video suggerito
video suggerito

Stefano Fresi è Kostas: “Un personaggio scomodo, per me e per il pubblico. Diventare padre mi ha cambiato”

Stefano Fresi è il protagonista di Kostas, la fiction di Rai1 tratta dai romanzi di Petros Markaris, che ruotano attorno alla figura di un commissario, fuori dal comune. L’attore romano si racconta, parlando del legame con le sue radici, della fortuna di aver intrapreso un mestiere che è un gioco e anche della sfida di interpretare il primo ruolo principale in una serie tv.
A cura di Ilaria Costabile
37 CONDIVISIONI
Immagine

Parlare di Stefano Fresi significa attraversare anni di cinema italiano, di titoli che hanno avuto grande successo e presa sul pubblico, ma soprattutto significa addentrarsi nel mondo di un attore che non ha paura di cambiare, di cimentarsi in un nuove sfide. Interpretare Kostas Charitos, l'ennesimo commissario in tv, è senza dubbio una di queste, ma l'attore romano non si è lasciato intimorire e, anzi, una volta innamoratosi del suo personaggio ha cercato di renderlo, seppur nella sua scomodità, un uomo capace di incuriosire il pubblico. Della Grecia che fa da sfondo alla serie in prima serata su Rai1, alla capacità di reinventarsi e imparare grazie a un lavoro che gli consente di entrare costantemente a contatto con se stesso e con chi lo circonda, Fresi parla in questa intervista in cui si tocca anche il tema delle radici: "Per me fondamentali".

Primo ruolo da protagonista in una fiction Rai, in un parterre già piuttosto ricco di commissari. Come si combatte il timore del già visto?

Desta preoccupazione interpretare un personaggio in cui scopri il fianco al pubblico, perché se si affeziona diventi un beniamino, se invece un progetto che poteva essere addirittura annoso, non piace, ci si ferma lì. In questo si sente la responsabilità di interpretare un personaggio più grande, rispetto ad uno che magari ha meno i riflettori addosso. Però questa è la sfida che mi ha fatto scegliere di fare questo mestiere. Sono contentissimo per questo privilegio, non posso smettere di ringraziare Carlo Degli Esposti che ha creduto in me

Credi che il fatto di essere girata in Grecia possa essere un elemento attrattivo per il pubblico?

Se lavori sui massimi sistemi, che siano sentimenti o criminalità, cose comuni a tutti noi, credo che il posto sia del tutto accessorio e aggiunga quella punta di esotismo ad un luogo che si conosce poco. L'idea di raccontare la Grecia è un'occasione, per mostrare l'immagine di un paese così vicino al nostro, che siamo abituati a percepire come culla della civiltà, pensiamo alla filosofia, all'arte del sesto secolo, oppure come meta turistica, pensiamo ai paesaggi di Santorini. Ma la sua capitale è una città con tutti i contrasti le gioie, le brutture, le bellezze di città come Roma, Milano, Napoli, Firenze, Berlino o Madrid, quindi credo che aggiunga valore alla serie il fatto di averla girata lì. Poi non avremmo potuto fare altrimenti, perché Petros Markaris prova un amore viscerale la città, la descrive con dovizia di particolari, avremmo fatto un torto se non l'avessimo girata ad Atene.

Parliamo per l'appunto dei libri, quante licenze vi siete concessi?

Tutte quelle necessarie con l'avallo dell'autore, che oltre ad essere illuminato è un grande sceneggiatore, quindi sa che la trasposizione non è il romanzo, ma sono due cose diverse. Ci siamo presi la libertà di ringiovanire un po' Kostas e Adriana, di spostare il racconto un po' più avanti negli anni, quindi il torturatore dell'epoca dei Colonnelli non è più lui stesso, bensì suo padre. Una figura che nei libri c'è, ma è anche più antica. Dalla fine degli Anni 90, nella fiction siamo nel 2009, anno in cui inizia la crisi della Grecia, che storicamente è più vicina a noi, magari il pubblico se lo ricorda e la vede anche da un altro punto di vista.

Immagine

Hai citato la figura del padre di Kostas, una figura sfuggente, con la quale dovrà fare i conti. È un rapporto costruito sulla mancanza o sulla rabbia di un qualcosa che non c'è stato?

Sulla mancanza senza dubbio, sulla presenza invasiva e non costruttiva. Il padre di Kostas non c'è quasi mai, nelle prime venti pagine del primo romanzo, lui racconta di questo padre la cui frase iconica era "la mente vede, la mente sente". Un giorno mentre lui è casa intento a fare i compiti, il padre arriva lo prende per le orecchi e gli dà un ceffone, sgridandolo per aver preso un altro brutto voto in matematica, notizia che lui scoprirà solo il giorno dopo a scuola. Il suo essere poliziotto lo mette in una condizione privilegiata, che lo rende invadente, ma per assurdo non c'è mai. È presente nella maniera sbagliata e quando non c'è fa comunque danni. Ho trovato molto toccante una cosa.

Ovvero?

Gli autori hanno deciso che quando Kostas si troverà a dover affrontare la morte del padre, non verserà nemmeno una lacrima. Crollerà quando si romperà la macchina, di suo padre.

Il rapporto con i genitori richiama anche in certo legame con le proprie radici. Che importanza hai dato tu, alle tue radici?

Viscerale, importantissima. Sono legato alla Sardegna, l'unica cosa che non mi piace della Sardegna è non esserci nato, però ho mantenuto un rapporto viscerale con i miei avi, al punto che ho rilevato in Gallura la terra di mio nonno, insieme a mio cugino che è un agronomo molto bravo, e stiamo rifacendo il vino che faceva mio nonno. È  un modo per riportare tutto a quel giardino di infanzia nel quale siamo cresciuti, per lasciarli ai nostri figli, che altrimenti perderebbero un pezzo di storia della famiglia.

Facendo l'attore hai modo di entrare a contatto con diverse parti di te, del tuo passato, ma hai anche l'opportunità di provare sensazioni che appartengono ad altri, dovendoli interpretare. Cosa hai scoperto di Stefano Fresi che non conoscevi?

Credo che questo sia un lavoro che rischia di migliorarti. Mi spiego meglio. Immagina di andare al pronto soccorso perché ti sei fatta male, ti fanno aspettare ore e inizi a lamentarti della sanità, te la prendi con un infermiere che è lì, ma non ti fa entrare. Poi vieni chiamato per interpretarne uno e studiando scopri perché accadono certe cose, come ad esempio il fatto che non ci siano fondi, il personale è carente, i turni sono massacranti. Il fatto di vivere sulla propria pelle le sensazioni degli altri, ti fa poi rapportare diversamente a quell'umanità quando la incontri. Poi, magari, interpretando qualcuno ti innamori di una cosa che ritieni positiva di quel personaggio e la fai tua. È per questo che chi fa teatro si dice che faccia anche terapia.

Parlando di caratteristiche dei personaggi, c'è un aspetto di Kostas molto interessante, una sorta di ossessione per le parole. Come lo descriveresti dovendone usare una?

Scomodo. Lo dico per le enormi sfaccettature che ha questa parole. Può essere scomodo per chi lo incontra, ma è anche lui a stare scomodo nel rapporto col padre, nel suo lavoro in cui incontra morte, delinquenza, una brutta parte di umanità.

Immagine

A proposito di brutta umanità, le serie crime ormai vanno per la maggiore. Perché secondo te? Al pubblico piace scavare nel torbido?

Può esserci gusto a scavare nel torbido, però credo dipenda da altro, dal fatto che siamo circondati da processi infiniti, casi irrisolti. Quotidianamente si parla di queste vicende, escono serie televisive su delitti irrisolti 25-30 anni fa, forse il pubblico è spinto da un'idea che possa esserci una risoluzione. Nelle serie, diversamente da quanto accade nella vita reale, c'è l'esposizione di un problema che poi viene risolto, c'è della positività. Un modo per esorcizzare la vita.

Kostas è abituato a sfogliare i vocabolari, rappresenta per lui una sorta di evasione. Qual è l'evasione di Stefano Fresi?

Si evade da qualcosa che ti tiene fermo, chiuso, io ho il privilegio di fare il lavoro che è il mio gioco preferito. Ho una famiglia meravigliosa, una vita invidiabile, sto benissimo, non ho grandi cose dalle quali scappare, ma una passione che ho è quella di occuparmi delle persone che ho accanto: cucinare, mostrare loro luoghi meravigliosi. Per la convivialità è una roba bellissima.

Nel 2019 sei stato protagonista del film C'è tempo. Il tuo personaggio, nel suo essere contraddittorio insegnava che si può sempre cambiare, sia qualcosa di se stessi che del mondo circostante. Qual è il cambiamento più grande che pensi di aver fatto o qualcosa che ti piacerebbe poter cambiare?

Il cambiamento più importante che ho fatto è quello di diventare padre, ha spostato l'asse della mia vita dal realizzare me stesso al permettere a mio figlio di realizzarsi. Se c'è qualcosa che cambierei, invece, è la percezione della realtà, inquinata dalla quantità di materiale fake da cui siamo circondati, dai giudizi non richiesti che vengono espressi da tutti sui social. Stiamo sostituendo la sana discussione con lo scontro rigoroso e questo non ci porterà da nessuna parte.

E gli artisti che ruolo hanno in questa spinta al cambiamento?

Credo che l'arte abbia sempre avuto un ruolo importante. Gli artisti devono farsi portatori di un messaggio, puntare il faro su cose che andrebbero cambiate, ma ci vogliono anche delle istituzioni forti, noi possiamo smuovere le coscienze. Poi, certo, dipende da quanto le persone vadano a votare, cosa votino.

Tornando al tuo personaggio, c'è un rapporto con la figura femminile interessante. Conflittuale, ma allo stesso tempo tenero nei confronti della moglie Adriana, protettivo nei confronti della figlia. 

Questo è stato possibile perché Milena Cocozza, che è una regista illuminata, ha fatto un lavoro con Francesca (Inaudi ndr.) e il personaggio di Adriana ha assunto uno spessore che non ha nemmeno nei libri, quindi c'è stato un miglioramento molto profondo. È una donna che trova la sua realizzazione nella vita da madre, poi a un certo punto vorrà lavorare e lo farà pur scontrandosi con il dinosauro che ha come marito. Non è una donna all'antica, come lo è Kostas, che è all'antica nei confronti della figlia, ma se vogliamo della vita, ma nel dialogare con loro è disposto ad esaltare anche una certa morbidezza.

Immagine

Anche sul posto di lavoro, infatti, c'è l'esaltazione di un certo tipo di rapporto uomo-donna. 

Il rapporto che ha con Clio, la segretaria del capo, è bellissimo, ma si vedrà con l'andare avanti delle puntate. Lui si accorgerà che lei è una grande detective e che è sprecata nel ruolo di segretaria. È una bellissima ragazza, tutti la notano per quel motivo, mentre Kostas le riconosce dei meriti oggettivi, delle competenze, all'aspetto quasi non fa caso.

Beh, un messaggio importante e quanto mai calzante al giorno d'oggi.

Sì, decisamente. Il punto è sei in questo posto di lavoro perché sei competente, indipendentemente dalle tue qualità estetiche o scelte sessuali che non hanno alcuna ragione di essere raccontate.

Per concludere, credi di essere un attore stereotipato, che il pubblico sia abituato a vedere in un certo modo?

Sono uno di quegli attori fortunati, a cui sono capitate molte cose, perché c'è Stefano Fresi che ha fatto la commedia e ne ho fatte tante. Però, ho fatto anche Il Nome della Rosa, in cui interpretavo un problematicissimo e deforme frate del Trecento. Sono stato il cattivo in un fumetto con Paola Cortellesi, ho interpretato un componente della Banda della Magliana. Ho assaggiato un po' tutti i ruoli, molti si ricorderanno di me per Smetto quando voglio, le commedie. Però credo che la varietà sia la cosa più bella per un attore, il fatto di poter esperire, non fossilizzarsi su un personaggio, che è una malattia tutta italiana. Un attore avrà sempre voglia di giocare, cambiare.

37 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views