Stefano Rapone: “Tintoria va avanti, il nuovo podcast con Ferrario era solo una parodia”
Podcast, podcast, podcast ovunque. Di recente questo linguaggio, anche per effetto della pandemia, si è ritagliato uno spazio molto interessante anche in Italia, stimolando la nascita di prodotti che sono diventati molto popolari, oltre che i canali di espressione preferiti per molti personaggi noti del mondo dello spettacolo e non solo. Tra questi c'è Tintoria, di Stefano Rapone e Daniele Tinti, reduce da una settimana in cui si è parlato di una possibile chiusura in relazione alla notizia di un nuovo progetto che vede protagonisti lo stesso Rapone e Edoardo Ferrario. È proprio Stefano Rapone a raccontarci quello che è successo.
Partiamo dalla cronaca recente. Tu e Ferrario avete annunciato questo nuovo podcast, scherzando su un possibile litigio con Tinti e ironizzando, ovviamente, sulla storia Fedez-Luis Sal. Che è successo per davvero? È successo davvero qualcosa?
No. In realtà questo nuovo podcast è una semplice gag. Nasce dal fatto che Ravenna e Tinti hanno fatto il loro podcast di sport, Taq, e io e Ferrario abbiamo voluto farne uno in risposta, una cosa per ridere tra noi, una presa in giro. Loro due hanno in comune questa cosa dello sport, mentre io e Edoardo siamo molto diversi e non abbiamo nulla in comune.
Solo una boutade? Tintoria va avanti?
Assolutamente sì, è una semplice presa in giro a loro e anche al mondo e al linguaggio dei podcast. Ci siamo accordati sull'iniziare facendo quelli che non sapevano cosa dirsi, poi si è evoluta in una sorta di anti podcast, un'ora di parodia. Non a caso si chiama UOM: un'ora muti. Inizialmente era previsto stessimo tutto il tempo in silenzio, pubblicandolo senza video.
Silenzi, sonate di flauto di Supereroi di Mr.Rain, situazionismo puro. Il podcast resta anche un territorio di cazzeggio.
Alcune cose le abbiamo scritte, però in realtà la maggior parte sono improvvisate sul momento e sono quelle venuto meglio. In effetti il proposito era quello di una parodia di quel mondo, ce ne sono ovunque e volevamo farne uno che fosse la negazione dello stesso, lungo e inascoltabile.
Che nascano (anti) gossip e parodie è però testimonianza del fatto che c'è un mercato del podcast e le cose iniziano a farsi seria. UOM resterà una puntata unica?
Sì, solo quella. Magari ne faremo un'altra se ci andrà, ma l'idea era proprio annunciarla in pompa magna e poi fare un contro podcast.
Parliamo invece di "Tintoria", il podcast con Daniele Tinti, che invece ha avuto una svolta, è diventato anche un contenitore per ospiti e temi non comici.
La filosofia che c'è stata sin dal principio era chiamare persone per noi interessanti. Inizialmente erano tutti comici perché del nostro giro, più a portata di mano, ma c'era anche la volontà di esplorare i loro percorsi. Si spaziava già tra musica e giornalismo, ma oggi abbiamo chiaramente la possibilità di chiamare persone che prima apparivano irraggiungibili. Penso a Marco Cappato, ma anche ai casi di Rocco Tanica, che ci ha raccontato della depressione, o di Ceccherini che ci ha parlato delle dipendenze. È bello che qualcuno si senta libero di venire lì, si senta a suo agio al punto tale da raccontarsi in una chiave più intima e conviviale.
Strappare l'aneddoto, la dichiarazione per il reel sui social, Tintoria è diventato anche questo. Andate in quella direzione?
Questo on è un effetto del tutto consapevole, almeno parlo per me. Ci è capitato, ci siamo resi conto che usciva fuori dalla conversazioni. A noi interessa l'ospite, al di là dell'intrattenimento e delle notizie che ne escono, ma capita che chi viene da noi si senta libero di dire certe cose. Pietro Sermonti, dopo la puntata, ci disse che era contento perché era venuta fuori la verità. Magari interessa anche questo, in un mondo in cui si tende a far vedere la parte migliore di se stessi, soprattutto attraverso i social, possono venire fuori ritratti inediti delle persone.
Il giornalismo viene spesso contestato spesso per i titoli, per gli effetti della sintesi. Nel podcast invece non avete questa responsabilità. A spezzettarvi ci pensano gli altri.
Sì, ci aiuta molto la dilatazione del tempo e anche il non avere necessità di dare un titolo, avvertire che stia arrivando quella parte specifica. A noi non preme nemmeno lo scoop, può capitare che ci sia un ospite che dice delle cose pesanti e noi lo invitiamo a dire il nome perché tanto poi lo tagliamo. Lo spirito è proprio quello di puntare a una bella conversazione. La notizia non ci interessa.
Però se arriva…
Se arriva ben venga, ma ci interessa il complesso, che uno veda quella chiacchierata dall'inizio alla fine e non per la dichiarazione boom.
Ti rapporti a diversi tipi di linguaggio, dalla stand up al podcast, passando per la Tv e i fumetti. Qual è quello in cui galleggi meglio?
Di base sono un comico, il primo amore resta la stand up.
È la più semplice perché è tutto in capo a te?
No, anzi, forse è la più complessa per questa ragione, ma il momento in cui crei è la parte più bella, perché ti permette di elaborare delle cose dolorose, fastidiose e frustranti della tua vita, in cui riesci a vedere il lato comico. Le riesci a trasformare in qualcosa che fa ridere prima te e poi il pubblico. C'è una sorta di catarsi quando crei un monologo comico. Insomma, il podcast mi diverte, ma il primo amore resta quello.
Per questo suo elemento personale, il monologo di stand up è spesso comparato alla psicanalisi. Sei d'accordo?
È sempre rischioso fare questo paragone, perché poi spesso c'è chi la vede in questo modo, va sul palco e racconta i cavoli suoi e basta senza preoccuparsi che le cose facciano davvero ridere. Ma la cosa importante è che ci sia un processo affinché queste emozioni negative si trasformino in positive attraverso la risata, tua e di chi ti ascolta. Mi capita spesso di pensare a temi di cui vorrei parlare, ma che è difficile tramutare in cose divertenti, quindi le metto da parte.
La Conferenza Stampa, Gialappa Show, sia come autore che come comico lavori spesso in Tv, che a differenza della stand up impone i suoi paletti. Rispettarli, aggirarli, ti diverte di più o di meno?
La Tv è interessante fino a un certo punto. Fino a un po' di tempo fa c'era l'impressione che non spostasse molto come attenzione. Un paradosso per cui se facevi la televisione ti dicevi che tanto non la vedeva nessuno. C'era la sensazione che un monologo, messo su Youtube, sarebbe stato visto da più gente che in Tv.
Quando dici "nessuno" parli di nessuno tra le persone che verrebbe a vederti a teatro? È una questione di target?
Beh, anche questo. La televisione in fondo la vedono persone di una certa età, è come fare delle cose che non sono percepite da chi frequenti o da chi ti viene a vedere. Ora che sto facendo questa cosa con la Gialappa's, che sta andando molto bene, ho notato una dinamica strana. Quando mi hanno annunciato nel programma tutti a farmi i complimenti, come fosse un traguardo raggiunto per la prima volta, ma io cinque anni fa avevo già fatto un programma con loro, Mai Dire Talk, in prima serata su Italia 1, che è come se fosse stato cancellato dalla memoria. Resta che la Gialappa's sposta, così come Una Pezza di Lundini, che magari non veniva visto in televisione ma era molto famoso.
Hai lavorato, appunto, anche a Una Pezza di Lundini, che ha spopolato su piattaforme e social, ma per la matematica della televisione è stato reputato un non successo.
Un caso strano. Se un programma ha successo sul web e piattaforme è comunque un successo. Magari la Rai dice che fa pochi ascolti, però lo vede comunque un sacco di gente. Probabilmente l'Auditel non è più l'unico parametro da considerare per determinare il successo di un programma, è più complessa di così.
Discorso simile vale anche per La Conferenza Stampa, nato su RaiPlay ma molto adatto alla Tv, tant'è che ora va in onda su Rai2.
Sono d'accordo, quello è proprio un programma per ragazzi che dovrebbe andare in onda se e quando i ragazzi stanno davanti alla televisione.
Se a Una pezza di Lundini e La Conferenza Stampa aggiungiamo Battute, il denominatore comune è Giovanni Benincasa, mente dei tre titoli.
È stato lungimirante, ha dato più di chiunque altro spazio in Tv a tutta una schiera di comici, di cui faccio parte, che altrimenti rischiavano di rimanere nell'ombra. Battute è stato sfortunato, era nato l'anno prima del Covid e doveva essere rinnovato, se non sbaglio, ma poi per forza di cose non si è potuto più fare. Però dalle ceneri di Battute è nato Una Pezza di Lundini e la cosa è andata bene sia a Valerio che a Emanuela Fanelli, ma anche a me che ci ho fatto delle cose. È importante che Benincasa abbia credito in Rai, un carrozzone dove è molto difficile riuscire a fare delle cose anche a livello burocratico. Che ci sia una persona come lui, nota e stimata, dà la possibilità di fare cose belle e sperimentali. Non è scontato.
Anche per la Gialappa's si potrebbe dire la stessa cosa?
Decisamente sì. Con loro mi sono trovato benissimo perché ti lasciano fare, ti ascoltano, sono sempre molto aperti. Se gli proponi cose che non gli vanno a genio non ti dicono di no, ma magari ti suggeriscono accorgimenti, deviazioni. C'è sempre uno scambio, un rispetto per l'artista. È bello lavorare con persone che hanno una mentalità aperta e che capiscono, effettivamente, cosa faccia ridere.
Da anni si parla di satira politica morta, senza margini di esistere. Quello che stai facendo a Gialappa Show, invece, dimostrerebbe il contrario. Gli accadimenti politici degli ultimi mesi hanno aperto un nuovo spazio per la satira?
Secondo me sì. Prima era più complicato perché c'era la buonanima Berlusconi che era difficile da superare. Adesso hai personaggi che fanno delle cose di cui credo si dovrebbe parlare, che magari uno poteva aspettarsi ma non in un modo così palese.
Per esempio?
Beh io penso all'approccio nei confronti dell'immigrazione. Uno già si immaginava il governo andasse da quella parte, ma le prese di posizione, il modo in cui ostacolano le Ong, sono questioni di cui non puoi non parlare.
Però ammetterai che si tratta di temi così evidenti che quasi non lasciano spazio a pretesti comici.
Sì, capisco che mettersi a fare un pezzo dritto rischia di farti diventare un predicatore. Però di base io credo che l'abilità di un comico stia nella capacità di trovare cose il più originali possibili tra temi che, spesso, sono sempre gli stessi. L'abilità nel far ridere è cercare un modo personale di trattarlo. Nella satira vale la stessa cosa.
Il tuo modo qual è?
Non c'è una chiave specifica. Se penso all'immigrazione mi viene in mente che avevo già approcciato il tema tempo fa con un pezzo su Pio e Amedeo. Prendendo spunto da Emigratis, mi immaginavo un reality con loro protagonisti, Immigratis, in cui facevo capitare a loro quello che succede agli immigrati. Era un pretesto proprio per parlare di quel tema.
Il tuo Galeazzo Italo Mussolini a Gialappa Show in fondo ripete argomentazioni e posizioni reali di alcuni rappresentanti del governo, aggiungendoci spruzzate di esagerazione che però sono assolutamente plausibili.
Esatto. Quando dicevo che la Meloni vuole farsi chiamare al maschile, è perché di fondo c'è l'idea che il maschio è quello col potere, come se la donna riconoscesse che quel ruolo lì può essere solo al maschile perché il potere può essere solo maschile.
Tra i tanti linguaggi c'è anche il fumetto. Tu hai studiato lingua e traduzione giapponese. In questo momento questo linguaggio che ruolo ha nella gerarchia delle tue forme espressive?
Il fumetto al momento resta un hobby, li leggo, frequento, cerco cose interessanti, ma farli è complesso perché ci vuole tanto tempo. Inoltre penso che in Italia il fumetto sia ancora visto come una cosa di serie b, al di là di eccezione come Zerocalcare ad esempio. Non mi pare ci sia una cultura molto profonda, anche se noto un cambiamento negli ultimi anni.
Grazie per l'intervista, spero di riuscire a isolare il titolo giusto.
Ma sì, mettici un titolo che abbassi le aspettative. Una cosa tranquilla, l'importante è essere normali.