Paolo Conticini: “Per essere uomini migliori mettiamoci nei panni delle donne. L’umorismo italiano sta sparendo”
Se si dovesse pensare ad un termine che definisca Paolo Conticini, si potrebbe dire: brillante. Quando lo raggiungo a telefono è nel pieno delle ultime repliche di Tootsie, al Teatro Manzoni di Milano, dove si esibirà anche la sera di Capodanno. Da più di trent'anni sulla scena, l'attore toscano ha dimostrato di essere versatile e di scivolare con grande leggerezza da un ruolo all'altro, abbracciando vari registri, esibendosi nel canto, nel ballo, ma senza mai tralasciare quella particolare predisposizione all'ironia. Anche per questo guizzo, un po' guascone da buon pisano, il termine brillante gli calza a pennello.
Dal cinema, accanto a nomi come Christian De Sica e Massimo Boldi con il quale ha recitato nel film A Capodanno tutti da me, in onda in seconda serata il 1° gennaio su Canale 5, passando per la tv con il successo di Cash or Trash, Conticini è sempre riuscito a tenere i piedi ben saldi al terreno, senza mai cambiare la sua vera essenza: "Non penso di essere diverso da com'ero quando ho iniziato", racconta in questa intervista, mostrando l'umiltà di un artista che dalla gavetta è riuscito a conquistare non poche soddisfazioni, senza mai dimenticare le sue radici, supportato dall'amore di sua moglie Giada, da trent'anni al suo fianco.
Accoglierai il nuovo anno mentre sei a teatro. Com'è festeggiare Capodanno in scena?
È successo tante volte, da un lato fai a meno di fare ciò che vuoi, magari festeggiare in un locale con gli amici, però è una soddisfazione poterlo fare davanti a un pubblico che sceglie il tuo spettacolo per scavallare l'anno. Dopo lo spettacolo faremo un brindisi anche con il pubblico, è un Capodanno diverso, ma devo dire non mi dispiace.
Tra l'altro porti in scena Tootsie, con Enzo Iacchetti, dove interpreti il ruolo che nell'iconico film degli Anni 80 è stato di Dustin Hoffman.
È stato un film meraviglioso, con dei messaggi profondi e interpretato da attori fantastici, un vero cult. Posso dire con orgoglio che siamo la prima compagnia a portarlo in Europa nella sua trasposizione teatrale. Sono gli stessi autori con cui ho fatto Full Monty, devo aver guadagnato la loro stima, perché mi hanno premiato proponendomi anche questo ruolo.
Fare l'attore significa mettersi nei panni degli altri, in questo caso quelli di Dorothy. C'è qualcosa che senti di aver appreso dell'essere donna?
Mi verrebbe da dire niente (ride ndr.) A mio avviso, il fascino delle donne sta proprio nel fatto che in loro c'è tutto e il suo esatto opposto, quel mistero che le accompagna credo vada lasciato così com'è. D'altra parte nel film, come anche nello spettacolo, si vede un punto di vista che non è quello solitamente maschile, ma un uomo seppur in maniera costruita, cerca di mettersi dalla parte delle donne, veicolando così un messaggio importante, anche se attraverso la risata.
Degli uomini si dice che siano restii ad aprirsi, a mostrare la loro sensibilità. Credi sia ancora un tabù o ci siamo evoluti nell'avvicinare l'universo maschile a quello femminile?
Credo siano stati fatti passi avanti importanti, basta guardare i capi di Stato, i settori dello sport, della politica, insomma vari ambiti della società, ma è chiaro che non basta, dobbiamo fare molto di più. C'è una frase che dico alla fine del musical che credo sia bellissima "Dobbiamo metterci molto più spesso nei panni delle donne per essere uomini migliori", ne sono convinto. La sensibilità può essere un aspetto spiccatamente femminile, però a me piacciono quegli uomini che riescono a mostrare il loro lato femminile. Mi piace la sensibilità, la dolcezza, mi piace l'educazione, il rispetto e a prescindere dal fatto che si sia uomini o donne, vedo che in giro ce n'è sempre meno, ed è una cosa che mi rattrista molto.
Nello spettacolo, tra l'altro, il tuo è un personaggio sempre in bilico e alla ricerca di una stabilità. È capitato a volte nel tuo percorso di sentirti instabile?
Ma proprio tante. Tutte le volte che ho dovuto sostenere un provino, soprattutto i primi anni, tendevo anche ad essere una persona diversa da quella che sono, perché magari ti chiedono se sei in grado di fare una certa cosa e rispondi sì, anche se non è vero. Poi arrivi a casa e pensi "ma che ho detto?", quindi tocca prepararsi e anche bene. Gli attori devono essere poliedrici, ma è anche questo il bello, vestire panni che non sono i tuoi e avere il coraggio di dire cose che nella vita non diresti mai.
Attore, conduttore, performer qual è una tua dote, se dovessi indicarmene una?
Mi piace lasciare un segno positivo di me, essere simpatico alle persone. Ho la possibilità di poterlo fare sia nella vita che nella mia professione, credo sia la cosa che mi piaccia di più in assoluto.
Sei in tv col film "A Capodanno tutti da me", i tuoi inizi sono stati al cinema, in svariate commedie. Pensi ci sia ancora un pregiudizio su quei film ritenuti leggeri?
Adesso più che mai, oggi la metà se non l'80% dei film che sono stati fatti da otto dieci anni a questa parte si sarebbero dovuti cancellare. Il senso dell'umorismo degli italiani è finito, non si possono più dire certe cose, anche in televisione, basta dire qualcosa e ti querelano. Se c'è una cosa di cui gli italiani dovevano essere orgogliosi era il senso dell'umorismo, viviamo nel paese più bello del mondo e abbiamo perso il senso dell'umorismo, la solarità che porta la nostra cultura.
Dici che ci siamo un po' uniformati?
Castrati direi, più che uniformati. Poi, però, aprendo i social trovi che tutti hanno il potere di dire qualsiasi cosa, ma la verità è che tutti dovrebbero ascoltare, mentre a parlare dovrebbe essere chi ne sa di più. Siccome questa modalità oggi non esiste più, si ritorna alla mancanza di rispetto, alla maleducazione, tutti vogliono schiacciare tutti, ed è un bel problema.
In buona sostanza, è cambiato anche il modo di fare la comicità.
Eh sì, anche i risultati che certi film ottengono al botteghino sono proprio scarsi, demoralizzati. Si dovrebbe aprire una discussione infinita.
In "A Capodanno tutti da me" affianchi Massimo Boldi, grande volto della comicità italiana, ma per anni hai lavorato anche con Christian De Sica. Come nacque il vostro sodalizio artistico?
Se vogliamo è nato per caso. Senza aver fatto alcuna scuola di recitazione, nemmeno un corso ebbi l'opportunità di fare questo provino, che poi è andato bene. Da lì è nata un'amicizia, una stima reciproca con la quale abbiamo poi continuato a lavorare per i film di De Laurentis, per il cinema, fiction, pubblicità, teatro. Ho lavorato con Christian per 18 anni, poi a un certo punto si è sfaldata la coppia Boldi-De Sica e si è allentato un po' tutto. Questo è il brutto del nostro lavoro e posso farti un esempio.
Certo, dimmi pure.
Con questa tournée teatrale che sto facendo viviamo una convivenza di 7-8 mesi, ci facciamo promesse di vederci, di continuare a lavorare insieme, poi a un certo punto la tournée finisce e le strade si dividono, per svariati motivi. Poi, certo, non è detto che poi non possano rincontrarsi, io ad esempio ho fatto diversi film con Boldi anche dopo De Sica. Tornando agli inizi, posso dire di essere estremamente felice di aver iniziato così, ho fatto la scuola più bella che possa esserci, la più efficace, recitare accanto ad attori bravi e di successo.
Boldi, di recente, ha detto che non è possibile litigare con De Sica e chi ha parlato di un litigio ha ingigantito quello che poi è accaduto tra loro.
Esattamente, è proprio così. Magari ci si allontana ma è una cosa fisiologica, si fanno anche delle scelte artistiche, che possono non essere per sempre.
Hai interpretato spesso la parte del belloccio, dell'uomo piacente. Com'è cambiato il rapporto con la tua immagine, una volta diventato attore?
Non mi piacciono le feste, la mondanità. Ho fatto tanto cose, ho partecipato ad eventi e non posso negarlo, ma ho sempre preferito vivere una vita più vera. Non credo che la mia immagine sia cambiata, le amicizie che coltivo sono quelle di quando ero piccolo, sono quelle più sincere, sono sposato da tanti anni, convivo da trenta con Giada, conduco una vita tutto sommato semplice. Ho solo la fortuna di lavorare tanto e mi piace tantissimo farlo.
Hai definito tua moglie Giada un faro, in cosa lo è stata?
In tutto. Faccio una vita e un lavoro dove perdersi è facilissimo, pur restando con i piedi per terra magari si imboccano strade facilmente percorribili. Lei è stata ed è tuttora un punto di riferimento, per questo dico che per me è stata un faro.
State insieme da trent'anni e in un momento storico in cui sono più le coppie che scoppiano che quelle che resistono…
È quasi un record (ride ndr.)
Qual è il valore più importante che vi ha permesso di camminare l'uno accanto all'altra per tutto questo tempo?
L'amore, parte sempre tutto da lì. In uno spettacolo, in cui racconto tutte le mie prime volte, c'è un capitolo vero la fine dove dico "il segreto della nostra relazione sta innanzitutto nell'amore, nel rispetto, la complicità, il senso dell'umorismo" e poi la voce fuori campo di mia moglie interviene dicendo "e tanta tanta pazienza" (ride ndr.)
La pazienza non basta mai. Ma questo perché, tralasciando l'aspetto professionale, pensi di essere una persona impegnativa?
Sono molto impegnativo. Ad esempio, sto facendo questo lavoro? Penso già al prossimo che vorrei fare. Con il tempo sono diventato meno ansioso, però sono una persona molto ansiosa, sono iperattivo, ho la testa che va a mille, penso alla sistemazione di quello che abbiamo costruito, penso di voler fare sport, alle vacanze. Lei è totalmente diversa da me, è calma, le può passare il mondo addosso e dice "vabbè, non è successo nulla" e io lì mi arrabbio, le chiedo "ma come fai?". E quindi, sì, con me ci vuole pazienza.
In tv oltre che attore, sei conduttore di Cash or Trash sul Nove. Cos'è che rende così attrattivo per il pubblico questo programma?
Penso che sia un programma educato ed educativo, anche dal punto di vista culturale. È curioso. Fa porre una domanda alle persone che, magari, si chiedono se l'oggetto che hanno portato in tv possa essere simile a qualcosa che hanno a casa e possano avere tra le mani un tesoro senza saperlo. È un programma nuovo, rivolto a tutti, credo sia questo il segreto del programma e sono molto contento e orgoglioso.
Inizialmente non eri convinto di volerlo fare.
Quando mi è stato proposto ero un po' titubante, pensavo non avesse niente a che fare con il mio lavoro, si trattava pur sempre di una conduzione, però dovevo stare lì col martelletto, mi sembrava di fare una cosa fuori la mia portata, poi vince sempre la mia curiosità quel "provaci, ma perché no?". Meno male che ci ho provato e che mi danno l'opportunità per farlo, infatti ad aprile c'è la nuova edizione ed è prevista anche un'altra in autunno. Ormai è un fiore all'occhiello del Nove.
Che TV è quella del Nove?
È un'emittente che si sta ingrandendo sempre di più e sta accogliendo personaggi di spessore. È una TV che piace perché è innovativa, una TV nuova, credo veramente che punti al ritorno dell'educazione, è una TV educata, perché ormai dove ti giri, vedi confusione. Tra le cose più violente che appaiono in televisione, ma che dovrebbero essere le più educative, ci sono i telegiornali, ma perché il tenore delle notizie, ormai, è politico, non si danno informazioni.
Paolo Conticini guarda la tv?
Poco. Guardo spesso le serie televisive, prima guardo più spesso la televisione, adesso anche un po' per pigrizia la guardo sempre meno.
È indicativo che chi fa tv sia restio a guardarla, forse anche il pubblico vuole prendere le distanze da certe cose che passano in televisione?
Assolutamente. Tra social e televisione credo che il contatto con la realtà sia sempre più in bilico.
Credi che i social diano ancora un'immagine distorta della realtà?
Sui social vedi esclusivamente ricchezza, bellezza, bottiglie di champagne che si stappano, barche, macchine, gioielli, ma in giro c'è tanta povertà, tanto scontento. Tanta violenza. Spero che le persone riescano a tornare con i piedi per terra, con la consapevolezza che la vita vera non è questa.
Nonostante tu faccia un mestiere che ti porti a vedere una realtà a suo modo edulcorata, sei ben ancorato al terreno.
Certo, le persone che fanno il mio lavoro sono tra le più vulnerabili, potrebbero cadere per prime se non piantano bene i piedi a terra. Tanti personaggi dopo un applauso pensano di aver raggiunto chissà cosa, ma non è così, oggi la gente ti applaude, domani no. È un attimo. Ce ne sono centomila di Paolo Conticini che possono sostituirti con uno schiocco di dita. Siamo tutti sostituibili e bisogna esserne consapevoli.
Su cosa hai lavorato per fare i conti con questa cosa?
Credo di aver avuto sempre questa percezione di essere stato sempre coi piedi per terra, questo lo devo a mio padre e mia madre. Vengo da una famiglia molto semplice, dove era difficilissimo arrivare a fine mese, quindi tutto quello che ho guadagnato, ho costruito, ho sempre cercato di conservarlo, non sprecarlo, cerco di dargli un peso.