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Roberto Pedicini: “I doppiatori si salveranno dall’intelligenza artificiale solo con la qualità”

La voce di Kevin Spacey e Jim Carrey a Fanpage.it racconta i rischi che il doppiaggio corre con l’IA: “Non riesce ancora a tradurre le emozioni, ma per salvarci serve più qualità”. E sul suo lavoro: “Bisogna sparire dietro i volti. A me fa ca*are un doppiatore che si mette lì, divide lo schermo e fa vedere la scena che doppia e lui che sta lì in primo piano”.
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Roberto Pedicini è uno dei doppiatori più famosi e apprezzati in Italia. La voce storica di Kevin Spacey, Jim Carrey, Javier Bardem e Ralph Fiennes racconta a Fanpage.it i rischi che il doppiaggio corre con l'evoluzione legata all'intelligenza artificiale: "La tecnologia va avanti e inevitabilmente tirerà fuori prodotti più avanzati e vicini all’aspetto reale. L'unico modo per salvarci è mantenere alta la qualità". Ma lo scenario è reso complesso da una serie di circostanze: "Viene chiesta una produttività elevata ma, facci caso, se vedi una serie ambientata nel passato, nel futuro o nel presente, sono tutte uguali. Sono scritte uguali. Interpretate uguali. Serve più tempo e più denaro".

Il mestiere del doppiaggio per Roberto Pedicini è soprattutto artigiano: "Il doppiatore bravo deve essere dentro, non fuori. Non deve essere egoriferito. A me fa cagare un doppiatore che sui social divide lo schermo e fa vedere la scena che doppia e lui che sta lì in primo piano a doppiare". Su Kevin Spacey: "Oggi, tutte le volte che lo vedi pensi alla sua vita privata e non cadi più nel piacevole inganno del personaggio". E su Jim Carrey: "Io sono un po’ sfigato coi miei attori a causa delle loro scelte private. È andato in depressione e ha smesso di lavorare". Su Ralph Fiennes: "Schindler's List è una delle opere d'arte che ho amato di più".

Roberto, quali sono i rischi che corre il doppiaggio con l’intelligenza artificiale?

La tecnologia va avanti e inevitabilmente tirerà fuori prodotti più avanzati e vicini all’aspetto reale. In questo momento, sono più gli avvocati che dovranno pensare a come proteggere i diritti. Sembra un po’ quello che accadde alla fine degli anni Settanta, quando iniziarono a campionare gli strumenti musicali. Agli inizi, i suoni si sentivano che erano artificiali. Oggi, è molto diverso. La stessa cosa vale per l’intelligenza artificiale che, al momento, non riesce a sviluppare una qualità emotiva. Certo, più dati gli dai, più si migliora. Tutti quei giochini, quelle applicazioni gratuite di cui noi usufruiamo, giocando senza pensarci, nascondono un pericolo quasi luciferico: il prodotto siamo noi.

La possibilità di vedere un attore straniero che parla in italiano grazie all’intelligenza artificiale è vicina o lontana?

Credo che degli esperimenti li abbiano già fatti. Un mio datore di lavoro mi fece vedere un trailer di un film d’azione, un esperimento di trenta secondi con poco dialogo. Quello che c’era, era la voce originale dell’attore in inglese, in francese e in tedesco. Il problema è riuscire a sentire quanto la qualità emotiva riesca a essere tradotta. È tutta qua, la partita. L’intelligenza artificiale al momento può tradurre abbastanza bene una tonalità monocorde, come quella che ho in questo momento con te, bisognerà vedere quanto traduce bene le emozioni. Io non ti so dire a che livello di sviluppo si trovino, ma sono certo che stanno andando avanti.

Come sta il mondo del doppiaggio in questo momento?

Dopo il rinnovo contrattuale delle paghe, adesso c’è meno lavoro perché costa di più. C’è il rischio di vedere tante cose in originale, d’ora in avanti, quindi senza doppiaggio. Come accade anche all’estero.

O con certi prodotti coreani che ci arrivano a cascata…

Esatto. Pensiamo a Squid Game che era arrivato senza doppiaggio tant'è che io l'ho vista in originale. Era orribile, perché il coreano è orribile, ma la serie l’ho vista e loro (Netflix, ndr) lo scopo lo hanno raggiunto comunque. L’hanno doppiata dopo che la cosa è esplosa e, a mio avviso, l’hanno doppiata anche un po’ male.

Ecco, con questo scenario così ampio – pensiamo che a gennaio 2025 arriverà anche una nuova piattaforma come HBO Max – come si preserva la qualità del doppiaggio italiano?

L’unico modo per salvarci, anche dall’intelligenza artificiale, sarà mantenere alta la qualità. Al momento non è così alta la qualità del doppiaggio, soprattutto quella delle serie televisive. Viene chiesta una produttività elevata ma, facci caso, se vedi una serie ambientata nel passato, nel futuro o nel presente, sono tutte uguali. Sono scritte uguali. Interpretate uguali.

E invece?

E invece no. Ci deve essere il tempo giusto per avere un adattamento e una registrazione adeguata. Uno che parla nel ‘400 non può parlare allo stesso modo di uno che parla nel 2150. A questo non viene prestata nessuna attenzione.

Dal punto di vista sindacale, invece?

Il doppiaggio è una caccola nel naso rispetto a quella che è la produttività e i costi del prodotto stesso. Non è niente per loro. Viene considerato nullo. È la fruizione in quel paese dove una produzione va perché in quel paese non conoscono le lingue. È abbastanza denigrato all’estero. Poche produzioni ci tengono. Penso a Tom Cruise, che seguiva i suoi film scegliendo tutte le voci che lo avrebbero doppiato. Anche Kubrick era uno che ci teneva a questo aspetto. Questo tipo di qualità, quando parliamo di doppiaggio, non c’è più perché non c’è tempo, non c’è denaro ma non c’è neanche la competenza. E non lo dico con polemica. Dico che il mondo va avanti e ci sono direttori di doppiaggio che non hanno fatto nulla per non restare indietro. Per fare un prodotto di qualità, e vale per tutto, ci vuole il tempo e ci vuole il denaro. Il doppiaggio è un mestiere artigiano, non è un mestiere artistico. Perché il doppiaggio non crea, ma riproduce ciò che già esiste. È la reinterpretazione di qualcosa che dovrebbe essere il più fedele possibile all’originale, mascherato in un corpo di qualcuno che ha recitato in un’altra lingua. Il doppiaggio, per essere davvero buono, non deve esistere. Ora è diventato un mestiere altamente pubblico ed è un paradosso.

Perché?

Perché lo stesso mestiere del doppiaggio è un mestiere al buio. Sei in una sala dove l’unica luce è quella sul copione. Oggi, invece, è un lavoro “ambito”. Si pensa che basti la bella voce, ma la bella voce ce l’ha pure quello che sta al mercato ma non sa recitare.

Parliamo di Kevin Spacey.

È una grave perdita il fatto di non vederlo più come attore perché è eccezionale e straordinario. La figura privata si è sovrapposta ai suoi personaggi. Oggi, tutte le volte che vedi Kevin Spacey pensi alla sua vita privata e non cadi più nel piacevole inganno del personaggio.

Dopo l’assoluzione, l’attore potrebbe tornare presto in scena?

Ora dovrei ridoppiarlo in un film che è stato girato da Massimiliano Caroletti, scritto da Eva Henger. Nel cast ci sono anche Eric Roberts e Vincent Spano. Mi auguro che il film si doppi e che gli possa portare bene. Il problema è che io ho anche doppiato un documentario postumo alle sue vicissitudini e alle sue assoluzioni. In questo nuovo documentario parlano dieci uomini, ex ragazzi, che all’epoca dell’Old Vic Theatre danno la loro testimonianza di abusi in varie circostanze. Questi ragazzi non lo hanno denunciato ma è la prima volta che ne parlano. Kevin Spacey non ha partecipato attivamente a questo documentario, ma ho doppiato alcuni spezzoni che riguardano il suo passato. È una roba pesante e credo che quest’onta non se la toglierà mai di dosso.

Quello che è successo a Kevin Spacey ha condizionato anche il tuo lavoro?

Questa domanda mi fa riflettere. Se mai qualcuno dovesse averlo fatto, cioè pensare che la mia voce sia identificata esclusivamente a Spacey e quindi non farmi lavorare per questo, avrebbe fatto una cosa idiota. Infatti, io ho continuato a doppiare senza problemi: con Javier Bardem, con Ralph Fiennes, con Woody Harrelson.

Un’altra voce è quella di Jim Carrey, che però ha detto di voler mollare le scene.

Ecco, io sono un po’ sfigato coi miei attori a causa delle loro scelte private. È andato in depressione e ha smesso di lavorare. Forse dovrebbe rifare Sonic, però lui ha dichiarato di uscire dalla scena a meno di progetti davvero interessanti.

Come si fa la magia di sparire dietro il volto dell’attore?

Il lavoro principale è sottrarti da te stesso. Non bisogna avere l’ego di rappresentare te con la tua voce. Tu non c’entri niente perché lì c’è un altro attore. Loro non sono sempre uguali, anzi sono sempre diversi. Così, anche io non posso essere sempre uguale. È qui che capisci che un doppiatore bravo non è solo una voce, altrimenti diventi un egoriferito. Il doppiatore, lo ripeto, deve sottrarsi e non sovrapporsi. Il doppiatore deve essere dentro, non fuori.

Trovo molta coerenza con quello che dici in relazione a come utilizzi i social. Potresti sfruttare la tua voce per fare reel in continuazione, come si vede in giro, e invece troviamo foto e video del tuo privato, del privato che intendi condividere, ovviamente.

Guarda, a me fa cagare un doppiatore che si mette lì, divide lo schermo e fa vedere la scena che doppia e lui che sta lì in primo piano a doppiare.

Viva la sincerità.

Eh, ma lo trovo proprio in antitesi col nostro mestiere.

A quali film sei più legato tra quelli che hai doppiato?

Sono legato a ogni film e a ogni personaggio che ho fatto. Tutti i film di Kevin Spacey che ho doppiato per me sono tutti belli. “K-Pax” è un film che ho molto amato. Come pure “I soliti sospetti”. Ho molto amato Ralph Fiennes in “Schindler’s List”, un film al quale sono molto legato per l’opera d’arte che è. Ho molto amato Tom Hulce in “Amadeus”, attore che poi non ha fatto quasi più niente e che fu il film che decretò il mio successo nel doppiaggio. Non ho mai giudicato i personaggi che ho interpretato. Ne ho sempre sposato il progetto, la causa. L’attore in quel momento, se giudica, non adempie a quella che è la sua funzione. Favino disse una frase bellissima, che sottoscrivo in pieno: “Amo il mio lavoro perché mi permette di dimenticarmi di me”. È una cosa fondamentale nel mestiere dell’attore. Devi dimenticarti di te stesso per interpretare quello che è altro da te perché altrimenti metti te stesso e questo non va bene.

Non solo doppiatore, negli ultimi anni anche tanta radio.

È un amore enorme, per me, la radio. Ho fatto sette anni di Radio Freccia che mi hanno dato la possibilità di essere a contatto tutte le sere in diretta con il pubblico. Un programma che costruivo da solo tutte le sere, senza una redazione e il pubblico partecipava con interazioni tutte in diretta. Il contrario del doppiaggio. È stata una roba che mi ha aperto la vulnerabilità e l’anima in un altro modo. Dopo Radio Freccia mi piacerebbe ritornare in onda in una nuova situazione consona e adeguata.

A chi dici grazie dopo tanti anni di carriera?

A una persona che in assoluto ha avuto la fiducia di darmi i primi film e i primi personaggi che ho fatto ed è Fede Arnaud. Fui scelto per una serie, A-Team, doppiando Murdoch. Lei fece i provini a mezza Roma e fui scelto. Facemmo varie stagioni e all’interno di quelle stagioni arrivavano dei film da doppiare. Lei mi chiamava a fare i provini e alcuni di questi li ho vinti. Il primo film fu “Rusty il selvaggio” di Francis Ford Coppola. C’erano attori che all’epoca erano sconosciuti come Matt Dillon e Mickey Rourke e io interpretai proprio Mickey Rourke. Poi devo molto a una signora che si chiamava Giovanna Masini, che si occupava di distribuire i turni di lavoro per una società, la Studio Immagine. Lei mi mandò a fare i provini tra i vari direttori di doppiaggio dell’epoca e disse: “Vai prima da quelli minori a farti le ossa, poi andrai da quelli più forti quando sarai più preparato”. Un altro è Filippo Ottoni al quale io devo Kevin Spacey. Fu lui a farmi doppiare Spacey in “Americani”. Era un capufficio stronzo, cattivissimo. C’era un cast pazzesco e tra i doppiatori c’era anche Giancarlo Giannini, che stimo tantissimo come attore e doppiatore. A queste persone, come tante incontrate nel cammino, devo moltissimo.

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