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Patrizio Rispo: “Raffaele resterà fuori per un po’, ma non lascio Un posto al sole”

Raffaele Giordano non lascerà Un posto al Sole, parola di Patrizio Rispo. L’incomprensione è nata tra i fan con la partenza dell’iconico portiere di Palazzo Palladini e il timore che potesse non tornare più. Ma non esiste la soap di Rai 3 senza il suo principale protagonista, che racconta il successo di un prodotto che, dopo trent’anni, non si schioda dal cuore dei telespettatori.
A cura di Ilaria Costabile
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Se dovessimo pensare al personaggio che, tra tutti, rappresenta in pieno Un Posto al Sole, quello sarebbe senza dubbio Raffaele Giordano, lo storico portiere di Palazzo Palladini, interpretato da Patrizio Rispo. In vista di una momentanea uscita di scena dell'attore, partito per riabbracciare il figlio Patrizio ormai a Barcellona, i fan della soap opera hanno temuto il peggio, pensando che Giordano potesse davvero lasciare la sua amata guardiola nel cuore di Posillipo. Niente di tutto questo accadrà, come ci racconta Rispo, parlando anche del segreto di uno dei pochi prodotti che, a distanza di trent'anni, macina ascolti e, soprattutto, ha il merito di aver raccontato una città come Napoli in ogni sua angolazione.

Iniziamo col chiarire una cosa decisamente importante: Raffaele Giordano non andrà via da Un Posto al Sole, vero? 

Esatto, non si vedrà ma solo per qualche puntata.

E, quindi, cosa è successo? Il suo personaggio è partito e si è creato il panico tra i fan. 

L'assenza reale è quella di mia moglie Ornella (Maria Giulia Cavalli ndr.): io vado, me la prendo e torno. È successo il delirio in rete, mi scrivevano "non ci lasciare", ma sto rassicurando tutti, non vado da nessuna parte. Non sono mai mancato alle registrazioni, semplicemente Ornella aveva due settimane di ferie e si è pensato di giustificare la cosa con un viaggio.

Incomprensione nata anche per la sostituzione, seppur temporanea, con il personaggio di Rosa. 

Lì, poi, non si è capito più niente. Mi dispiace per Rosa, ma si tratterà solo di una breve sostituzione, se va via Raffaele Giordano chiude l'azienda (ride ndr).

Daniela Ioia e Patrizio Rispo, alias Rosa e Raffaele Giordano
Daniela Ioia e Patrizio Rispo, alias Rosa e Raffaele Giordano

Insomma, escamotage narrativi necessari. Ma, a questo proposito, come si fa a tenere in piedi una soap da quasi trent'anni e senza contraccolpi? 

Innanzitutto, non chiamandola più soap, ma vita parallela, già siamo in un reality show. La gente non ci percepisce più come personaggi televisivi. Abbiamo raccontato la vita di questi trent’anni, abbiamo modificato le modalità di narrazione, ci siamo adeguati ai tempi, per cui c’è un’affezione reale alle persone, non ai ruoli. Gli spettatori conoscono della mia vita umori, cambiamenti fisici, tutto. È questo il segreto, è un appuntamento quotidiano, ed è anche un modo di sapere, aggiornarsi sulle questioni di cronaca, del sociale.

Dice?

Sì, perché i giornali si leggono meno, i parenti si vedono meno, l’agorà in strada è sempre meno, perché è tutto sostituito dai social. Noi siamo l’unica certezza che è lì quotidianamente per scambiare due chiacchiere.

Il segreto è andare di pari passo con la realtà. Ma quando ci si accorge che nel mondo reale si impongono violenza, delinquenza e la tragicità di certi eventi è agghiacciante, come si riesce a raccontarlo in un contesto come Upas?

Lo abbiamo fatto e inizialmente eravamo criticati, perché usavamo proprio le corde della violenza. Però raccontando la realtà, ed essendo coscienti che chi commette queste violenze ci guarda, perché non c’è carcere in Italia in cui non si guardi Un posto al sole, abbiamo la responsabilità di far vedere anche gli atteggiamenti negativi, di punirli, di far osservare le conseguenze di queste azioni. Nel nostro piccolo abbiamo salvato persone dalla strada portandole con noi sul set, persone che col tempo sono diventati macchinisti, operatori, aiuto registi, abbiamo dato a qualcuno una chance per cambiare.

Tutte le sfaccettature della realtà si diceva, infatti nel vostro racconto non sono mancate anche altre sfumature di Napoli.

Abbiamo raccontato una Napoli solare, borghese, una Napoli della gente che fa e non solo il malaffare e il degrado. Noi siamo visti da 40-50 milioni di spettatori nel mondo, molti turisti amando proprio l’Italia, Napoli in particolare, hanno imparato la lingua guardando Un Posto al Sole. Con i nostri racconti ridiamo un po’ di orgoglio anche agli italiani all’estero.

Marzio Honorato e Patrizio Rispo, fonte Instagram
Marzio Honorato e Patrizio Rispo, fonte Instagram

D'altronde Un Posto al Sole è un antesignano. Il primo a raccontare Napoli, prima dei fenomeni di Gomorra, Mare Fuori, che però ne restituiscono l'aspetto più violento. C'è un po' di orgoglio in questo?

Certamente. Il problema è che anche il cinema racconta sempre quella faccia, evidentemente fa spettacolo. La cosa bella di una città e di una cultura come la nostra, è che al suo interno trovi duemila possibilità di narrazione, duemila umori diversi, aspetti della città diversi, quindi anche il cinema dovrebbe iniziare a raccontare altro.

Un lavoro come quello su un set quotidiano, che quindi ha pochissimi giorni di stop, come impatta sulla vita di un attore?

In realtà è una fortuna. Il mio è un lavoro meraviglioso, ma nel quale si lavora poco, per cui noi siamo fortunati a lavorare 300 giorni all’anno. Diventa un'opportunità per assestare la propria forza narrativa, senza essere assoggettati agli umori e alle scelte di altri. Con gli autori abbiamo la fortuna di gestire un personaggio da trent’anni, con tutto quello che comporta. Hai la possibilità di suonare duemila corde, anche narrative: ho fatto la commedia, la tragedia, il violento, il tenero, il sensuale, e anche da attore è una chance unica. Ma lo spazio per fare altro si può trovare.

Ovvero? 

Sto girando un’altra cosa, interpreto San Gennaro, in un cortometraggio su Napoli, che racconta la rinascita dal basso dei quartieri, un tempo degradati. San Gennaro scende sulla terra, ingelosito dal protagonismo di Maradona che, lui teme, stia per sostituirlo. Però tra il serio e il faceto raccontiamo un po’ i cambiamenti degli ultimi anni di questa città.

A quando la visione di questo nuovo progetto?

In primavera. È una docu fiction, per l'esattezza, si chiama "San Gennaro, Maradona e lo sciopero dei miracoli", con la regia di Giulio Garcia.

L'avevamo già vista lasciare i panni di Raffaele Giordano e cimentarsi in "Non sono una signora" su Rai2. Come è andata?

Sì, è stato divertentissimo, per quanto abbiano cercato di boicottarlo. Abbiamo fatto grossissimi ascolti, è andato bene, mi ha fatto conoscere un mondo che neanche io conoscevo, un mondo di artisti e non solo di altro. Purtroppo è stato cancellato.

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Crede che un programma del genere, se fosse stato confermato, sarebbe potuto essere un valore aggiunto per la Rai?

Certo. Il cinema, la televisione hanno la possibilità di farti entrare in mondi che non conosci e farteli scoprire, è la cosa più bella.

Abbiamo parlato del lavoro sul set per centinaia di giorni l'anno. In America questo aspetto è stato oggetto di trattative tra attori e case di produzione, a causa delle paghe eccessivamente basse. In Italia come siamo messi?

Io faccio parte del Registro Attori Italiani, che sta per essere riconosciuto ufficialmente. La lotta è questa, perché si confonde la categoria dello spettacolo con quella degli attori. Gli attori non lavorano tutti i giorni, come una sarta, un operatore, uno scenografo, quando si fa un film prima c’è la preparazione, dopo la promozione e noi non siamo pagati. Quando si sente che un attore guadagna mille euro al giorno lavorando al cinema, può essere vero, ma ha da studiare la parte, da provarla, fare prove costumi, girare, ecc… Considerando che non si fanno dieci film all’anno, sono pochi che riescono a girarne tre o quattro, ma un attore quando ha lavorato 5 giorni facendo cinema, 20 di televisione, e col teatro si gira massimo due mesi in tournée, ma come si può sopravvivere?

C'è bisogno di rivedere il contratto nazionale. 

Va rivista proprio la figura. Bisogna pensare specificatamente alla categoria degli attori, non dei lavoratori dello spettacolo, sono due cose distinte, questa è la grande confusione che esiste. Il contratto nazionale è in fase di definizione, siamo in piena lotta di categoria.

Quindi anche in Italia qualcosa inizia a muoversi?

Assolutamente sì. Non abbiamo avuto tutele neanche durante il lockdown, l’unico sostegno è stato dato dall’Imaie, che è l’istituto che gestisce i diritti, con cui abbiamo sostenuto la categoria. Mi auguro ci sia un buon riscontro.

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