Paolo Crepet: “Belve è il prodotto di un declino culturale. Ci si abbassa a un livello da lavandaia”
Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, dopo l'uscita del suo ultimo libro Mordere il cielo. Dove sono finite le nostre emozioni, sta riempendo i teatri italiani parlando, per l'appunto, di emozioni, sentimenti, arrivando finora a 75mila presenze. Un numero altissimo, che indica quanto le persone abbiano bisogno di trovare una guida e che indichi loro su cosa è giusto focalizzare la propria attenzione. Intervistato dal Corriere, non si trattiene dal parlare di televisione, di programmi che ritiene inguardabili, come il seguitissimo Belve di Francesca Fagnani.
Il successo di Paolo Crepet
Crepet adduce la motivazione dei suoi sold out nei vari teatri italiani con l'esigenza, da parte delle persone che vanno lì ad ascoltarlo, di riconoscere qualcuno che indichi loro la strada: "La gente ha bisogno di guide e, dove non le trova, le inventa. C'è bisogno del libretto delle istruzioni per la vita. Però poi le istruzioni sono così semplici e banali che uno si domanda: ma perché non le seguono? Non stiamo parlando di illuminazioni di Einstein". Nel suo libro, edito da Mondadori, parla di emozioni, di quelle che ritiene non ci siano più, nemmeno tra i giovani che dovrebbero imparare a coltivarle:
Ce ne sono pochissime. Se va in giro per la città, trovare un ragazzo e una ragazza che si baciano è rarissimo; prima fuori dal liceo ci si dava appuntamento per questo. Vedere due che limonano sotto un portico non esiste più. Abbiamo fatto un baratto: pur di tenerci stretta la nostra comfort zone abbiamo rinunciato alle emozioni. Anche l'amore è visto come una fatica, un impegno
Fin dall'inizio della sua carriera ha conquistato una certa notorietà, sfilandosi dal lavoro accademico: "Me la sono giocata perché c'è invidia. In Italia il vero intellettuale deve essere bruttino, con l'alito pesante e gli occhiali spessi, sempre incazzato con il mondo. Se c'è uno che si diverte a vivere, quello non è un intellettuale: è un pagliaccio".
Paolo Crepet su Belve e la tv odierna
Eppure, la sua voce, Crepet l'ha affermata in più contesti, lasciandosi ascoltare. Nel suo ultimo libro parla di una barbarie da combattere con l'uso dell'empatia, sempre meno praticata anche in contesti in cui sarebbe necessaria:
Io credo che questo sia il prodotto di un declino culturale evidente. I nostri mezzi di comunicazione, tutti, non hanno di che parlare realmente e questo ha fatto emergere una necessità voyeuristica. Perché uno deve andare in televisione a parlare dei fatti suoi? È da poveracci. Inviti il maestro Muti e gli chiedi: lei aveva un affaire con Tizia o Caia? Ma che domande sono? Uno si dovrebbe vergognare. Il mondo dei media si è abbassato a un livello che una volta si sarebbe detto "da lavandaia"
A questo proposito, lo psichiatra commenta come alcuni programmi come Belve, che sta riscuotendo ormai da anni un certo successo, non siano davvero arricchenti e che siano l'esempio di una televisione ormai improntata non a conoscere il personaggio ma a scavare nel torbido:
Perché la gente è disperata. Cosa c'è di interessante? Non mi hanno mai invitato e io non ci andrei mai. La Fagnani sarà anche carina, ma è colpa di chi fa il programma che deve cercare la volta in cui sei scivolato sulla buccia di banana: disperazione allo stato puro. E gli adolescenti lo vedono che noi siamo spietati. La televisione trash di cui si parlava anni fa era l'anticamera di questo; adesso è una televisione animalesca, infatti si chiamano "Belve", "Iene". Non c'è nulla di umano. Se avessi ospite Giorgia parlerei solo del dolore per la morte del suo fidanzato: quante volte sei morta quando l'hai saputo? Come ti sei tirata su? Chi ti ha raccolta col cucchiaino? Invece qui è come ridurre la vita di Verdi a quando ha lasciato la moglie: sì, è vero, ha lasciato la moglie. E quindi? Cosa toglie al sublime dell'Aida?
Alla domanda se la tv sia tutta da buttare, il sociologo risponde: "Una volta c'era Baricco che si era inventato una grande televisione e tu da quelle trasmissioni ne traevi nettare. Magari non sapevi nulla di lirica o di letteratura, ma quell'oretta ti permetteva di aprire il cervello".