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Roberto Saviano: “Gomorra mi ha distrutto la vita, in 18 anni non l’avevo mai riletto”

Roberto Saviano e “Gomorra”, la sua fortuna e la sua persecuzione. Lo scrittore ripercorre la genesi dell’opera a 18 anni dall’uscita, in occasione del suo audiolibro con Audible e a dieci anni dall’uscita di “Gomorra – la serie”, che ha stravolto i parametri della serialità italiana.
A cura di Andrea Parrella
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Roberto Saviano sembra vivere una condizione parallela. Da quando Gomorra è stato pubblicato la sua vita è cambiata in modo radicale. Il ribaltamento è avvenuto in un attimo, una giornata dell'ottobre del 2006, quando a seguito di un evento a Casal di Principe viene messo sotto scorta. Da allora niente è come prima, ma nemmeno come avrebbe immaginato. Il successo di quel libro è debordante, ma si rivela anche una sorta di prigione e in 18 anni Roberto Saviano rilegge Gomorra in varie declinazioni: prima come film, poi come serie Tv, quella che ha cambiato i codici della serialità italiana e che proprio nel 2024 celebra i suoi 10 anni dalla prima volta in onda su Sky. In entrambi i casi Saviano vede le dimensioni di quel successo allargarsi ancora e ancora, fino a condizionare e plasmare l'estetica napoletana degli ultimi 15 anni.

Ma come racconta in questa intervista, c'è un'angolazione dalla quale si era sempre rifiutato di guardare l'origine delle sue fortune e dei suoi mali: non aveva mai riletto quel libro. Mai prima di oggi, a 18 anni di distanza, realizzando un audiolibro con Audible che è un'altra declinazione di questo racconto, forse la più personale. Un'esperienza nostalgica e a suo modo spaventosa, che ci racconta.

Quando Gomorra esce nel 2006 accade qualcosa, la sensazione è che sia detonatore di una nuova era di dissenso sul tema della criminalità organizzata, che al tempo pareva sopito.

Credo sia proprio così. Il cinema napoletano, da molti anni, teneva il tema della criminalità sullo sfondo. Il grande film sulla camorra non lo fa un napoletano ma un siciliano, Tornatore. Gli scrittori napoletani non si occupavano di quel tema, faceva schifo, lo consideravano marginale, accessibile solo con l'arte del teatro, mi viene in mente Eduardo con Il Sindaco del Rione Sanità. Il tema era sempre considerato in una chiave folkloristica, che non vuol dire edulcorato, ma proprio dentro al folklore napoletano. Non veniva inserito nelle dinamiche di potere, non era di interesse politico. Si percepiva come un ambito da saggisti, o da cronisti.

Saviano con Servillo e Garrone per la presentazione del film "Gomorra"
Saviano con Servillo e Garrone per la presentazione del film "Gomorra"

Come inizia la lavorazione a Gomorra?

Io mi accorgo di questo spazio. Noto che Joe Marrazzo con il suo Il Camorrista non era stato notato da grandi editori, pubblicato da Tullio Pironti, piccolo editore napoletano. Le vicende di criminalità girano poco, considerate l'ennesima storia di cui parla un giornale. Io penso di fare il salto, da 26enne inizio a seguire la faida di Scampia, mettendo su pezzo dopo pezzo quello che succedeva.

Oggi, a distanza di quasi 18 anni, ti rileggi realizzando un audiolibro per Audible. Com'è stato immergersi di nuovo in quelle vicende?

Quando mi sono messo a rileggere Gomorra per l'audiolibro è stato assurdo. Innanzitutto mi sono ritrovato nella scrittura e non so se è un bene, perché lo scrittore non dovrebbe mai ritrovarsi nella scrittura.

Vuoi dirmi che non lo avevi mai riletto?

Penso di non averlo nemmeno nella stanza. Mi ha distrutto la vita, quando lo vedo giro la faccia. Rileggerlo è stato difficile e non nego di aver rimandato questa cosa per molto tempo, rappresentava un trauma.

Cosa ti ha colpito di più?

Quello che credevo mi avrebbe fatto più male, ritornare sui luoghi, in realtà non è stato così straniante. Ho avuto anche una forma di piacevole malinconia, una nostalgia che mi ha dato la sensazione tutto questo abbia avuto un senso. Quello che mi ha sconvolto è stato accorgermi che io sia stato come congelato, freezato in quella dimensione.

Ti riferisci a quanto Gomorra abbia condizionato la tua esistenza.

Il destino mi ha relegato a quella roba lì, non ho saputo scappare in tempo. Poi mi ha colpito notare quanto oggi la musica, i film, tutto sembra voler raccontare, in parte, uno spaccato di criminalità. Al tempo era difficile tutto, per pubblicare il libro dovetti dare le prove, le persone mi chiedevano come fosse possibile che tutto questo accadesse senza che gli intellettuali se ne occupassero.

La rilettura del tuo libro per Audible mi fa pensare che questa è l'ennesima declinazione di Gomorra, un mondo ogni volta diverso: il libro non era uguale al film, a sua volta diverso dalla serie. Questa versatilità è stata una conseguenza, o il progetto nasceva così?

L'operazione è stata incentrata sul tentativo di costruire un linguaggio nuovo che non fosse né giornalistico né romanzesco, ma un ibrido. Prendere una storia reale e metterci dentro una strumentazione narrativa, non la fantasia.

Un dettaglio che mi ha sempre colpito di Gomorra è il sottotitolo: "Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra"

Mi faceva finire nei posti peggiori delle librerie. In fondo i librai vogliono vendere una sola cosa: storie d'amore, possibilmente di corna, risolte. Che tu faccia un libro, dentro deve esserci questo elemento, è il core business dei libri. Io volevo impormi dicendo che questa roba avesse stufato. Volevo raccontare il potere, le passioni, le resistenze a una vita insopportabile, gli innocenti che cadono, la vita reale. Le mie non erano storie borghesi.

Come va a finire?

Io pubblico questo libro, viene stampato in 5mila copie, vengo pagato 5mila euro, nessuno ci punta su. A far scattare il fenomeno è il chiacchiericcio. A un certo punto la casa editrice si trova coi libri esauriti, inaspettatamente. Nessun piano strategico dietro, nessun investimento, parte semplicemente una voce che sta dentro la bolla criminale. Mi arriva una lettera da un carcere per avere qualche copia in più perché tutti i dipendenti volevano leggerlo e avevano solo due copie e io mandai quelle mie omaggio.

L'esplosione del fenomeno, però, non è immediata.

No, fu lenta e improvvisa, però dei segnali c'erano. Ricordo che feci la prima intervista nazionale ai Co'Sang, perché quello che avevo fatto era in continuità con il loro primo album. Stava cambiando letteralmente l'arte, il modo di comunicare sul tema. Cambiarono i telegiornali che iniziarono ad aprire su queste notizie, prima relegate alla TgR. Di fatto andò in trend, come oggi direbbero, e i trend non si programmano. Il passaparola sul sei pro o contro Saviano generò un'enorme attenzione e il libro non si fermò più. Fino a Casal di Principe (dall'ottobre del 2006, quando viene messo sotto scorta dopo l'apertura dell'anno scolastico, ndr) vivo soltanto l'aspetto bello del libro.

Nella tua parabola ha una funzione importantissima la televisione. Le Iene raccontano proprio quella giornata a Casal di Principe, rilasci diverse interviste rimaste nell'immaginario. 

Avevo fatto solo l'intervista da Daria Bignardi a Le Invasioni Barbariche. Poi dopo arriva Enzo Biagi, che torna dopo 5 anni in televisione a Rotocalco Televisivo e io sono il primo ospite. Ora è difficile da immaginare, ma l'intera Italia guardava quella puntata.

In quegli anni il conflitto tra politica e Tv pubblica sembra essere molto simile a quello di oggi.

In realtà solo in apparenza. L'opinione pubblica di allora era compatta nel sostenere una possibilità diversa di narrazione, oggi no. Non hai una possibilità concreta di contrasto al racconto della destra. L'oppositore al governo Berlusconi andava in televisione e faceva il 30%, mentre oggi i numeri sono irrisori. È questa la vera difficoltà nel costruire un'alternativa.

Torniamo all'audiolibro, dici di esserti ritrovato nella tua scritta 18 anni dopo.

Esatto, mi sono reso conto di non essere mai uscito da lì e uno scrittore non deve ritrovarsi nei suoi libri del passato. Questo mi ha spaventato molto. Mi rendo conto che queste storie sono assolutamente insuperate. Sono di oggi, cazzo. Non un oggi figurato, un oggi dove la criminalità organizza i voti. Quando io racconto in Gomorra tutto questo ho due reazioni: grande stupore, oppure che già si sapesse.

Parliamo degli effetti di Gomorra, sulla gente, come suggerivano i The Jackal nella loro parodia chirurgica, ma anche sulla cultura napoletana. L'estetica napoletana degli ultimi anni sembra un effetto di Gomorra.

I germogli, da Liberato a Mare Fuori, hanno dato cittadinanza a questa estetica. Io ricordo che quando abbiamo fatto il film i distributori ci dicevano che sembrava arabo, come si poteva andare in tutti i cinema d'Italia? A chi vuoi che interessi questo tema? "Tu sai raccontare, prova con altro", mi dicevano. Oggi lo farei, se potessi tornerei indietro ascolterei quel consiglio che mi avrebbe salvato la vita. Ma io ero ancorato a questa ossessione di raccontare il male, renderlo accessibile e divulgare le inchieste.

La fascinazione del male, o meglio la "fashionizzazione" del male, è un tema eternamente legato a Gomorra. Mio cugino di Torino, 17enne, figlio della generazione segnata da Gomorra – La Serie, nel venire a Napoli per la prima volta mi ha chiesto di portarlo a Scampia come prima cosa. Ti senti in parte responsabile?

No. La rappresentazione del male, della realtà, innesca sempre un magnetismo, in chi legge e chi vede. Nei Demoni di Dostoevskij c'è un'attrazione incredibile del lettore verso i protagonisti, così come nel Riccardo III di Shakespeare. Questa dinamica è tipica ed era successa già col Camorrista, quando ero piccolo a scuola riverberava quella frase ""dicitancello ‘o prufessore ca io nun l'aggio tradito"". Succedeva col Padrino e prima ancora coi film di guerra, come Full Metal Jacket. D'altronde, i buoni sentimenti producono cattivi libri, direbbe qualcuno.

Marco D'Amore e Salvatore Esposito nella serie Gomorra
Marco D'Amore e Salvatore Esposito nella serie Gomorra

Chi cita queste frasi si identifica con il male?

No, ci si misura. È qui l'errore, pensare che qualcuno che porta i capelli come Genny Savastano tifi per Genny Savastano. È sbagliato. Ne è affascinato, si misura, gioca con quella figura, come Dostoevskji e Shakespeare vogliono che il lettore giochi, dove l'espressione del gioco significa provare a immaginarsi, comprendere il limite, capire quanto in quel male ci sia lui stesso, quanto quella scelta del male potrebbe coinvolgerlo. È la forza della letteratura. Identificarsi con un personaggio non vuol dire parteggiare con quel personaggio, ma vivere quell'alternativa di vita che conferma le proprie scelte, le ribalta, le mette in discussione. Ecco perché è rischiosissima quell'inquisizione secondo cui se parli del male stai spingendo lo spettatore verso il male. Era come lo stop ai libri di Zola che, parlando di prostitute, avrebbe incitato le donne a prostituirsi. È un tema vecchio quanto l'arte stessa. Io ho la prova regina che questa sia una balla.

Qual è?

Dopo anni e anni di queste accuse, Napoli risulta essere la città con maggior richiesta turistica in Italia. Se avessi delegittimato questa città, sarebbe stata respinta, avrebbe traumatizzato i turisti. Perché tuo cugino ti chiede di vedere le vele? Per approssimarsi a quella realtà che ha tanto visto, vuole andare a vedere nella realtà quella rappresentazione che li ha coinvolti. Non senti di essere troppo lontano da quei racconti.

L'onda che sta toccando Napoli, da Liberato a Geolier, allo scudetto e Mare Fuori, somiglia molto a quella di 35 anni prima. Ci dobbiamo aspettare che ciclicamente finisca anche questa volta?

Certo. Anzi, sta già finendo, nel senso che tu noti la fine di un trend quando tutto è spin off, imitazione, edulcorazione dell'originale, che poi è il trash, l'imitazione fallita in un certo senso. Lo si vede nel turismo, Napoli deve mostrarsi al turista in tutte le sue caratteristiche tipiche: allegria, pizza, frittura. Ovviamente questa logica sta lasciando anche tracce positive.

Saranno sufficienti?

Non abbastanza, perché incide poco a livello sistemico. Il lavoro non è arrivato, le case editrici e di produzione sono quelle di prima. Napoli sembra una grande quinta, continua ad essere il posto dove tutti vogliono essere, girare, ma poi di fatto non resta, non c'è una vera crescita culturale. Detto ciò, molto è cambiato da Gomorra e sarebbe disonesto non dirlo.

Al tempo di Gomorra, come dicevamo, ci fu un rinnovato interesse per il tema della criminalità organizzata. È lecito pensare, oggi, che si sia arrivati invece a un effetto saturazione, di quell'estetica e di quei temi, tale da generare meno interesse nel pubblico?

È interessante come considerazione. Non so se si tratti di un effetto saturazione, oppure di una precisa scelta politica. Se tu togli dal dibattito politico queste storie le stai automaticamente sottraendo anche al dibattito giornalistico, quel tema non c'è più. Oggi anche l'omicidio è tornato a com'era concepito giornalisticamente vent'anni fa. Diverso è il discorso artistico, dove ancora prolifera.

Seppure in quella chiave di ricorsività di cui parlavi.

Esatto, ma non dimentichiamoci anche che oggi il genere che fa tendenza è il true crime. I numeri parlano di un grande trasporto del pubblico femminile e sicuramente dentro intravedo quella stessa volontà di esplorare aspetti insondabili, ma in una modalità molto più legata al costume che ad aspetti sociologici e politici.

Rispetto a questa possibile riduzione dell'interesse del lettore per la criminalità ci vedo una chiave di lettura per quel che accade con Insider, il tuo programma censurato (poi riattivato dalla Rai nei giorni successivi a questa intervista, ndr). Lì c'è una forma di censura facilitata dall'idea che l'obiettivo sia tu, perché il contenuto passa in secondo piano.

Sì, in quel caso sono stato sicuramente io il bersaglio. Qui c'è una questione legata a come la criminalità venga raccontata da me. Loro, intendo l'attuale maggioranza, hanno fastidio per il mio sguardo sulle cose, che viene ancor prima di me. L'obiettivo è sempre dire "non è come dice lui", non che non sia vero, perché sarebbe come negare la realtà. Si affrettano a candidare nelle loro file i figli dei caduti per avere una legittimità, cercare tra i magistrati dei simboli antimafia per suffragare una narrazione opposta. Che però non c'è.

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L'ecosistema in cui operi è cambiato molto in questi ultimi anni.

C'è stata difficoltà enorme con la trasformazione dei giornali, della televisione, Rai3 che all'improvviso non è più la mia rete di riferimento, mentre ci lavoravo da anni. Personalmente ho vissuto crisi su crisi.

In questo senso ho sempre avuto l'impressione tu ti sia trovato costretto a sovrapporti, col rischio di oscurarli, ai temi di cui parli. Hai fatto pace con l'impossibilità di nasconderti, essere invisibile, come lo scrittore vorrebbe?

Purtroppo sì. Tant'è vero che in quello che scrivo, nelle mie pagine, io urlo, non sparisco. Non ho fatto pace, invece, con la costrizione che continuo a subire, nel senso che questa è una condanna che ti riporta sistematicamente a una dinamica per cui devi parlare di questi temi sempre, esporti costantemente. Ricordo le parole di Michela Murgia, diceva che se sei uno scrittore puoi parlare di qualsiasi cosa, mentre il saggista può parlare solo del saggio che gli ha dato più visibilità. Questo dipende dal fatto che lo scrittore è visto comunque come un giullare delle idee, che può usare i birilli in base all'argomento che di volta in volta gli porgono. Al contrario il saggista viene visto come una figura seria, scientifica, il medico chiamato per una diagnosi.

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