Simona Cavallari: “Da La Piovra a Il Capo dei Capi, ho visto cambiare la serialità in Italia”
Simona Cavallari è un volto noto della serialità televisiva e del cinema italiano. L'abbiamo vista in tantissima serie Tv, titoli che hanno caratterizzato la storia evolutiva di questo formato narrativo in Italia, da La Piovra a Il Capo dei Capi. Parlare con lei dà la possibilità di spaziare tra titoli storici come La Piovra, Il Capo dei Capi, Squadra Antimafia, ma il lettore che si approccia a questa intervista, per onestà intellettuale, deve sapere che il tutto nasce da una divergenza, un punto di vista diverso tra il sottoscritto e l'attrice rispetto alla ripresa di un virgolettato in un'altra intervista recente, nelle quale Cavallari parlava della sua uscita dalla serie Viola come il mare. Serie proseguita nella seconda stagione senza il suo personaggio e senza che a Cavallari venisse data una spiegazione nel merito. È da questo chiarimento, dovuto forse a un eccesso di semplificazione di chi scrive, che inizia la nostra chiacchierata.
Allora Simona, ci spieghi cosa volevi intendere con quelle dichiarazioni?
Intendevo di esserci rimasta male per l'uscita del mio personaggio dalla serie, perché è ovvio che comunque uno si affeziona sempre al pubblico che ti segue e quella serie ha un grosso seguito. Mi dispiaceva proprio per tutte queste persone che invece mi continuano a taggare nelle loro storie, però non volevo assolutamente andare contro la produzione. Di solito quando non sei più nel cast di una serie ti dicono qualcosa oppure ti danno la possibilità di chiudere un personaggio, invece il mio lo hanno raccontato così in poche battute e questo mi è piaciuto poco.
Non hai provato a chiedere spiegazioni?
Non mi sono neanche informata, sinceramente, perché avranno avuto le loro motivazioni. Ho vinto anche un premio per quel ruolo e finalmente era un personaggio un po' leggero. Però ho detto quella cosa assolutamente senza acredine e con il sorriso.
Hai parlato delle condivisioni social dei fan, accennando al peso di questo elemento, ormai, in un lavoro come il tuo. È un aspetto negativo?
Purtroppo sì. Per noi è un po' una sconfitta perché spesso appunto vengono privilegiate alcune persone solo perché hanno più seguito. Ma insomma sappiamo tutti che il talento è un'altra cosa, a volte combacia con i follower, a volte proprio no.
I numeri e il talento sono in qualche modo in conflitto tra loro?
Non per forza, però in qualche modo il professionista è quasi obbligato a sviluppare quella che si chiama la cosiddetta fanbase, cioè in qualche modo a lavorare su un seguito molto personale e verticale che poi diventa una carta da spendersi nel momento in cui il lavoro si cerca. C'è anche chi se ne disinteressa completamente, penso a Elio Germano, è uno che se ne frega, non ha nemmeno i social.
Tu che linea adotti?
Io sinceramente faccio tutto quello che è contro il mio lavoro perché sono, diciamo, sempre non politicamente corretta. Mi piace dire le cose in modo chiaro anche sull'attualità. Credo di non avere una spunta blu perché non sono un personaggio molto incline ad adeguarsi a quello che si dovrebbe dire.
Certo, sono anche strumenti che hanno i loro lati positivi.
Assolutamente, conta usarli nel modo giusto. Si possono lanciare tanti messaggi e appunto io penso che gli scandali recenti ci stiano riportando un po' alla verità, la sostanza. Magari si capisce non ci sia gran senso a seguire questi influencer che non raccontano niente e che fanno solo vedere le loro vacanze e le macchine. Chi influenza dovrebbe, al contrario, risvegliare le coscienze.
Parliamo di recitazione. L'impressione è che oggi iniziare a fare questo lavoro sia più facile di un tempo. È così o alle maggiori possibilità corrisponde anche un maggiore affollamento?
Affollamento sicuramente ce n'è, però quello che io vedo che ci sono anche tanti che poi sono bravi, in tanti mi sorprendono perché riescono a sfruttare i nuovi strumenti in modo originale. È una opportunità sicuramente in più per tante persone rispetto a un tempo, perché comunque in qualche modo la creatività viene sviluppata.
Si ragiona molto spesso no di quanto negli anni anche l'influenza della tecnologia in qualche modo abbia cambiato alcune pratiche lavorative. L'arte attoriale continua ad essere un lavoro puro che non cambia molto?
Quello sì, anche se poi in realtà quando si è passati dalla pellicola al digitale un po' la magia si è persa. Pensare che un tempo montassero proprio a mano il film, io le ho viste le sale di montaggio, era proprio un'alchimia bellissima, c'era molto più attenzione perché la pellicola era estremamente cara, quindi c'era ogni ciak aveva un'altra tensione. Adesso col digitale sembra tutto molto più facile. Dal punto di vista attoriale, però, non è in effetti cambiato molto quindi vabbè.
Insomma, la differenza è che prima recitare era molto più simile alla pratica teatrale.
Esatto, io mi ricordo quando una volta abbiamo girato a Parigi, hanno perso hanno perso il lavoro e abbiamo dovuto rifare tutto, quello che era stato perduto lo era per sempre. Con il digitale tutto ciò non succede e sicuramente ha i suoi pro e i suoi contro.
Storia di una famiglia per bene, avete girato la seconda stagione. Quando ci avete lavorato?
L'anno scorso, era prevista per quest'inverno, ma poi ci è stato detto è che ci tenevano molto e quindi hanno deciso di rimandarla ad ottobre. Ho lavorato molto sul dialetto barese, che non è proprio tra i più facili. Abbiamo avuto una coach per tanti mesi in videochiamata, tutte le vocali sono al contrario e non è proprio una passeggiata.
Il dialetto è una caratteristica della serialità degli ultimi anni, prima si trattavano in maniera molto più approssimativa, mentre oggi c'è grande cura. Come ti sei sentita a lavorare su un dialetto non tuo?
Io non penso che ci debba essere per forza un'aderenza geografica di nascita, ma l'aderenza della scrittura. Secondo me deriva anche dalla libertà che tu hai di realizzare un dialogo.
La serialità ha dato un nuovo entusiasmo alla pratica attoriale?
Questo sicuramente, certo devono sempre arrivare prima gli americani, qua in Italia siamo sempre a ghettizzare gli attori, invece lì tantissimi attori hanno iniziato lavorando nella serialità. Solo negli ultimi anni abbiamo potuto accettarlo anche in Italia, dove per molto tempo c'è stato uno sguardo un po' snob nei confronti delle serialità, che per un interprete può essere una palestra, ma anche la consacrazione.
La serialità, d'altronde, ha acquisito una sua centralità per le nuove generazioni.
Esatto, sono cambiati completamente i modi di fruire. Mio figlio che ha vent'anni non lo concepisce il fatto che che tu una volta non potevi vedere delle cose perché non andavano in televisione.
La Piovra, Squadra Antimafia, Don Matteo, titoli ai quali hai preso parte che segnano delle stagioni della serialità in Italia.
Sì, ci aggiungere anche Pizza Connection, che consacrava il connubio tra Michele Placido e Damiano Damiani alla regia. La Piovra è stata vista da 17 milioni di telespettatori ed ebbe un impatto incredibile. Il tratto comune dei titoli che hai citato mi fa pensare che in Italia siamo molto affascinati dalle nostre storie, anche le più orribili.
C'è stato anche Il capo dei capi tra i titoli ai quali hai preso parte.
Sì, ne nacquero moltissime polemiche, rispetto al modello rappresentato, all'esempio che dava. In generale non credo che ci sia emulazione dietro questa questi successi, penso che la gente abbia ben chiaro quello che è il crimine, a dispetto dell'appeal che può avere una storia.
In questo momento della tua carriera che stagione vivi?
Da un po' di anni, specie con il covid, mi sono molto buttata sul teatro. Amo il rapporto col pubblico, sarà comunque la fortuna di fare dei testi veramente belli. Insomma, piuttosto che fare cose che non mi che non mi soddisfa, preferisco il teatro. C'è una sensibile differenza di compensi rispetto a Tv e cinema, che comunque non disdegno, ma quella del teatro è una dimensione a sé. Molto spesso capita che gli spettatori non ti vedano per anni in Tv e pensino tu sia sparita, mentre sei in giro per l'Italia, in contatto con loro. Forse paga meno, ma le mie soddisfazioni ce le ho e riesco a vivere del mio lavoro. Quindi va bene così, va bene così.