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Paolo Ruffini: “In Italia, se fai il buffone resti buffone, ma se fai l’intellettuale ci cascano tutti”

Il regista e produttore si racconta a Fanpage.it in una lunga intervista, mettendo in discussione i confini tra “alto” e “basso” nell’arte: “Quello che distingue l’artista dal resto, per me, è la libertà”.
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Paolo Ruffini è attore, regista, scrittore e produttore. È stato anche ‘creator' quando ancora non sapevamo che si sarebbero chiamati così. Ha fatto i cinepanettoni, anche quelli più volgari, ha presentato forse l'unica edizione memorabile dei David di Donatello, quando ha dato della "Topa" a Sophia Loren attirandosi addosso insulti e critiche da pubblico e star system. A Fanpage.it riflette sull'arte, difende la cultura popolare mettendo in discussione i confini tra "alto" e "basso": "Quello che distingue l'artista dal resto, per me, è la libertà. L'equivoco è questo. Se fai il buffone, resti buffone. Se fai l'intellettuale, tutti ci cascano perché questo in fondo non è un paese di intellettuali".

L'attore e regista torna in un tour teatrale con Din Don Down, lo spettacolo realizzato insieme ad attori affetti da Sindrome di Down, e su RaiPlay con "Perdutamente", un documentario che celebra la Giornata Mondiale dell'Alzheimer: "Una malattia terribile che ti fa dire "non so chi sono, non so chi sei ma ti amo". Il rapporto con il mondo degli hater: "Sui social c'è scritto ‘commenta', ma si legge ‘giudica". La conduzione ai David 2014"Rifarei tutto, anche perché di quell'edizione ero anche autore. C'è stato di peggio, più avanti: il cazzotto di Will Smith a Chris Rock agli Oscar 2022". 

Paolo, in una conferenza stampa recente ti sei posto da solo una domanda: "Che cosa distingue l'arte dalla non arte?" 

C'è sempre stato un grande equivoco culturale in questo paese. Abbiamo sempre distinto gli artisti dai mestieranti e dai buffoni. Penso che non sia esattamente così. Il fatto che delinea l'essere artista non è esattamente aver fatto qualcosa di bello. Chi è che decide cosa è bello? Non è che arriva Mereghetti è dice: "I 400 colpi" di Truffaut è bello, "Jurassic Park" no. Quest'equivoco è sempre stato presente soprattutto nei confronti di chi produce cose più popolari.

Ma come si riconosce un artista? 

Quello che distingue l'artista dal resto, per me, è la libertà. Questa è la componente. Invece c'è chi distingue tra santoni intellettuali e scemi pagliacci clown. L'equivoco è questo. Se fai il buffone, resti buffone. Se fai l'intellettuale, tutti ci cascano perché questo in fondo non è un paese di intellettuali. È un paese di persone perbene, ma con la cultura c'è ancora tanto da fare.

Stai per portare "Sapore di mare" al teatro. Carlo Vanzina è stato una delle vittime dell'equivoco che divide cultura alta e cultura bassa. 

Carlo Vanzina era un uomo colto, libero, straordinario e di una generosità infinita e la riconoscenza in vita è una questione sempre annosa nell'arte. È successo a Van Gogh, è successo ad Antonio Ligabue, figurati se non succedeva a Vanzina. È una miopia tutta nostra. L'arte non si valuta mai nella contemporaneità e abbiamo bisogno del binocolo per riconoscerla. L'aggravante, oggi, è che se tu fai intrattenimento c'è il giudizio sulla tua persona e sulla tua morale. Se vedi Vacanze di Natale, oggi, è un grande classico. Anche i cinepanettoni, alcuni li ho fatti anche io, li guardi e finisce che ti mancano. Ti manca anche quella volgarità. Erano film fatti per persone che lavoravano otto ore al giorno, tornavano a casa e volevano staccare la spina. E, invece, abbiamo colpevolizzato anche il pubblico. Non sopporto quando mi dicono: "Tu hai fatto film per deficienti". Dammi del deficiente a me, non al pubblico.

Che rapporto hai con gli hater?

L'ho risolto.

Come?

Con un esercizio. Quando penso agli insulti che arrivano sul web, "Non fai ridere", "Sei un coglione", "Vattene", immagino una fila come quella che c'è agli aeroporti. Arriva uno e fa: "Non fai ridere", un altro: "Sei una merda", un altro ancora: "Sei un imbecille, non fai ridere per niente". Nella vita, per una scena del genere, ti metteresti a ridere. Perché questa cosa è ridicola, gli hater sono ridicoli. Anni fa, se un film di un regista non ti piaceva, la volta successiva non andavi a vederlo. Se in un ristorante non ti piaceva come s'era mangiato, la volta successiva non ci tornavi più. Non c'era bisogno di dirlo a voce alta. Oggi tutti si sentono ‘stocazzo‘ perché dicono le cose a voce alta. Queste crea un problema. Sui social c'è scritto "commenta", ma si legge "giudica". E allora perché tutto questo dovrebbe condizionarmi?

Dieci anni fa, la presentazione ai David di Donatello. Hai dato della "Topa" a Sophia Loren, tra le altre cose, e hai preso insulti e critiche anche da quei modelli intellettuali di cui si parlava in apertura. Rifaresti tutto? 

Assolutamente sì. Rifarei quel tipo di conduzione, anche perché di quei David ero autore. Erano tempi in cui eravamo ancora in una terra di mezzo e io non ho mai preteso di piacere a tutti. Una sola persona lo pretendeva ed era Benito Mussolini, che non mi sembra sia esattamente un modello attendibile. E non a caso, in quel ventennio era tutto ‘politicamente corretto'. Ora siccome, per arrivare anche ad oggi, né il Papa, né la Meloni mi vietano di fare battute su qualsiasi cosa, l'idea di sentirmelo vietare dalla gente e dalla democrazia, oggi come allora, è semplicemente surreale. Si dice una cosa, ci si prende la responsabilità di quello che si dice e se c'è qualcuno che quella battuta non ha voglia di ascoltarla, non la ascolta. Non è complicato. Comunque, dopo i David del 2014 è successo di peggio, mi sembra.

Paolo Ruffini ai David di Donatello 2014 con Sophia Loren
Paolo Ruffini ai David di Donatello 2014 con Sophia Loren

Tipo? 

Agli Oscar del 2022, un conduttore si prende la responsabilità di fare una battuta su una signora, il marito si alza e lo prende a schiaffi. Ecco, il fatto che in quel momento tutti i social hanno difeso quello che Will Smith ha fatto a Chris Rock, ti fa pensare che il minimo comune denominatore è un concetto violento che non va assolutamente verso lo stato di diritto. Se io danneggio la tua sensibilità, mi quereli. Quando ci chiediamo, ma qual è il confine per scherzare? Il confine è il diritto. Punto e basta. Ricky Gervais dice una cosa sacrosanta: il fatto che tu ti possa offendere, non vuol dire che hai ragione. Per fare un esempio, tanti anni fa, feci una piccola commedia e facevo battute su tutti. C'era un ragazzo down e a lui non dicevo nulla. Allora mi prese da parte: perché non fai battute su di me?

E da qui che è partita l'idea di fare Up&Down e il prossimo Din Don Down, lo spettacolo con artisti affetti da Sindrome di Down e da Sindrome dello Spettro autistico?

L'idea è partita con un amico, Lamberto Giannini, che ha creato una compagnia teatrale a Livorno che si chiama Mayor Von Frinzius che ha più di 60 attori, la cui metà è affetta da disabilità. È una compagnia che esiste da trent'anni e dieci anni fa abbiamo iniziato ad andare oltre, è diventato uno spettacolo di grandissimo successo.

Il 21 settembre c'è la Giornata mondiale contro l'Alzheimer. Su RaiPlay c'è il tuo documentario Perdutamente. 

È un lavoro a cui tengo tantissimo ed è dedicato a tutte le persone che si sentono abbandonate e sole per questa malattia. È terribile affrontare l'Alzheimer, perché è una malattia che ti fa dire "non so chi sono, non so chi sei ma ti amo". Il vero senso per cui veniamo al mondo, in mezzo a tante dinamiche che ce lo fanno dimenticare, è per quello. Per l'amore. Ti puoi mettere un sacchetto intorno al collo, ma non puoi decidere di non amare e non voler bene a qualcuno e di non essere amato.

La locandina di "Din Don Down"
La locandina di "Din Don Down"

Arriviamo al produttore Paolo Ruffini. La tua Vera ne ha per tutti: produce spettacoli di giornalisti, comici, creator. 

Nasce da un vecchio collettivo che è Il Nido del Cuculo, le mie origini. Da lì, la cosa si è espansa e abbiamo cominciato a industrializzarci e siamo diventati una realtà con dei talent fantastici. Lavoriamo con Max Angioni, Vincenzo Schettini, Giuseppe Cruciani, Vittorio Pettinato, Casa Abis. Gli ultimi spettacoli che abbiamo annunciato sono quelli di Teo Mammucari, di Herbert Ballerina e di Rocco Siffredi.

Tra gli spettacoli c'è anche quello di Cruciani, che è un po' il simbolo contro il politicamente corretto: lui distrugge schwa e asterisco sul palco. 

È un grande spettacolo, sta andando benissimo ed è un po' il manifesto di tutto quello che abbiamo detto. Stiamo progettando una cosa molto bella per il futuro: portare La Zanzara a teatro.

Come si riconosce il talento? Come decidi chi scritturare? 

Per me vince la sensibilità. Dico sempre che siamo riusciti a ottenere l'intelligenza artificiale, ma non riusciremo mai a ottenere la sensibilità artificiale. Per me questa è una cosa che viene premiata dalla gente e dal pubblico. E anche l'idea di poter sbagliare, inciampare, poter fare una battuta, viverla, vederlo vero e in carne e ossa, non in verticale su uno schermo. Queste sono le cose che contano.

Progetti per il futuro? 

Il mio grande sogno: fare uno spettacolo gratuito a Piazza del Plebiscito. Io amo Napoli, i miei nonni erano napoletani. È una citta goliardica, anarchica ed estremamente sensibile. Ci sono conflitti, contraddizioni ma Napoli è una città che non comincerebbe mai una guerra. E mi piace per questo.

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