Per Elisa, Gianmarco Saurino: “Dare voce alle emozioni di Gildo Claps è stato il mio più grande privilegio”
Il 12 settembre 2023 sono trascorsi esattamente trent'anni dalla morte di Elisa Claps, la ragazza di 15 anni di Potenza, uccisa dalla mano di Danilo Restivo, la cui colpevolezza è stata però scoperta dopo 17 anni dall'omicidio. Un caso di cronaca che ha segnato l'Italia intera, e di cui ancora oggi si parla con estrema difficoltà, per le tante lacune che in questi anni lo hanno accompagnato. Il dolore della famiglia Claps e la loro storia, è raccontata con delicatezza e minuziosa attenzione nella fiction Per Elisa, dove Gianmarco Saurino interpreta il ruolo del fratello maggiore di Elisa, ovvero Gildo.
Un ragazzo, poi un uomo la cui tenacia è stata il motore necessario affinché la verità venisse scoperta, un uomo la cui bontà, come ci racconta l'attore pugliese in questa intervista, dovrebbe rappresentare un monito: "Gildo Claps è uno degli esseri umani più incredibili che io abbia mai conosciuto e metterlo in scena è stata una fortuna gigantesca". Questa storia, come ci racconta Saurino è quella di un romanzo familiare, un racconto dal quale emerge un insegnamento importante che, troppo spesso, tendiamo a dimenticare: "Dobbiamo ricordarci di fare esercizio di memoria. In questo caso su Elisa Claps e su tutto quello che è successo, siamo un paese che con la memoria ha grandissimi problemi".
Qual è il senso di raccontare un caso di cronaca così sentito e noto, attraverso una fiction che è comunque un prodotto di finzione?
Credo che l’obiettivo della serie, il messaggio, sia piuttosto chiaro. Non si tratta di una serie di denuncia o di inchiesta, anche perché di denuncia o di inchiesta c’è purtroppo ancora poco da fare, ma è uno di quei progetti che fin dall’inizio prova farti entrare in una situazione con le tue scarpe, i tuoi vestiti, e a crearti immediatamente un po’ di empatia nei confronti di una famiglia che subisce un evento dolorosissimo.
Ad agosto è uscito anche un podcast realizzato da Pablo Trincia sul Caso Claps, sapevate che sarebbe stato realizzato anche questo progetto?
Non lo sapevamo, io l’ho saputo più o meno a fine riprese, perché Pablo ha contattato Gildo Claps intorno a marzo, dicendogli che aveva intenzione di lavorare sulla loro storia. Non è una casualità, visto che quest’anno sono i trent’anni dalla scomparsa di Elisa.
Avete mai pensato che un progetto di ricostruzione giornalistica potesse penalizzare il vostro racconto?
Sono due prodotti completamente diversi. Il podcast tende a ricostruire come in un'inchiesta quello che è accaduto, invece noi abbiamo voluto far entrare il pubblico all'interno della storia. È il punto di vista che cambia. Se da un lato abbiamo un punto di vista esterno, con un narratore che per quanto empatico, racconta la vicenda dal punto di vista giornalistico, nel nostro caso si entra nel vivo di quello che è accaduto alla famiglia Claps. Il fine è sempre lo stesso, quello di continuare a far parlare di un caso che ha ancora delle porte aperte e mantenere viva la memoria di una ragazza di 15 anni che è scomparsa prematuramente.
Per Elisa racconta, ovviamente, il caso di cronaca che sconvolge la famiglia Claps, ma siete riusciti a restituire anche l'immagine di chi è stata Elisa prima della sua scomparsa?
Credo che il tempo fosse troppo breve per poter fare tutte queste cose insieme, per riuscire a dare l’immagine di una ragazza complessa come era Elisa, avremmo dovuto rinunciare a 17 anni di storia che abbiamo già compresso all’interno di sei episodi. Però, Ludovica Ciaschetti, l'attrice che la interpreta, credo sia riuscita, anche in quel poco, a restituire la solarità, la bellezza di questa normalissima ragazza di provincia.
Interpreti Gildo Claps, il fratello maggiore di Elisa, per riportarlo sulla scena hai cercato di immedesimarti in lui o hai provato a darne una tua rilettura quanto più veritiera possibile?
Gildo Claps è un personaggio riconoscibile, ma non riconosciuto, si conosce, ma non è un personaggio famoso, quindi provare a darne un’imitazione, cercando di calarmi all’interno dei suoi panni, mi sembrava fuori luogo, non centrale nel racconto. Credo che fosse importante capire cosa succede ad un fratello maggiore, all’interno di una famiglia che subitsce una scomparsa, perché è un dolore molto più complesso di un lutto, molto diverso. Quella che vedrete è la mia personalissima visione di Gildo Claps.
Però vi siete conosciuti.
Sì, ci siamo poi conosciuti attraverso il racconto, grazie alla serie, ma non gli ho mai chiesto cosa ha provato in certe situazioni, non mi interessava. La cosa interessante è sapere che poi, una volta che Gildo ha visionato il progetto, ha detto che tutta una serie di mie scelte erano molto simili a quelle che aveva fatto lui. Questa cosa mi ha reso molto contento.
Ad agosto è stata riaperta la chiesa in cui è stato trovato il corpo di Elisa. Come hai accolto questa notizia, soprattutto dopo il lavoro fatto sulla sua storia.
Ad un certo punto certe storie diventano un po’ tue, perché si prova a raccontarle da dentro, come abbiamo fatto noi con grandissima onestà. È il motivo per il quale mi commuove sentir parlare di Elisa oggi, perché per me è come se fosse un lutto nuovo. La riapertura della chiesa mi suona come un atto volgare e spiacevole, quanto lo è stato per la famiglia Claps. Credo sia l’ultimo atto vergognoso di questa vicenda, bastava molto poco per soddisfare le loro richieste, trattandosi di scuse private.
Hai mai temuto di poter profanare un dolore così grande?
Forse c'era il timore di non riuscire a mettere in scena trent’anni di sofferenza. Questo è un romanzo familiare, ognuno di noi racconta una persona, penso ad Anna Ferruzzo che racconta Filomena, o a Vincenzo Ferrera che racconta papà Antonio, uno dei personaggi che a me sconvolgono e commuovono di più. Tutti noi abbiamo sentito il peso della responsabilità, ma lo abbiamo usato come una molla, ci ha dato la carica per poter provare a dare di più, nonostante la stanchezza, la pesantezza. Non esistono scene di passaggio in questo progetto, esistono solo scene madri, quindi ognuno di noi ha investito tutto il proprio talento e la propria fatica per cercare di restituire al meglio questa storia. Poi credo che questo racconto abbia un pregio.
Ovvero?
Entrare in casa della famiglia Claps ti restituisce la speranza, e non è una speranza nei confronti della perdita, Elisa non c’è più, ma una speranza nei confronti dell’umanità. La famiglia Claps è una delle famiglie più virtuose che io abbia mai conosciuto e nello specifico Gildo Claps è uno degli esempi di uomo ai quali aspirare, ti dà veramente speranza di quanto il dolore possa rendere una persona così colma di bontà. Buono per me è un termine stupendo, ora sembra quasi che a buono si sottintenda buonismo, in maniera negativa. Invece io uso buono nella sua accezione migliore.
Però, ecco, il racconto della parte peggiore, più oscura dell'umanità, della società, continua ad andare per la maggiore. Perché?
È la perfetta rappresentazione dei nostri tempi. Esiste il bene, quindi facciamo le serie sui santi, oppure esiste il male e facciamo le serie sulla camorra e sulla mafia. Invece nel mezzo esistono una serie di personaggi che non sono santi e non sono camorristi, ma sono persone normali, con miliardi di difetti e con l’aspirazione ad essere degli esseri umani stupendi. Queste sono le storie che a me piacciono di più. Anche perché poi, in cosa ti identifichi? Puoi identificarti in un santo? Dubito che qualcuno possa farlo. Puoi identificarti in un malvivente? Forse, tra l'uno e l'altro, ci sono una serie di personaggi che a volte vengono bypassati, perché ritenuti normali, ma nella normalità esiste la più grande bellezza delle cose e le rende straordinarie.
Parlando di storie straordinarie, ma reali, quella raccontata da Garrone in Io Capitano lo è, ed è il film che l'Italia ha candidato agli Oscar. Forse la strada da seguire è proprio questa, per puntare a qualcosa di più?
Il film di Garrone è bellissimo, ed è strano che ancora non fosse arrivato un film sulla questione migranti, questione di stretta attualità e di cui peggio si parla in questo Paese. Garrone è un regista straordinario, ed è riuscito a raccontare questa storia nel migliore dei modi. È un racconto internazionale, non è una storia italiana, credo si sia usato il pretesto di quella rotta per raccontare il percorso che fanno tutti migranti del mondo, basti pensare a quello che succederà ai palestinesi prossimamente, alla rotta balcanica, che è una di quelle di cui si parla meno. Cambiano i mezzi entro i quali ci si muove, ma Garrone racconta cosa c’è all’interno dei personaggi, ed è questo il grande pregio di quel film. Raccontare questo tipo di storie, ci può dare un respiro internazionale, sicuramente.
Ad esempio, un film come Maschile Singolare, di cui sei stato protagonista è arrivato tranquillamente all'estero. Cosa aveva di diverso rispetto a tanti altri film italiani?
Maschile Singolare è un film non low budget, ma no budget, in cui ci abbiamo messo tutti il cuore per raccontare la storia di ragazzi trentenni che i questo paese si raccontano molto poco. Visto il successo probabilmente si raccontano poco anche all’estero. Ci siamo abituati al fatto che si producano soltanto cose teen, e invece ci siamo persi tutta una parte di popolazione che è quella che sta passando, forse, il peggior periodo della sua storia, perché non ha più un posto dove stare. In più noi raccontiamo una questione LGBTQ+, dove però non si inneggia ad una lotta per i diritti, ma si immagina un mondo in cui questa cosa sia normale, evidentemente non è normale neanche lontano dall'Italia.
Credi che un prodotto come Per Elisa, possa avere chance anche fuori dall'Italia?
Questa è una serie co-prodotta da una produzione inglese che è Cosmopolitan Pictures e magari permetterà a questo progetto di essere raccontato all’estero. Sarebbe l'augurio più grande.
Si tratta d'altronde del ruolo più significativo da te interpretato finora, possiamo dirlo?
Il più importante della mia vita. Raccontare un progetto del genere è il più grande sogno che io potessi avere, da quando ero piccolo e ho pensato per la prima volta di fare questo lavoro. Vedere gli occhi di Gildo e guardare i primi due episodi con lui, mi restituisce il lato più umano del nostro lavoro che invece all’interno dell’industria ogni tanto si perde, e io questa sensazione di orgoglio così grande non l’avevo mai provata.
Orgoglio per cosa?
Non è della qualità del prodotto che parlo, ma degli incontri tra le anime, suona un po’ naif, ma è così. La verità è che aver incontrato un personaggio del genere e aver avuto la possibilità di poter raccontare la sua e la loro storia è un privilegio talmente grande, è una fortuna gigantesca. L’augurio che ho è che questo progetto vada bene, non perché in futuro possa portare nuovi lavori a tutti noi che lo abbiamo messo in scena, ma perché la storia di questa famiglia possa rimanere nei racconti delle persone.
Prima parlavi di senso comunitario, tanto nel cinema quanto nei prodotti per la tv, qualcosa che dovrebbe essere vitale per la categoria degli attori e dei lavoratori dello spettacolo. Pensiamo ad Hollywood, se non ci fosse stata questa comunione di intenti, non ci sarebbe stato neanche lo sciopero.
Sì, credo che si sia perso questo tipo di discorso sociale. Il cinema dovrebbe essere l’industria più comunitaria, perché è uno dei lavori dove il gruppo è essenziale, senza una delle varie categorie un film non si può fare, ogni reparto ha senso nella catena industriale del cinema, quindi credo che tutto il sistema debba mettersi insieme per cercare di dire di no quando le cose non vanno. Fa tanta tristezza, ma è una cosa che riguarda questo paese, che ognuno di noi tira a campare, ed è un motivo per cui in Italia non c’è un sindacato degli attori. Ma questa cosa accomuna più ambiti, perché c’è gente che accetta delle paghe più basse perché vuole semplicemente lavorare, finendo per abbassare il livello.
In questi giorni si è parlato dei tagli al cinema, misura poi accantonata. Così facendo il livello è difficile possa alzarsi e si ritorna all'annosa polemica riportata in auge da Favino, alla Mostra del Cinema di Venezia quest'anno.
Noi continuiamo a pensare a tutti vari Fellini, Pasolini ma a quei tempi c’erano dei produttori che mettevano soldi e facevano di tutto perché la macchina funzionasse perfettamente e uscissero film che potevano farli rientrare di quell’investimento. Adesso l’investimento non lo fa più nessuno. Sarebbe interessante capire perché in Italia non esiste uno star system, perché non esistono attori che sono spendibili all’estero. Favino ha anche ragione nel dire che gli italiani possano fare storie italiane all’estero, ma è anche vero che se in Oppenheimer al posto di Cillian Murphy metti me, non se lo guarda nessuno. Il problema di base è la creazione di questo star system, ma magari lo possiamo creare facendo meno film, ma meglio o con più attenzione.
Visti i presupposti, ci sono buone speranze?
Io me lo auguro, ma già un prodotto come Per Elisa, rappresenta qualcosa che ha un enorme punto a favore. Qual è? L’analisi psicologica di quello che succede ai personaggi, cosa accade dentro, raccontiamo delle sfumature dell’animo umano, e lo abbiamo fatto prendendo come punto di partenza questa storia tristemente straordinaria.