Paolo Sorrentino come Parthenope: “Il tempo che passa mi addolora. Dopo l’Oscar il lavoro mi ha dato meno vertigini”
Parthenope arriverà al cinema il 24 ottobre. Il nuovo film di Paolo Sorrentino con Celeste Dalla Porta, Stefania Sandrelli, Silvio Orlando e Luisa Ranieri, racconta il lungo viaggio della vita di Parthenope, dal 1950, quando nasce, fino a oggi. Un’epica del femminile senza eroismi, ma abitata dalla passione inesorabile per la libertà, per Napoli e gli imprevedibili volti dell’amore.
Ospite nella redazione di Fanpage.it, il regista premio Oscar ha spiegato quanto si senta unito alla protagonista e come questo film rappresenti il suo personale "viaggio nella città". "Rispetto allo scorrere del tempo mi sento più vicino alle donne, che lo vivono con maggior dolore e profondità in confronto agli uomini", ha dichiarato, "professionalmente, dopo “La Grande Bellezza” che ha avuto grandi risultati, ho cominciato a provare meno sensazioni vertiginose, di quante ne provassi quando avevo trent'anni e cominciavo a fare questo lavoro". Essere chiamato Maestro lo trova "del tutto incongruo" perché pensa di non avere nulla da insegnare, nonostante arene gremite di giovani cinefili e aspiranti cineasti che cercano di carpire i segreti della sua arte.
Non a caso, i suoi film hanno una doppia vita nella condivisione sui social e Sorrentino stesso è diventato un esilarante meme a Cannes, dove, spiega, "ero solo felice di essere tornato lì". E sulla mancata distribuzione del film Loro (già confermata anche da Toni Servillo), sulla vita di Silvio Berlusconi, in tv e in piattaforma, a fronte di un trend enorme generato da singoli frame su Tik Tok, ha ammesso: "Beh sì, l'hanno censurato, non l'hanno fatto vedere".
Parli di epicità della vita, mi spieghi perché?
Il viaggio è considerato epico. Mi è sembrato che quest'idea fosse perfettamente aderente a una città come Napoli, dove puoi viaggiare stando fermo, girovagando per la città. Quella che Joyce chiamava “la selvaggia vitalità dell'epica”, cioè questa specie di straripante corsa verso la libertà e verso i sentimenti, mi sembrava bellissimo che si potesse far vivere ad una donna, in una città come Napoli, arrivando addirittura a sospettare un meccanismo di identificazione fra questa donna e la città stessa.
L'epica riguarda anche la dimensione del tempo.
La dimensione epica è data dalla lunghezza e dall'ampiezza del viaggio, dalla durata della vita che di per sé è epica. Questa cosa ancor più mi sembrava pertinente attribuibile a una donna perché la dimensione dello scorrere del tempo è qualcosa che, nella mia esperienza, le donne vivono con maggiore consapevolezza, con maggiore anche dolore di quanto lo facciano gli uomini, che tendono a sorvolare un po’ più superficialmente.
In che senso?
Molti uomini la risolvono con una tintura di capelli e con l'acquisto di una macchina potente, mentre le donne la vivono in maniera più approfondita. E dato che pure io la vivo in maniera più approfondita, infatti non mi tingo i capelli e non mi sono comprato un'automobile potente, mi è capitato di parlarne in maniera soddisfacente più con le donne che non con gli uomini.
Qual è stato il tuo viaggio da fermo in questa città?
In realtà è stato un viaggio di cui mi pento perché non è stato un vero viaggio. Perché io, provenendo da una realtà un po’ piccolo borghese, ho sempre avuto, finché sono stato a Napoli, un atteggiamento un po’ timoroso. E questa è la ragione per cui poi da adulto ho pensato di poterlo compiere a pieno. Il film è anche il mio viaggio dentro la città.
Hai detto che Partenope non poteva che nascere qui perché Napoli è una città libera e non giudicante. In che modo lo è?
Napoli è una città che tende a non esprimere giudizi morali, con tutte le conseguenze negative del caso, perché dove non c'è un'etica ben definita si rivelano poi un sacco di problemi nella convivenza civile: l'approssimazione, la criminalità, la violenza, è tutto figlio di una assenza di morale. Però ha anche i suoi risvolti positivi, cioè crescere qui ti consente di sentirti molto libero.
Dici di aver attraversato dei sentimenti inattuali, tra i quali anche l'erotismo e la seduzione. Per raccontare l'effetto che fa Partenope dal punto di vista sensuale, ti sei anche avvalso di Gary Oldman nei panni di John Cheever, tra tanti perché proprio lui?
Perché è uno scrittore che amo e per rafforzare proprio l'idea di espressione di libertà e consentire di tuffarsi nella spensieratezza e nella vertigine di meraviglia che può essere la gioventù. Mi sembrava che il personaggio di John Cheever, che invece era all'epoca adulto ed era imprigionato in costrizioni di natura culturale e sociale, per cui per esempio non si sentiva di vivere liberamente il suo orientamento sessuale, potesse fare emergere molto più prepotente la voglia di libertà e di spensieratezza della protagonista Parthenope.
Cheever a un certo punto diventa un anello di congiunzione per un altro sentimento, che è quello del male di vivere in gioventù, che appartiene al fratello di Parthenope, Raimondo (Daniele Rienzo, ndr), ed è anche legato al tema del suicidio. Lo scrittore e Raimondo sembrano speculari, appartenersi molto di più che a Parthenope stessa.
Sì, è vero, sono sono totalmente speculari. C'è una scena in cui si guardano, in cui Raimondo vede in prospettiva quella che sarà la sua vita, una vita come quella di Cheever, perché anche Raimondo sente l'impossibilità di esprimere i propri sentimenti per la sorella e forse di esprimere un suo orientamento omosessuale, è come se sentisse in arrivo la prigionia della vita.
Tra le tante cose, è un film che punta molto all’emozione. Prendendo distanza da ciò che crei tua mano, cosa ti emoziona e ti fa commuovere?
Quasi tutto e da sempre. Un po' però si sta aggravando con il fatto che quando si cresce si tende ad essere più emotivi, vulnerabili e piagnucolosi. Mi commuove particolarmente la bellezza dei gesti sportivi, per esempio.
Uno su tutti?
Una famosa foto di Maradona che ha il pallone tra i piedi e ci sono otto giocatori del Belgio che cercano di levarglielo. C'è questa specie di duello impari, di otto persone spaventate e di uno solo che non è spaventato, mi commuove.
Stefania Sandrelli e Celeste Dalla Porta: due attrici, due età, due percorsi di vita. Come si gestiscono due professionalità così diverse e complementari sul set?
Per entrambe, il mio approccio è stato abbastanza simile. Sono attrici che vogliono essere semplicemente volute bene e non giudicate, perché hanno paura di quello che devono fare. Poi ci sono altri attori e attrici che invece non vedono l'ora di dimostrarti quello che sanno fare, sono quelli più agonistici.
Silvio Orlando, invece, è il professore dell'università che ci guida in questo viaggio alla scoperta dell'antropologia. Sua lezione di vita è quella sulla capacità di vedere che sopraggiunge un certo momento della vita dopo che non si è più impegnati a viverla soltanto. Quando accade questo passaggio nella vita di un individuo e in te, quando accadde, cosa generò?
Nel pensare da adulti, certi appuntamenti con la vertigine del provare si diradano e quindi prende il sopravvento la calma, una forma di tranquillità, dove "vedi", osservi quelli che provano le cose più che provarle tu. Io professionalmente, dopo “La grande bellezza” che ha avuto grandi risultati (premio Oscar, ndr), ho cominciato a provare meno sensazioni vertiginose di quante ne provassi quando avevo trent'anni e cominciavo a fare questo lavoro.
La canzone “Era già tutto previsto” di Cocciante è imprescindibile dalle immagini di Parthenope. Perché proprio questo brano e come arrivi alla sublimazione in musica per i tuoi film?
Forse, dato che sono canzoni che ascolto mentre scrivo il film, il film si veste di quell'emozione.
Per “La grande bellezza” ascoltavi “A far l'amore comincia tu” remixata da Bob Sinclar?
Continuamente, sì, sempre.
A proposito di musiche e di scossoni emotivi, c'è la scena che ormai è il meme preferito di tutti gli insicuri d'Italia: ti si vede entrare in sala a Cannes sulle note di “Live is life” (anche qui l'omaggio dei fan a Maradona era d'obbligo) con passo felpato e un'apparente o reale sicumera. Ci racconti la verità di quel momento?
Io ero solo contento di tornare a Cannes dopo tanti anni. Dato che raramente mi si vede contento, hanno pensato: “Oh, guarda che roba”. Ma ero anche molto impaurito. Poi là, nelle prime file, c'erano persone che conosco, amici, ero contento di vederli, visto che erano venuti per me.
Fenomeni social che derivano anche dall'amore di tantissimi giovani, cinefili e aspiranti cineasti, che affollano i tuoi eventi. Qual è la tua comunicazione con i ragazzi?
La mia relazione coi giovani che mi seguono è qualcosa di molto eccitante. Non è che faccia chissà che per ingraziarmeli. Avendo un ricordo molto vivo di quello che è stato il dolore della gioventù, forse pensano che io sia uno di loro perché mi sentono capace di raccontarlo.
La loro ammirazione, ovvero questa aspirazione anche alla tua arte, come la vivi?
Bene, ne sono felice.
Ti senti una guida sotto questo punto di vista?
Io? No, non mi sento una guida di niente, non riesco a guidare me stesso, figurati i ragazzi di vent’anni. Però sono contento che ci sia.
Da Fazio hai dichiarato di aver fatto anche dei film politici che poi si sono rivelati degli azzardi. Parlavi per caso di “Loro”, il film sulla vita di Silvio Berlusconi, e della mancata distribuzione in tv e piattaforma?
Nella mia esperienza, ne ho fatti due (Il Divo e Loro, ndr), i film che hanno a che fare con i politici sono più rischiosi. I politici capiscono perfettamente che il cinema è un'arte popolare e può avere improvvisamente una grande diffusione anche all'estero, dove è più difficile manipolare l'immagine che danno, come fanno nel loro Paese. Per questo motivo, destano grande attenzione, allarme e preoccupazione nei politici stessi e in tutto il mondo che gira intorno ai politici. Da qui, la concreta possibilità di fastidi e pressioni.
Ma tu hai avvertito un approccio censorio a questo film o no?
Da parte di chi?
Della distribuzione, televisiva e di piattaforma (Medusa, ndr)
Non l’hanno distribuito sulle piattaforme o in televisione. Non lo so se è censorio… semplicemente, sì, lo hanno censurato. Non lo hanno fatto vedere.
Sia in “È stata la mano di Dio” che in Parthenope indaghi molto il concetto di libertà, seppur da angolazioni differenti. Oggi, rispetto al tuo primo film, “L’uomo in più”, senti di avere acquisito abbastanza libertà per fare film che vuoi o soffri ancora di ansia da prestazione?
No, non ho più l'ansia da prestazione, francamente. Però è anche vero che ogni lavoro che fai, dato che poi ti occuperà uno o due anni della tua vita, che non sono pochi, ti fa porre delle domande, ti genera dei dubbi e delle ansie. Se dovevo dimostrare qualcosa, l'ho dimostrato, adesso non mi resta altro che fare quello che mi diverte fare.
Visto il considerevole numero di volte che te lo senti dire, vorrei chiederti come ti misuri con l'appellativo “Maestro”?
Lo trovo del tutto incongruo. Alle volte lo dico, lasciate stare…Non è che me ne importi molto, non ci credo. Maestro presuppone che c’è da insegnare qualcosa e penso di non avere nulla da insegnare. D'altronde sono autodidatta nel cinema, studiavo economia, non mi sono laureato, cioè proprio non ho nessun tipo di percorso di studi che preveda che io poi diventi maestro di qualcosa.