indica come si vuole vivere la Regola oggi, anche perché è una Regola che va aggiornata, incarnata in una situazione diversa rispetto a quando è stata scritta.
Le capita di sentire il peso della responsabilità?
Diciamo di sì. Da una parte c'è la responsabilità a livello civile, organizzativo, di accudimento delle sorelle, di non fare mancare loro niente, di trattarle bene, di essere una madre. Dall'altra c'è una grande responsabilità davanti a Dio: garantire una vita spirituale matura, che cresce.
La cucina delle monache: Madre Noemi, Suor Debora, Suor Miriam e Suor Eleonora tornano con la terza stagione
Nel monastero ha trovato uno scrigno che conteneva delle ricette risalenti anche ai primi del ‘700.
Erano nell'archivio storico. Scritte a mano in un italiano antico, non di facile lettura, andavano decifrate, tradotte e trascritte. Ho fatto questo lavoro insieme a un archivista e ne è nata una pubblicazione per non perdere la memoria storica e per evitare di toccare troppo questi foglietti, sciuparli e perderli.
Mi ha colpito molto il modo in cui queste ricette sono scritte. I tempi di esecuzione sono scanditi dalla preghiera: ad esempio il tempo di un Credo, il tempo di un Gloria al padre.
Sì, è bellissimo leggerle, perché ci sono tutti questi aspetti che rispecchiano non solo la vita del monastero ma la vita del tempo.
Insieme a Suor Debora, Suor Miriam e Suor Eleonora ha un programma di cucina su Food Network, La cucina delle monache. Come mai avete deciso di aprirvi a questa esperienza televisiva?
È nato tutto dalla pubblicazione delle antiche ricette. È uscita una nota sull’Ansa, poi un servizio del Tg1. Galeotto fu quel libro che ci ha fatto conoscere a Food Network che ci ha chiesto di cucinare in video queste ricette. Noi, un po’ ignare di dove saremmo andate a imbarcarci (ride, ndr), abbiamo accettato questa avventura. Le puntate sono state realizzate dentro il monastero, abbiamo fatto vedere quello che facciamo durante il giorno. Per noi non cambia niente, se non l'avere una telecamera sul posto di lavoro.
Qual è la sua ricetta preferita?
Mangio molto volentieri (ride, ndr). Preferisco i dolci, la priora è bravissima a farli. Mi piacciono i dolci alle nocciole tipici del Centro Italia. Come piatti, invece, prediligo i carboidrati. Mi piacciono le pizze come quella al pesto, le paste, le torte. Insomma, i farinacei.
Quando si passa dall’apprezzare il cibo al peccato di gola?
I peccati sono solo quelli che fanno male a se stessi o agli altri. In caso contrario credo non ci possa essere peccato. La cucina, così come ci hanno insegnato le mamme e le nonne, è sempre stata un atto d’amore. In quanti ci siamo sentiti dire: “Hai mangiato? Mangia mi raccomando”.
Il 19 maggio andrà in onda l’ultima puntata della Cucina delle Monache. Ci sarà la terza stagione?
Sicuramente il programma continuerà. Abbiamo deciso di andare avanti perché in tantissimi ci scrivono sui social o ci vengono a trovare e dicono che facciamo tanta compagnia, che diamo serenità. Quindi ci hanno chiesto di continuare, la vox populi ha detto così.
Sapete già quando tornerete in onda su Food Network?
Penso verso Natale.
Questa esperienza televisiva è stata accolta bene nella vostra comunità o c’è chi ha criticato un’eccessiva apertura al mondo?
I primi passi sono stati un po’ timidi, avevamo paura dei feedback, in particolare di quelli delle anziane che non sono abituate a queste cose. Però abbiamo visto che il bene che si faceva era maggiore rispetto alle critiche. In tanti ci hanno ringraziato, anche le monache sono contente perché così siamo venute a contatto con tante persone che si confidano, che ci scrivono. È stata una evangelizzazione domestica.
Il segreto della felicità secondo Madre Noemi Scarpa
Ritiene di avere trovato nel monastero la felicità che cercava?
Assolutamente sì.
Che consiglio concreto darebbe a chi vive un momento tormentato e vorrebbe ritrovare un po' di serenità?
Prima di tutto di rallentare perché a volte abbiamo ritmi disumani. Il monastero in questo aiuta perché la preghiera ti fa fermare, ti fa ascoltare, ti fa cantare. E poi consiglio il lavoro nell'orto, il contatto con la natura, immergersi nel verde, toccare la terra. Tutto ciò aiuta il corpo a rilassarsi, a calmarsi, perché la natura scandisce un ritmo più lento. Se metto un seme, non trovo la zucchina il giorno dopo, devo sapere attendere. Suggerirei di fermarsi, respirare, guardare un fiore e accarezzare una foglia, stringere un po’ di terra in mano. Cose molto semplici, bisogna tornare alla natura. Vorrei dire un'altra cosa.
Prego.
Si può essere felici nella vita, l’importante è ascoltarsi dentro, trovare la propria strada e avere il coraggio di percorrerla, anche se può sembrare doloroso lasciare i soldi, lasciare gli affetti. È un lasciare per trovare qualcosa di più grande, che è il nostro sogno, quello che ci abita profondamente.