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“Siamo cadaveri che camminano”, l’ultima intervista di Paolo Borsellino poco prima della morte

A 30 anni dall’uccisione di Paolo Borsellino e la sua scorta risuonano forti e drammatiche le dichiarazioni rilasciate a Lamberto Sposini nell’ultima intervista del magistrato, registrata circa 20 giorni prima che morisse: “So che abbiamo il dovere morale di farlo senza lasciarci condizionare dalla sensazione, o financo dalla certezza, che tutto questo possa costarci caro”.
A cura di Andrea Parrella
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Ci sono interviste che fanno storia, non solo della televisione. Nei giorni in cui ricorre l'anniversario della morte di Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta nella tristemente nota strage di Via D'Amelio, risuonano forti, e certamente avvilenti, le dichiarazioni che il magistrato rilasciò nella sua ultima intervista prima di essere ucciso dall'autobomba fatta esplodere a Palermo, sotto casa di sua madre.

L'intervista di Lamberto Sposini a Paolo Borsellino

Il contesto in cui l'intervista venne realizzata è fondamentale. È trascorso poco più di un mese dall'uccisione di Giovanni Falcone a Capaci e il dolore per la sua scomparsa è ancora vivo, soprattutto nell'amico di sempre, Paolo Borsellino che. In questa confessione fatta a Lamberto Sposini, allora vicedirettore del Tg5, Borsellino rievoca i ricordi d'infanzia con Falcone, dato che i due erano nati a cresciuti a poco più di 100 metri di distanza. Quindi il periodo trascorso all'Asinara e il pool antimafia, novità introdotta a Palermo da Falcone e Borsellino per le loro indagini. Dalle parole del giudice traspare tutto lo sconforto per la morte della sua spalla, che non ha tuttavia condizionato in negativo il suo lavoro di indagine, ma semmai lo ha motivato ancora di più.

La paura dopo la morte di Falcone

Il passaggio che più colpisce dell'intervista è quello finale. Sposini chiede a Borsellino se ci percepisse in pericolo. Il magistrato, a venti giorni dalla sua morte, rispose con pacatezza e calma impertubabile:

Ricordo ancor quando Ninni Cassarà (poliziotto vittima di Cosa Nostra, ndr) mi disse "convinciamoci che siamo cadaveri che camminano". La sua espressione potrei ripeterla, ma vorrei farlo in modo più ottimistico. Io accetto e ho sempre accettato il rischio e le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo in cui lo faccio. Lo accetto perché ho scelto questo lavoro e sapevo sin dall'inizio che avrei corso questi pericoli. La sensazione di essere un sopravvissuto e trovarmi in estremo pericolo, non si disgiunge dal fatto che io creda profondamente nel lavoro che faccio. So che è necessario che io e tanti altro lo svolgiamo e so che abbiamo il dovere morale di farlo senza lasciarci condizionare dalla sensazione, o financo dalla certezza, che tutto questo possa costarci caro.

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