Suor Debora, architetto in clausura: “Sentivo un vuoto che fidanzati e carriera non colmavano, oggi vivo in pienezza”
La cucina delle monache torna su Food Network, canale 33, da domenica 27 ottobre alle ore 17:50. Fanpage.it ha intervistato suor Debora Chinaglia, monaca e architetto, protagonista del programma con Madre Noemi Scarpa, 45 anni, Suor Myriam D'Agostino, 40 anni, e Suor Eleonora Merlo, 29 anni. Suor Debora ha 42 anni, quando ne aveva 29 ha preso i voti ed è entrata nel Monastero Benedettino di Sant'Anna a Bastia Umbra. Prima di abbracciare la Regola di San Benedetto, la clausura monastica e i voti di povertà, obbedienza e castità, la sua vita era molto diversa. Aveva da poco conseguito la Laurea in Architettura, girava il mondo e dopo una missione in Cina, pensava di aprire uno studio di architettura per mettersi in proprio, ma ha prevalso il desiderio di silenzio e la ricerca di quella pienezza di vita che le mancava:
Nel lavoro di architetto vivevo esperienze interessanti ma mi mancava qualcosa. Anche quando stavo con qualche ragazzo, sì stavo bene perché li sceglievo bellissimi, però mi dicevo: "Ma è tutto qui?". Sentivo questo vuoto. La prima volta che sono entrata in monastero ho avuto la sensazione di essere a casa. Eppure nella mia testa non c'era l'idea di farmi monaca. È stato un percorso lento. La mia decisione non è stata accolta bene dalla mia famiglia. Penso che nessuno abbracci con leggerezza povertà, castità e obbedienza, ma questi voti servono per liberare il cuore. Oggi ho trovato la pienezza che cercavo.
La storia di Suor Debora Chinaglia, da architetto a monaca
Com'era la sua vita prima di entrare in monastero?
Intensa come lo è adesso. Sono nata a Venezia, provengo da una famiglia di avvocati. Sono la sesta di otto figli, quindi c'è sempre stata tanta vita attorno a me. Ho frequentato la Facoltà di Architettura. A 24 anni ero già architetto, avevo passato l'Esame di Stato. Ho lavorato cinque anni in giro per il mondo. Ho fatto un'esperienza in particolare in cui mi è sembrato di toccare le stelle con le mani.
Me la racconti.
Selezionavano 30 architetti provenienti da tutto il mondo per partecipare a un master con Glenn Murcutt, il mio architetto preferito in assoluto che si trova in Australia. Quasi per scherzo mandai il mio curriculum e i miei disegni. Dopo qualche mese mi comunicarono di avermi selezionato. Prima di entrare in monastero stavo pensando di aprire uno studio, mettendomi in proprio.
Come è avvenuto il passaggio dal desiderio di aprire uno studio di architettura a prendere i voti?
È stato un percorso lento. Nonostante queste interessanti vicende lavorative mi mancava qualcosa, quello che avevo non mi bastava. Anche quando stavo con qualche ragazzo, sì stavo bene perché li sceglievo bellissimi, però poi mi dicevo: "Ma è tutto qui?". Pensavo: "Magari quando ci si sposerà e avrò qualche figlio sarà diverso, proverò quella pienezza". Sentivo questo vuoto per cui ho deciso di fare un'esperienza radicale. Una missione di nove mesi in Cina.
E come è andata?
Ho messo in pausa la mia vita lavorativa privilegiando quella personale. Ho conosciuto un popolo bellissimo e accogliente. Quando sono tornata in Italia ho sentito il bisogno di stare in silenzio, di riflettere sui mesi appena trascorsi per capire se ritornare o meno in Cina. Il collegamento per me è stato fulmineo: silenzio uguale monastero. Allora ho chiamato Madre Noemi – la conoscevo da prima che prendesse i voti – e le ho chiesto di poter trascorrere una settimana a Bastia.
La cucina delle monache, Suor Debora e la clausura: la reazione della famiglia
Cosa ha provato la prima volta in monastero?
Ricordo che nel chiostro ho avuto la sensazione di sentirmi a casa. Ho trascorso una settimana in cui mi hanno fatto lavorare tantissimo (ride, ndr). Quando sono tornata a casa, ho avvertito il desiderio di tornare. Mi sentivo proprio attratta. Eppure nella mia testa non c'era l'idea di farmi monaca. Dopo sei mesi di questo andare e venire, Madre Noemi mi ha chiesto: "Perché non provi a stare qui un mese?". Ho fatto questo tempo un po' più lungo e poi ho deciso di darmi un tempo senza tempo.
La sua famiglia come ha accolto la notizia che avrebbe abbracciato la clausura monastica?
All'inizio la mia decisione non è stata accolta bene. Mio padre sperava di avermi vicino e di appoggiarmi nel lavoro di architetto. La mia famiglia è molto cristiana ma praticare la fede in questo modo non rientrava nei loro panorami. Ci sono voluti almeno un paio di anni per accogliere in pieno questa mia scelta. Mi vedevano serena, non potevano attaccarsi a niente per chiedermi di tornare a casa.
C'era anche un fidanzato a cui ha dovuto comunicare la sua decisione?
No, già prima di andare in Cina avevo capito che probabilmente non era quello che cercavo. Una relazione non mi bastava. Certo, quando stavo con i miei fidanzati pensavo a una vita piena come l'avevo vissuta io in famiglia, però avevo anche l'impressione che stando con loro mi mancasse qualcosa.
Cosa ha significato per lei abbracciare i voti di obbedienza, povertà e castità?
Quando si intraprende un tipo di vita così anomalo, all'inizio non si è pienamente consapevoli di questa scelta, ma la si professa sapendo che non ci si basa solo sulle proprie forze. È un percorso e questi voti prenderanno corpo cammin facendo. Penso che nessuno abbracci con leggerezza povertà, castità e obbedienza. La regola di San Benedetto dice che piano piano, mentre si fa questo percorso, ci si accorge che il cuore si dilata. Ci fidiamo di queste parole e, andando avanti, scopriamo che è veramente così. Questi voti servono per liberare il cuore, per rendere libero l'uomo.
In definitiva, cosa ha trovato nel monastero che la sua vita precedente non le dava?
La prima parola che mi viene in mente è pienezza, ecco, il monastero insegna a gustarsi la vita come un dono ma in pienezza, incontrando anche i propri limiti, guardandoli in faccia, affrontandoli e andando sempre più in profondità. Qui in monastero siamo più di venti. La vita comune che svolgiamo quotidianamente ti chiama a essere presente.
C'è qualcosa che invece le manca?
La laguna di Venezia. Me ne rendo conto quando torno a casa e già da lontano sento il profumo dell'aria. Ti richiama, ti appartiene. Mi dà l'idea che la mia scelta sia ancora più autentica perché ricordo cosa ho lasciato per cercare altro.
Ha mai avuto momenti di crisi?
Potrei dire che vado a braccetto con momenti di titubanza. Credo faccia parte di questa vita non comune. All'inizio, nei momenti di difficoltà, arrivava rapida l'idea: "Forse ho sbagliato". Adesso, invece, comprendo che ci sono parti di me che chiedono di essere ascoltate e quindi i momenti di crisi sono occasioni per potermi conoscere meglio e per andare in profondità. Quello che mi interessa è poter sentire il Padre che è vivo dentro di me – dentro ognuno di noi – nella relazione che ho con le mie sorelle.
Il suo lavoro di architetto è utile in qualche modo nella sua vita monastica?
Sì, San Benedetto dice che ogni monaco deve mettere a disposizione ciò che sa fare per il bene della comunità. Io e un'altra consorella, anche lei architetto, abbiamo uno studio di architettura nel monastero. Io mi occupo di tutte le nostre pratiche, ad esempio i rapporti con la Soprintendenza. Per me questa professione è un canale attraverso cui si esprime la bellezza che è una cosa di cui sono assetata e di cui vado in cerca. È il mio modo di guardare le cose del mondo.
Cosa intende per bellezza?
Qualsiasi cosa in grado di affascinare, che ti attira, ti disarma e non puoi dire di no.
La vita in monastero: sveglia alle 5, tre ore di preghiera poi il lavoro e gli ospiti
Qual è la sua giornata tipo?
Sveglia alle 5. Alle 05:30 inizia la preghiera e va avanti fino alle 8:30. La Parola è la fonte da cui attingiamo per tutta la giornata. Dopo le 08:30 c'è la colazione e poi si lavora fino a mezzogiorno. Nel mio caso il lavoro di architetto, ma non solo. Ora sto aiutando suor Myriam con l'azienda agricola, mi occupo della parte grafica ma anche della parte relativa ai terreni, l'ordine dei semi, la burocrazia. Poi possono arrivare degli ospiti e tutto si interrompe in base alle priorità. Non c'è una giornata uguale all'altra. Quando ci sediamo tutte insieme per pregare finalmente ci riposiamo (ride, ndr).
Cos'è la felicità per lei oggi?
Ogni giorno si possono avere tanti momenti di felicità, che sono bilanciati da momenti opposti, di tristezza. Le due cose vanno a braccetto. La vita in monastero ti educa a stare nei tempi di felicità e in quelli di tristezza. Stai, anche se oscilli non succede niente, tu vai dritta tanto sono cose che passano. Per essere felici alla fine della giornata penso basti stare insieme alle consorelle, condividere qualcosa di importante con qualcuno o semplicemente assaporare le piccole cose belle che sono accadute. E quando si sente il desiderio di dire: "Adesso basta, adesso vado via" e non si riesce a placarsi, noi guardiamo alle nostre monache anziane.
Mi spieghi meglio.
Sono state in monastero 70 – 80 anni e di mareggiate ne hanno passate tante. Stare con loro anche senza dire niente basta a far passare un momento impegnativo. Ti danno l'idea di donne stabili, solide nonostante le fragilità del corpo. Per noi sono fondamentali perché vedi dove porta questa vita.
La cucina delle monache torna con nuove puntate: da domenica 27 ottobre su Food Network
Domenica 27 ottobre torna La cucina delle monache su Food Network. Cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova edizione?
Tante curiosità e ricette antiche che rischiavano di andare perdute e che abbiamo riscoperto facendole. Alcune risalgono addirittura al Medioevo e un paio di ricette sono inedite, non sono mai state fatte da nessun altro monastero.
Il pubblico vi sta mostrando un affetto straordinario.
A noi fa veramente molto piacere. È stata un'esperienza impegnativa, però molto, molto bella perché ci ha fatto conoscere tante persone veramente preziose. Vengono a trovarci in monastero e si presentano come se ci conoscessero. Si sentono liberi di raccontarsi, ci consegnano parti delle loro vite che ognuno di noi porta nella preghiera. Poi ti ci affezioni. C'è questo scambio, questo volersi bene molto bello.
È accaduto qualche imprevisto divertente mentre registravate le puntate?
Certo, da morire dal ridere. Soprattutto con le ricette antiche. Le monache nel ‘700 non avevano il fornelletto, né le bilance, quindi nelle loro ricette è un tripudio di "Un pugno di questo", "Cuocere il tempo di un'Ave Maria". Ma veloce o lenta? Magari doveva venire fuori un cibo solido e invece è venuta una roba proprio…Però l'abbiamo lasciato così (ride, ndr).
Il 29 ottobre uscirà anche il vostro libro edito da Vallardi, cosa troverà il lettore tra quelle pagine?
Il cuore del nostro monastero, una comunità, delle donne che accettano la scommessa di dimostrare che è ancora possibile vivere la vita monastica oggi in pienezza di vita. Il cibo è molto legato a questo, è un modo di stare insieme, di condividere il tempo, cose buone che portano convivialità. Ci auguriamo che i nostri lettori, cucinando cose semplici però buone, recuperino il gusto di stare insieme e di fare del bene.