Serena Rossi: “Mina Settembre riscoprirà la sua vulnerabilità. La mia semplicità spesso non è stata capita”

Serena Rossi si racconta in un’intervista partendo da Napoli, le sue radici, passando per i ruoli che ha interpretato in anni di carriera, arrivando a Mina Settembre che torna su Rai1 con la terza stagione. Attrice, cantante, artista libera che della sua solarità ha fatto un segno distintivo, ha dimostrato che il talento può essere declinato con serietà e immensa passione.
A cura di Ilaria Costabile
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Per poter raccontare una artista come Serena Rossi, la cosa migliore che si possa fare è mettersi in ascolto. A parlare non è soltanto lei, con la sua voce, il suo entusiasmo, la sua solarità, ma anche i suoi occhi, i suoi gesti, che descrivo un'attrice appassionata, desiderosa di restituire al suo pubblico tutto l'amore che ha ricevuto in quest'anni, in cui è riuscita a farsi apprezzare sullo schermo, piccolo o grande sia stato. Protagonista di fiction di successo, torna domenica 12 gennaio in prima serata con la terza stagione di Mina Settembre, solo uno dei tanti personaggi a cui ha dato vita e calore, in cui ha lasciato una parte di sé e da cui ha permesso di essere attraversata.

La recitazione, ma anche il canto sono le due espressioni più emblematiche del suo talento: "Quando canto mi sento libera, non indosso una maschera" ci racconta, parlando anche di come questa libertà di volersi esprimere spesso sia stata un ostacolo per chi faceva fatica ad incasellarla. Ma la tenacia e la costanza l'hanno premiata, portandola ad interpretare ruoli iconici come quello di Mia Martini in Io sono Mia, al cinema diretta dai Manetti Bros, da Giampaolo Morelli e ora da Cristina Comencini ne Il treno dei bambini, dove ha interpretato una donna distrutta e a tratti incattivita dal dolore, dimostrando che un attore è colui che si discosta dalla sua essenza, regalandone una nuova alla storia che è chiamato a raccontare.

Da marzo, poi, dopo anni di distanza tornerà in teatro con il suo spettacolo SereNata a Napoli. Parlando, poi, di un altro palcoscenico, quello dell'Ariston per il Festival di Sanremo, senza fare appelli ai direttori artistici di turno ammette: "Sarei felice e onorata. Non ho paura, quel palco mi accende". 

Partiamo da Napoli. È stata una costante della tua carriera, è tornata a più riprese. La città sta vivendo una rinascita dal punto di vista delle produzioni, ce ne sono tantissime. È un qualcosa di cui pensi il pubblico possa stancarsi?

Qualcuno che avrà sempre da dire qualcosa di negativo su questa città ci sarà sempre, forse è l’invidia a farli parlare. È la napoletana, quella orgogliosa che c’è in me che viene fuori prepotentemente (ride ndr). Non credo possa stancare perché Napoli ha mille sfaccettature, volti, colori, registri, mille toni, palcoscenici, non si finirebbe mai di raccontarla. Ogni progetto e prodotto che in questo periodo è uscito sull’audiovisivo, racconta diversi aspetti della città. Ogni prodotto parla di Napoli, ma è diverso da quello di prima. Ha un suo linguaggio, fa luce su alcuni quartieri, un certo tipo di umanità, aspetti diversi di questa città che non è mai uguale a se stessa.

Tra i prodotti che ti hanno riportato a Napoli c'è "Il treno dei bambini". Un film che parla di solidarietà, ma anche di rinunce. Quale credi sia la rinuncia più grande che hai dovuto fare finora?

Sicuramente tutti nel proprio percorso per andare avanti devono fare delle rinunce, a tutti i livelli. Le mie non sono minimamente paragonabili a quelle del film Il treno dei bambini, lì parliamo di madri che rinunciano ai propri figli per dargli un futuro, un atto d’amore estremo, assoluto, mettere da parte se stessi, il proprio egoismo, mettendo al centro un figlio. Mi sentirei ingrata a dire di aver rinunciato a qualcosa. Ho perso, sicuramente, anni della mia adolescenza, perché ho iniziato a lavorare molto presto. Cose piccole, semplici, che però ti formano, ti aiutano ad entrare in un gruppo, creano un collante e rapporti che magari restano nel tempo. Queste cose non le ho e mi sono un po’ mancate, però sono rinunce che ho fatto con determinazione, con lucidità, volontà, non ho rimorsi, sono consapevole e lo rifarei altre cento volte.

La maternità è un concetto che sostiene il film, ed è un fil rouge anche nelle storie di Mina Settembre. Finora, il fatto di non farla diventare madre, è stato una scelta per connotare, ancora di più, il personaggio?

Ho sempre pensato che Mina non avesse voluto figli da Claudio, che era suo marito, non per mancanza di amore, ma perché questo accudimento, lo declinava a tutti i suoi assistiti, spesso ragazzi molto giovani che incontrava sul suo percorso. La mamma l’ha sempre un po’ fatta, ma un po' di tutti. Quest’anno, invece, le cose cambiano.

Serena Rossi, Giuseppe Zeno e Ludovica Nasti in Mina Settembre 3
Serena Rossi, Giuseppe Zeno e Ludovica Nasti in Mina Settembre 3

In che modo?

Arriviamo con una terza stagione in cui i personaggi sono cresciuti, quindi Mina sarà più consapevole, avrà una relazione stabile con Domenico, finalmente avrà fatto la sua scelta in amore, deciderà di adottare Viola.  Si troverà con una figlia adolescente e per la prima volta, forse, si sentirà anche vulnerabile su alcune cose, avrà un coinvolgimento emotivo particolare, diverso da quello che ha con i suoi assistiti.

In un’intervista hai detto “Non penso di essere un’attrice egoriferita, accartocciata su se stessa” hai sempre rimandato l’immagine della ragazza dalla porta accanto. Questa tua semplicità pensi sia stata, a volte, penalizzante?

Sì. Sono una persona normale, ma faccio un lavoro straordinario, che mi fa vivere situazioni straordinarie. Ma io non sono il mio mestiere, io lo faccio, non è quella la mia vera essenza. A volte, soprattutto all’inizio, questo essere aperta, caciarona, empatica, mi ha fatto perdere delle occasioni perché non ho l'allure di attrice misteriosa, un po’ tormentata, quindi non venivo messa alla prova su alcuni ruoli magari drammatici, perché dicevano “ma vedi lei com’è, così”. La capacità di un attore è quella di allontanarsi anche da se stesso. Posso essere solare, scherzare, poi mi fai fare Il treno dei bambini e indosso i panni di una donna distrutta, disperata, misera, dura, che sembra addirittura cattiva. Un po’ si confonde questo fatto che l’attore debba assomigliare al suo ruolo, ma anzi non è così, è proprio il contrario, la sfida, il divertimento è proprio quello.

Ti piace, quindi, essere definita popolare?

Moltissimo. Ma io sono felice, la cosa che mi fa più commuovere e mi fa più piacere è sentire l’affetto della gente, le persone che mi vogliono bene. Io quando giro Mina Settembre e passo tanto tempo a Napoli e questa cosa mi arriva come un’onda d’amore enorme. Non sai quante volte ho pianto per la felicità delle persone che mi dicono, grazie per come ci rappresenti, parole d’amore davvero meravigliose. L’affetto del pubblico alla fine è la cosa mi emoziona e che mi commuove di più.

I Manetti Bros sono stati i primi a credere che tu potessi affrontare il cinema, a non porsi paletti sul fatto che fossi protagonista di fiction e cantassi. C’è ancora molta resistenza su questo punto, come pensi si possano scardinare queste convinzioni?

Le chiacchiere stanno a zero, parlano i fatti. I miei genitori mi hanno sempre detto, "Hai acchiappato un palo? Porta chiusa? Testa bassa, continua a lavorare, perché alla fine quello che premierà è quello che tu semini, che è quello che raccoglierai". Sicuramente all’inizio, parlo di vent’anni fa, ci sono state persone che hanno opposto un po’ di resistenza al fatto che io volessi essere un’artista libera, mi piaceva cantare quindi se poteva capitarmi l’occasione di cantare cantavo, se volevo presentare una cosa la presentavo, se volevo fare l’attrice recitavo.

Serena Rossi in "Ammore e Malavita" dei Manetti Bros
Serena Rossi in "Ammore e Malavita" dei Manetti Bros

Ma…

Ma all’inizio si lavorava un po’ a compartimenti stagni, le cose sono cambiate in maniera piuttosto naturale, è stata una battaglia per me e per altri colleghi. Sono contenta perché è come se avessimo spianato la strada, adesso invece c’è una promiscuità, una libertà ed è una cosa meravigliosa. Però l'abbiamo dovuto dimostrare sul campo. Quindi per me parlano i fatti e non le parole. Se uno fa le cose seriamente, le può fare tutte bene.

Viene Premiato? 

Io ci credo.

A proposito di film, Io sono Mia ha segnato uno spartiacque nella tua carriera. Se è vero che ogni personaggio lascia un insegnamento, cosa hai imparato interpretando Mia Martini?

Che le parole sono importanti, che possono ferire, possono far male, ed è una cosa che è arrivata forte a tanti ragazzi che hanno visto il film e non conoscevano la storia di Mia Martini, quelle calunnie, quella cattiveria gratuita che le è arrivata addosso e dalla quale lei non si è mai potuta difendere. Come fai a difenderti dall’accusa di portare sfortuna? Se mi dici non so cantare, canto e posso farti sentire che so cantare bene, se dici che porto sfortuna, come faccio a dimostrarti che non è vero? È atroce non potersi difendere da parole che feriscono. In un tempo in cui tutti hanno la possibilità di esprimersi, hanno la libertà di dire, forse qualche volta bisognerebbe pensarci un pochino di più prima di attaccare, dall’altra parte c’è sempre un cuore e un’anima che ne può risentire e ne può soffrire, bisognerebbe un po’ dosarle le parole.

Serena Rossi nel film "Io sono Mia"
Serena Rossi nel film "Io sono Mia"

Hai raccontato di aver iniziato a cantare da ragazzina. Cosa riesci ad esprimere con la musica, che magari recitando ti è più difficile?

Quando canto mi sento libera, perché non interpreto un ruolo, sono io che racconto una storia, però sono io, mi sento anche più vulnerabile per alcuni aspetti. Non ho una maschera, un personaggio da interpretare, quando canto, sto proprio nel mio, e quando canto e recito, ancora di più (ride ndr.)

Restando in tema di musica. Il tuo nome per la co-conduzione di Sanremo compare ogni anno, ti sei mai chiesta come mai?

Sì, tutti gli anni. Perché secondo me la gente pensa che potrebbe essere una cosa giusta per me, per come sono, perché è un palcoscenico in cui si parla, si canta, ci sono elementi che mi sono congeniali. Fanno il tifo per me, quindi io la prendo sempre come un incoraggiamento, mi vogliono bene quindi sperano che io vada a Sanremo. Ma tant'è.

Serena Rossi a Sanremo 2019
Serena Rossi a Sanremo 2019

So che appelli non ne fai.

Nono, mai, mi vergogno troppo. Però se dovesse essere io sarei la giovane donna, più felice e fortunata. Già lo sono dai, ma quello sarebbe…

D'altronde non sarebbe la tua prima conduzione, penso a Canzone Segreta, ad esempio. 

A me piace stare sul palco, non mi spaventa il palcoscenico, nemmeno quello di Sanremo, ci sono stata varie volte, come ospite, ho cantato, mi accende, mi diverto.

Quindi, una conduzione femminile sanremese, si potrebbe pensare.

Vedremo.

Parliamo d’amore. Nel 2019 Mara Venier ha accompagnato per mano Davide Devenuto in una proposta di matrimonio in diretta tv

Lo chiamano mentre stava giocando a golfo, lo chiamano, “ma cosa sta succedendo? Io sto in campo, tu sei in televisione”. Tutti ignari, ci hanno fatto questo scherzo.

Poi, però, il grande giorno è arrivato.

Ma non per quella proposta, è stato un momento di show. Noi non siamo pubblici in quel senso, le nostre cose ce le viviamo con normalità, non è arrivata nessuna proposta. Ad un certo punto ci siamo detti, ma che vogliamo fare? Sono 15 anni, ci vogliamo sposare? E va bene, organizziamo. Quanti? Bene, eravamo 14, dieci minuti e abbiamo finito.

Serena Rossi e Davide Devenuto alla Mostra del Cinema di Venezia
Serena Rossi e Davide Devenuto alla Mostra del Cinema di Venezia

Niente a che vedere con i matrimoni napoletani. 

No, quello l’ha fatto mia sorella quest’anno e un po’ ho recuperato tutto quello che ho perso. Un sequestro di persona, ma ci siamo divertiti.

Come giudichi il fatto che, essendo un personaggio pubblico, si possa voler entrare nel tuo privato?

Ma non vogliono entrare troppo nella mia vita, credo di non prestare proprio il fianco a questa cosa. Ci sono vari tipi di personaggi, ognuno è libero di fare quello che vuole, c’è chi basa la propria carriera sull’esposizione e sovraesposizione mediatica, la spettacolarizzazione del proprio privato. Da lì viene il fatto che non ho tanti haters, io parlo, amplifico quello che è il mio mestiere, pubblico le cose che riguardano il mio lavoro, non pubblico mio figlio, le mie mie. Non vogliono sapere, anche il paparazzo sotto casa.

Anche a lui non presti il fianco?

Lo guardo e gli dico “Io sto andando a comprare il pesce, se volete venire, venite, ma non vi aspettata niente di che, cose turche”. E loro mi chiedono “ma non uscite tu, Davide e il bambino?” No, perché andiamo a mille, siamo organizzati, quindi no, non se lo aspettano.

A marzo parte il tour di SereNata a Napoli. 

Lo spettacolo si chiama Serenata a Napoli perché è come se io facessi una serenata a Napoli, che è una città, che è una sirena, che è Partenope, che è una donna. Però lo spettacolo sarà in giro in tutta Italia.

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È un po' un ritorno alle origini, chi ti segue dall'inizio ricorderà il musical Scugnizzi. 

Ho fatto questa esperienza con Scugnizzi, ho fatto Rugantino al Sistina, siamo stati a Broadway, è stata una bellissima tournée, poi ad un certo punto ho deciso di interrompere il teatro perché sono diventata mamma, con un bimbo piccolo non mi andava di fare un po’ la nomade in giro, perché il teatro richiede quel tipo di sacrificio, mi sono detta che non era il momento e mi sono concentrata su altre cose. Poi avevo sempre questo desiderio.

E oggi si sta realizzando.

Sì. Vincenzo Mollica mi vedeva e mi diceva “Serenella, tu devi fare una cosa sulla musica napoletana”, Tosca, la cantante, che io adoro “Serena tu devi prendere il repertorio e portarlo ai giovani”. Quest’anno mi sono detta “Ho voglia di farlo, mettiamolo in piedi”. Quindi lo sto scrivendo, producendo, è proprio una mia creatura, ho una esigenza di portare a quelli che magari possono reputare questo repertorio un po’ polveroso, obsoleto, un’altra vita, raccontare queste canzoni che sono  storie meravigliose. È un patrimonio pazzesco, poi studiando, scrivendo, sono venute fuori delle chicche. Sarà un viaggio.

Un'ultima cosa, se dovessi tornare indietro, c'è qualcosa che faresti con un'intensità differente? 

Sì. Ce n’è una però ho una giustificazione troppo forte. Ammore e Malavita dei Manetti Bros, il film con cui sono stata anche in concorso a Venezia, è stata un’occasione enorme per me. Ma io ero incinta mentre giravo, avevo la testa da un’altra parte, quindi forse se potessi tornare indietro, qualcosina di quel film la rifarei in maniera diversa, però ero giustificata, perché stavo facendo la cosa più bella della mia vita.

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