Raissa e Momo: “L’amore tra un musulmano e una cristiana. Solo ironia per chi ci augura la morte”
Autoironia contro i pregiudizi. È così che Raissa e Momo, content creator da oltre 500mila follower su TikTok, rispondono a chi critica la loro relazione senza conoscerla. Da tre anni portano sui social la loro quotidianità di “coppia mista”, anche se non amano essere definiti così perché “misto alla fine cosa vuole dire?".
Mohamed Ismail Bayed, detto Momo, ha 30 anni, è di religione musulmana e di origine marocchina, nato a Casablanca e arrivato in Italia a cinque anni. Raissa Russi ne ha 27, è nata e cresciuta a Torino ed è di fede cristiana. Da quando si sono esposti pubblicamente, sono stati travolti dalle critiche per via della loro diversità culturale: "Ma ti devi mettere il velo? Devi fare anche tu il Ramadan adesso? Vuoi convincere gli italiani che sei felice con un vu cumprà?", sono solo alcuni dei migliaia di commenti che continuano a ricevere. E così hanno capito che c'è bisogno di parlare di determinate tematiche ed è quello che, senza prendersi mai troppo sul serio, cercano di fare ogni giorno. A Fanpage.it hanno raccontato la loro storia d'amore, l'importanza di andare oltre la prima impressione e i pregiudizi, il matrimonio, il rapporto tra le rispettive famiglie e i momenti di difficoltà, affrontati sempre in due.
Partiamo dall’inizio. Entrambi siete andati oltre la prima impressione, cercando quel “di più” che ha fatto la differenza. Come è andata esattamente?
Raissa: La prima volta che ci siamo visti eravamo al liceo e purtroppo non avevamo un grandissimo rapporto, io ero un pò restia nei suoi confronti. Poi ci siamo incontrati sette anni dopo ed effettivamente siamo andati "oltre", anche se io non subito. Lui poi ha insistito un pò e piano piano abbiamo iniziato a conoscerci. Mai fermarsi alla prima impressione, mai.
Sui social avete due profili separati e non uno di coppia. Come mai questa scelta?
Momo: Quando abbiamo iniziato a fare dei contenuti più nostri, su Instagram e TikTok, ci siamo chiamati "Raissa e Momo", ma in realtà come progetto perché i profili sono sempre stati separati.
Raissa: Abbiamo due visioni diverse della vita e possiamo portare anche contenuti diversi. È giusto che lui crei i suoi e io i miei, poi ci sono quelli insieme. Sarebbe stato poco opportuno unirci in una cosa sola quando in realtà possiamo essere uniti però separati.
"Coppia mista” è una definizione che vi appartiene?
Momo: Quando si dice "coppia mista" uno capisce subito di cosa si parla. Non ci fa impazzire come termine perché misto, alla fine, cosa vuol dire? Siamo una coppia interculturale, però prima di tutto siamo una coppia. Spero che prima o poi non ci sia più bisogno di specificarlo.
Raissa: Capisco che ci sia ancora l'esigenza di dare un'etichetta a una situazione come la nostra, perché c'è ancora bisogno di parlarne. Spero che un giorno non sia più vista come un'eccezione.
Perché e quando avete scelto di raccontare la vostra relazione sui social?
Momo: Sui social abbiamo provato a raccontarci intorno a dicembre 2019, ci piaceva far vedere i nostri viaggi e in realtà avevamo un altro nome.
Raissa: Dillo tu (ride ndr).
Momo: Eravamo "Pizza e Kebab" (ride ndr) per unire un pò le nostre due culture, anche se il kebab non è marocchino.
Raissa: Quindi non centrava niente, però suonava proprio bene. Poi durante il lockdown abbiamo iniziato a postare dei video in cui raccontavamo semplicemente la nostra quotidianità. Nel primo prendevo in giro la reazione dei miei genitori quando ho detto di frequentare un ragazzo marocchino e musulmano, facevo vedere cosa si aspettavano loro e cosa era lui in realtà. Quel video ci ha fatto capire che c'era bisogno di parlare di questo tema.
Oggi affrontate con ironia i pregiudizi e il razzismo, ma c’è mai stato un momento in cui i giudizi degli altri vi hanno influenzato?
Momo: Soprattutto all'inizio, quando i video uscivano dalla nostra community, ci sono stati dei commenti che ci hanno fatto un pò tentennare. Mentre io, essendo in Italia da 20 anni, ero un pò abituato e li ho sentiti e letti tantissime volte, lei forse l'ha patita di più.
Raissa: Sì, io l'ho patita di più perché non mi aspettavo questo continuo e incessante arrivo di commenti, anche proprio brutti. Augurare la morte a una persona dopo che fa un video con il fidanzato, era una cosa che non riuscivo a capire. Lui è venuto da me e mi ha detto "Guarda se vuoi ci fermiamo, chiudiamo il profilo". Però, pensandoci, perché farlo? Alcuni erano solo pregiudizi dettati da un'ignoranza di base, potevano essere decostruiti, ed è quello che abbiamo cercato di fare.
Come siete riusciti a non dargli peso?
Momo e Raissa: Autoironia.
Raissa: Poi, una cosa da non sottovalutare, è che siamo in due, abbiamo sempre il supporto uno dell'altra.
Momo: Abbiamo capito che dall'altra parte non c'è solo cattiveria, ma spesso anche ignoranza, intesa come non conoscere.
Ultimamente, leggendo i commenti sotto i vostri video, sembra che quelli cattivi siano diminuiti per lasciare più spazio al confronto. È così?
Raissa: Secondo me sì. Sulla nostra community siamo fortunati perché ci sono sempre più persone che hanno voglia di dialogare e di conoscerci.
Affitto a Milano con una persona che si chiama “Mohamed” è un tema che avete affrontato nei vostri video. Quanto è stato difficile trovare casa?
Raissa: Quando facciamo video prendiamo sempre spunto da quello che realmente ci succede e, mentre eravamo a guardare delle case, un agente immobiliare ci guarda e dice: "Per le persone straniere, sull'affitto, abbiamo bisogno di documenti speciali". Noi lo guardiamo e gli diciamo: "No, no, è cittadino italiano". Ma lui ha comunque continuato su quella teoria lì. Poi succede anche quando mandiamo mail per vedere appartamenti, se leggono Mohamed non rispondono e neanche con Raissa, che non è il classico nome italiano. Ormai mettiamo quello di mia madre, Daniela, e rispondono sempre.
Quindi negli affitti c’è ancora questa forma di discriminazione.
Momo: Sì, assolutamente.
Raissa: Sulle storie Instagram abbiamo un pò aperto il vaso di Pandora e riceviamo centinaia di messaggi tutti con la stessa narrazione. Addirittura, coppie sposate e con figli, mi dicono: "Per quanto abbiamo fatto fatica a trovare un mutuo o una casa in affitto, a mio figlio ho dato un nome italiano, così che in futuro non debba preoccuparsi di questa cosa". Questo, secondo me, fa capire che c'è un problema.
La reazione delle vostre famiglie di fronte alla decisione di frequentare una persona di una cultura diversa.
Momo: All'inizio le nostre famiglie erano un pò titubanti.
Raissa: Per usare una parola più leggera (ride, ndr).
Momo: Poi con il tempo abbiamo iniziato a non dare nemmeno una colpa ai nostri genitori, perché cercavano solo di proteggere il proprio figlio. E di solito si ceca di proteggerlo da qualcosa che non si conosce, quindi pensavano di fare il nostro bene. Chiaramente noi sapevamo che non era così, quindi siamo stati molto pazienti e abbiamo cercato di fargli capire che dovevano aprirsi e dare delle possibilità. Per fortuna poi l'hanno fatto.
Hanno mai ostacolato la vostra relazione?
Raissa: Degli ostacoli, soprattutto all'inizio, ci sono stati. Prima di dire il suo nome io ho aspettato, ho usato "Momo", non ho mai usato "Mohamed". Mia mamma mi chiedeva "Ma questo Momo, il nome vero quale è?". Quando l'ho detto, silenzio. Poi sono iniziate tutte le loro ipotesi più disparate: "Ma è marocchino? Se è musulmano guarda che ti devi mettere il velo".
Un anno fa vi siete sposati in Italia con una cerimonia marocchina.
Raissa: Ricordo con piacere quel giorno, ero un pò agitata, ma le differenze culturali si sono sentite pochissimo. Ho cambiato 4 abiti, tutti e 4 arrivati direttamente dal Marocco. Abbiamo voluto fare una cosa a casa, semplice e tra di noi, con pochi testimoni.
Avete in programma altri matrimoni?
Raissa: Ci sono altri step da fare, uno in Marocco e l'altro all'italiana. Però non spoileriamo troppo, abbiamo già in mente come farlo.
Momo: Ovviamente vuole fare le cose in grande.
E a creare una famiglia ci state pensando?
Raissa: Ci reputo già una famiglia, in due, non troppo numerosa (ride, ndr). È un pensiero che ci passa sempre per la testa, però c'è ancora tempo.
Momo: Vogliamo prima fare ancora dei passi nelle nostre vite.
“Perché la diversità pesa di più agli altri che a noi?”, è una delle domande che vi siete fatti. La risposta, per voi, quale è?
Momo: Io mi ricordo che, crescendo, inclusività non era un termine così diffuso ed è una cosa che mi è mancata. Adesso ci sono persone come me che riescono a trovarsi e crearsi degli spazi. E questo manda anche un bel messaggio: è un mondo per tutti e tutti possono ottenere veramente ciò che vogliono.