Sarò con te, il film sul Napoli di Andrea Bosello: “De Laurentiis ha capito che Spalletti era il protagonista”
Sarò con te, il film diretto da Andrea Bosello, esce il 4 maggio nelle sale italiane per raccontare un’annata storica per il calcio a Napoli. La vittoria del terzo scudetto, trentatré anni dopo l’ultimo trionfo, ha consegnato alla storia tutti i protagonisti della stagione 2022/2023. Il film documentario, nato come progetto seriale prossimamente distribuito in piattaforma, riesce nell'intento di raccontare le grandi emozioni, i segreti coi suoi non detti, di un gruppo che per nove mesi è stato legato in maniera inscindibile con la sua tifoseria e la sua città.
Andrea Bosello, con ritmo e scelte narrative felici, non scade nell'agiografia ma mette in scena un racconto vero di una cavalcata che ha avuto anche i suoi momenti dolorosi: "Il racconto di Napoli-Milan è la cartina tornasole di come è stata accettata questa produzione da parte del Napoli calcio", racconta a Fanpage.it. E su Aurelio De Laurentiis: "Ha fatto il produttore cinematografico. Ha guardato il film con l'ottica di capire che cosa mancasse e non che cosa volesse all’interno. Quando ha visto che il protagonista indiscusso era Spalletti, ha capito che era quella la carta in più, il poker d’assi e ci ha lavorato sopra". Su Spalletti: "Luciano sembra un personaggio della storiografia romana, uno come Lucio Quinzio Cincinnato. Dopo aver preso il potere torna in campagna per coltivare la sua terra". Il pubblico, tre sale tutte piene all'anteprima del 2 maggio al Metropolitan di Napoli, ha dimostrato di gradire il film, esultando e applaudendo a ogni gol: "Sembrava di essere allo stadio".
Andrea, come hai lavorato nel racconto dei calciatori?
I calciatori non sono tutti abituati a un confronto aperto con la loro interiorità. Sono abituati a discorsi standard, commenti preconfezionati come nelle interviste sportive. Nel contesto nel quale sono inseriti, i calciatori sono naturalmente contingentati. È stato fatto quindi un grosso lavoro di maieutica, ma è nella natura delle cose. La maturità di comprendere un momento che si è vissuto, di riviverlo e di elaborarlo è più complessa e bisogna lavorarci.
Chi ti ha colpito di più?
Due che hanno dimostrato di avere un rapporto molto profondo con se stessi: Juan Jesus e Giovanni Simeone. Mentre raccontavano il loro punto di vista, si sono davvero emozionati.
In una stagione perfetta, viene mostrato senza filtri anche uno dei momenti più dolorosi, come il mese di marzo della cavalcata azzurra. Le tre partite contro il Milan restituiscono una dimensione realistica al documentario.
Il racconto di Napoli-Milan è la cartina tornasole di come è stata accettata questa produzione da parte del Napoli calcio. Non c’è censura su Spalletti che litiga con Maldini, non c’è censura su quelli che sono i loro pensieri, sulla delusione, su come sono andate veramente le cose.
Aurelio De Laurentiis ha visto il film prima che arrivasse in sala?
Il presidente ha visto tutto il materiale perché ne è stato il produttore e lo ha visto da produttore. Proprio su questo, ieri (al Teatro Metropolitan, durante l’anteprima napoletana, ndr) ho fatto una gaffe col presidente.
Che cosa gli hai detto?
Che come produttore è anche meglio rispetto al presidente. Con questo non volevo intendere che fosse un cattivo presidente, ma che come produttore ne sa tantissimo. Mi ha aiutato a finirlo. Lo ha guardato con l’ottica di capire che cosa mancasse e non che cosa volesse all’interno. Gli va dato atto di questa cosa. Quando ha visto che il protagonista indiscusso era Spalletti, ha capito che era quella la carta in più, il poker d’assi e ci ha lavorato sopra.
Tra il presidente e Luciano Spalletti c’era un rapporto forte, ma anche sfidante, conflittuale.
Secondo me non c’è un vero conflitto tra il presidente e l’allenatore. Non nel mio film. Il conflitto nasce dal fatto che questi due protagonisti così importanti l’uno per l’altro si separano all’improvviso. Questo nel film non c’è perché sarebbe stato un finale discordante. Nella serie, però, ci sarà questo aspetto.
Cosa ci sarà nella serie che nel film non viene mostrato?
Nella serie si raccontano le stesse vicende del film, ma si approfondiscono degli argomenti, si approfondiscono dinamiche tattiche, il modo di giocare – penso a come evitare che Kvara venga triplicato dalla difesa dell'Inter – viene approfondito. Si capirà veramente cosa significa allenare una squadra e metterla in campo.
Nel documentario emerge come lo spogliatoio sia in realtà un ‘non luogo’ che si estende a tutto quello che la squadra fa e vive durante una stagione.
Questo è quello che deve fare un documentario. In un mondo di cui si sa tutto come quello del calcio, mostrare quello che non puoi vedere diventa davvero interessante. Abbiamo mostrato che la partita non inizia sul campo e nemmeno dallo spogliatoio, ma dalla riunione nell’hotel prima di andare allo stadio. Mi ha impressionato sapere che ci sono regole anche sul pullman della società, con i posti stabiliti sulla base di una gerarchia che si esprime poi anche sul campo, una gerarchia che non va toccata anche per semplice scaramanzia. Quella scaramanzia che è la stessa di noi tifosi che ci sediamo allo stesso posto, con la stessa birra, con le stesse persone. Tutto viene trasformato in un rituale in una squadra. Tutto è concentrazione, rito, tribù.
Mi è piaciuto l’equilibrio che hai usato nell’utilizzo dei personaggi noti. Come li hai scelti?
Ho voluto che ci fosse un coro di grandi tifosi napoletani, che hanno raccontato la napoletanità. Da Silvio Orlando a Toni Servillo, da Luisa Ranieri a Geolier, da Marco D'Amore a Salvatore Esposito. Ho poi scelto il top dei giornalisti che hanno raccontato l’annata dello scudetto. I principali sono Paolo Condò, che è il più importante giornalista italiana di calcio, ma non perché lo dico io, ma perché è l’unico che vota per il Pallone d’Oro, e Federica Zille, che è stata la bordocampista di Dazn che ha seguito tutte le partite del Napoli. Sono i due assi portanti della narrazione sul piano giornalistico. E ancora Fabrizio Roncone e due voci che hanno commentato lo scudetto come Pierluigi Pardo e Francesco Repice.
Qualcuno ha detto: “Non ci sono giornalisti napoletani”.
È una cosa che ho scelto, non è stata una svista. Ho scelto che non ci fossero giornalisti napoletani. Ma nella serie ci sarà più spazio.
Perché, ricordiamo, la serie è il progetto originale.
Dopo aver visto la serie, Aurelio De Laurentiis ha detto: “Mi sembra sia così buona che meriti un film”. Abbiamo dovuto riscrivere tutto e ha richiesto un lavoro enorme. Abbiamo messo da parte tutto quello che avevamo messo in piedi, ricostruendo una struttura a tre atti completamente differente in tutto per tutto. È stato un modo per regalare l’esperienza della sala ai napoletani. Anche qui, ho sentito qualche polemica un po’ stucchevole.
Cioè?
“È un altro modo per fare soldi, per distrarre dal momento negativo della squadra, eccetera eccetera”.
E invece?
Invece questo film è godere l’esperienza della sala con musiche internazionali, da Massive Attack a The Black Keys, fino alle musiche originali di Teho Teardo che catapultano il film in una dimensione differente. Questa cosa la puoi apprezzare solo al cinema.
Perché Spalletti, alla fine, ha lasciato il Napoli secondo te?
Non lo so, però so che Spalletti lascia Napoli scegliendo, come aveva detto, la tristezza e non la felicità. Luciano sembra un personaggio della storiografia romana, uno come Lucio Quinzio Cincinnato. Dopo aver preso il potere torna in campagna per coltivare la sua terra.
C’è qualcosa che vorresti dire ai tifosi napoletani prima che entrino in sala per vedere il film?
Ci sono dei momenti che non abbiamo la possibilità di rivivere, del resto la vita non ha una colonna sonora. Qui, invece, abbiamo la possibilità di rivivere un momento importante della nostra vita, con la colonna sonora. Mi sembra una bella prospettiva.