Noi 2, la seconda stagione si farà? Lo sceneggiatore Sandro Petraglia risponde a Fanpage.it
È giunta al finale di stagione anche la serie Noi prodotta da Rai e Cattleya, remake italiano di "This is us" una della serie americane più amate di sempre. Impresa ardua quella di rimaneggiare un prodotto già così ben riuscito e confezionato, e che gli sceneggiatori Sandro Petraglia, Michela Straniero e Flamina Gressi hanno affrontato non senza qualche difficoltà, dettata non solo dal pregiudizio incontrato dai telespettatori già affezionati alle cinque stagioni della versione originale ma anche dalla necessità di rendere verosimili dinamiche che non appartengono alla cultura italiana.
Come si lavora ad un progetto così complesso, lo ha raccontato a Fanpage.it Sandro Petraglia, con il quale abbiamo ragionato sulla possibilità che vi sia Noi 2 – la seconda stagione che aprirebbe all'evoluzione delle storie, sebbene gli ascolti non abbiano particolarmente premiato il riadattamento italiano di una storia che, in realtà, aveva appassionato milioni di fan.
This is Us è una delle serie più amate e seguite nel mare magnum delle serie tv, credo che la sfida più grande per voi sia stata quella di fidelizzare un pubblico affezionato e convincerlo della forza di una nuova versione. Come ci avete lavorato?
Sì, era la sfida maggiore del progetto. La serie americana era molto nota, con grandi appassionati, una serie di un gran livello di scrittura e di messa in scena. Per quello che riguarda la scrittura abbiamo cercato di lavorare soprattutto sul linguaggio, siamo stati attenti ad evitare modi di dire americani e abbiamo cercato di personalizzare i dialoghi dando un ritmo italiano al parlato, anche se molti sono stati totalmente riscritti o inventati da noi.
Ci sono però delle evidenti differenze, anche culturali, tra Noi e This is Us.
Abbiamo creato delle situazioni che fossero il più possibile italiane, a cominciare da Claudio che lavora come attore in "Amore tra i banchi" una fiction italiana e che non è il mammo originale di This is us. Non avendo un sistema di agenti o produttori come quello americano, quel mondo che abbiamo riproposto, che è il mondo della televisione e del teatro sperimentale in cui lui si cimenta a Milano, abbiamo cercato di renderlo aderente al racconto originale, ma facendolo nostro. Stessa cosa che accade anche per Daniele che nella serie originale è una sorta di genio e, infatti, frequenta un liceo specifico, cosa che in Italia non esiste.
Vengono affrontate anche tematiche importanti, che introducono la macro-storia nella micro-storia di ogni singolo personaggio. Quale è stato il vostro approccio, come avete scelto cosa affrontare e cosa no?
In This is Us c’erano alcune scene talmente perfette che si trattava solo di rispettarle e di farle diventare credibili in italiano. Abbiamo raccontato i cambiamenti, le evoluzioni del nostro Paese, questo significa ad esempio parlare dell’arrivo di persone nere anche in Italia, ma in maniera diversa dall'America. Qui è senza dubbio molto più recente, anche il nostro razzismo lo è, quando io ero ragazzo si aveva meno contezza del fenomeno, rispetto ad oggi.
La scelta delle città in cui è ambientata Noi, immagino non sia stata casuale.
C’è stato un grande lavoro sulle città. Ripensando a quella americane, rispetto a Los Angeles, New York e Pitzburg, abbiamo scelto Torino, Napoli, Milano e Roma come territori in cui si muove la storia, anche questo ha contribuito ad una italianizzazione, perché volutamente si toccano vari punti del nostro Paese.
This is us si muove su piani temporali diversi, come è stato raccontare una storia che viaggia continuamente da un anno all'altro?
Non è stato semplice, ci abbiamo pensato a lungo, ma la caratteristica di This is us, nonché la sua invenzione più grande è proprio raccontare due o tre fasce temporali diverse, rimettere tutto in fila avrebbe completamente cambiato il senso del lavoro fatto dagli autori americani. Questo tipo di tradimento sarebbe stato insostenibile, inaccettabile. È uno di quei casi in cui la struttura del racconto è il racconto stesso, però credo che questa modalità ci abbia penalizzato sugli ascolti.
Si aspettava qualcosa di diverso?
Sono un po’ amareggiato, però ritengo che il gioco fosse un po’ questo. L'obiettivo era che la prima serata riuscisse a far passare un racconto che alternasse in maniera non lineare il passato, il presente e anche una fascia di racconto intermedio, contribuendo ad un continuo andirivieni temporale. Lo vediamo in decine di serie, però è una modalità poco presente in Rai e Noi è stato forse il primo tentativo di lavorarci così intensamente.
Quindi ritiene che questo abbia compromesso il successo della fiction?
No, questo non c’entra con la qualità di Noi che è molto alta. Sono contento della regia, degli interpreti, del lavoro della produzione, ma naturalmente tendo sempre a vedere cosa abbiamo sbagliato noi come autori, cerco di non nascondermi dietro la cattiva programmazione.
Magari agli ascolti non brillanti ha contribuito quella fetta di pubblico che non ha voluto cedere alla curiosità di un rifacimento.
La mia sensazione è che una parte di chi aveva visto This is Us non ha voluto vedere la versione italiana, magari nella certezza che sarebbe stata peggiore dell’originale, però credo che proprio una parte di quel pubblico l’abbia vista su RaiPlay, almeno dalle notizie che mi arrivano in maniera informale, non è quindi lo zoccolo duro della prima serata di Rai1.
I paragoni tra l'originale e la versione italiana non sono mancati. Aurora Ruffino ci ha raccontato che il suo personaggio è stato molto criticato, perché diverso da quello di Rebecca, come mai secondo lei?
È un’osservazione strana, lo sa? Trovo più differente il personaggio di Jack, il nostro Pietro, perché Lino Guanciale è molto diverso da Milo Ventimiglia, anche nel modo di recitare, lì vedo delle differenze abbastanza forti. Invece su Rebecca devo dire di no, c’è solo il fatto che Aurora Ruffino ha forse un maggiore candore, sembra sempre una ragazzina.
Il vostro intento è sempre stato quello di mantenersi fedeli ai personaggi originali?
Noi stessi abbiamo fatto fatica la prima volta che abbiamo visto il girato di Noi, lo abbiamo scritto avendo nella testa quegli attori, ma sono stato grato al regista che è riuscito a dare vita ai nostri personaggi. Abbiamo cercato un’autonomia mentre lo scrivevamo, ma con la messa in scena giusta, l'attenzione della produzione ad ogni dettaglio alla fine ci siamo affezionati e ci siamo commossi guardando i Peirò.
Sondando il terreno tra i fan della serie, c'è chi non ha voluto accettare l'idea che fosse stato fatto un remake italiano. Perché tutto questo pregiudizio secondo lei?
Penso che non abbia senso fare un adattamento rispettandolo riga per riga, tanto vale vedersi l’originale. C’è stata una grande idea narrativa, e credo che la cosa interessante sia il fatto che esiste già un materiale su cui il pubblico ha espresso un parere positivo e si può cecare di riprenderlo, raccontando un pezzettino di storia nostra. In fondo l’idea di Noi era raccontare il Paese, le sue trasformazioni all’interno di un nucleo familiare.
Al netto di un'analisi complessiva sull'andamento della fiction, una seconda stagione ci sarà?
La nostra idea era di andare avanti, nella prima stagione non si chiudono alcune storie, ovviamente la palla è in mano alla Rai. L’ascolto non ha premiato Noi, il mio augurio è che la Rai si renda conto di avere in mano un progetto di grande qualità per cui visto che fa tanti ascolti e anche grazie a tante cose scritte da noi, può permettersi di farne uno con un ascolto un po' inferiore.
Qualora dovessero esserci altre stagioni, si potrebbero creare anche nuovi filoni narrativi, non crede?
Questo assolutamente, perché nelle stagioni successive americane c’è una grande predominanza della guerra in Vietnam, con molte cose e scene legate alla guerra, sono cose che noi non possiamo avere, e già su quelle noi provavamo ad ipotizzare dei cambiamenti. Se ci fanno andare avanti potremmo migliorare, e penso che un miglioramento potrebbe esserci anche per il discorso delle fasce temporali, perché può darsi che sia stato difficile comprendere quella dinamica, è una considerazione che faccio, una critica a me stesso.
Noi non è il primo riadattamento di una serie straniera, che è comunque soggetta a cambiamenti significativi. Sembra che la Rai abbia paura di fare un vero e proprio passo avanti, perché allora non puntare su risorse interne?
Mi ricordo che anni fa avevo chiesto a Sergio Silva, un grande dirigente della nostra tv, l’inventore della Piovra, con cui ho iniziato a lavorare tanti anni fa, il perché dovessimo prendere una serie come Braccialetti Rossi che è spagnola, se avremmo potuto inventarcela da soli. Lui mi rispose che quando noi compriamo una serie straniera, per adattarla, compriamo il successo di quella serie. Sappiamo che quel prodotto ad un pubblico medio è piaciuto tantissimo, tanto è vero che paghiamo di più se ha avuto un buon riscontro nella nazione in cui è stato scritto, proprio perché ci vendono il successo, poi dopo lo possiamo reinventare completamente. L’ambizione è quella di fare storie italiane, ma ovviamente non sempre questo processo riesce alla perfezione.
Un po' come succede con i format televisivi?
È esattamente quello che succede con i format, noi compriamo quelli che vanno particolarmente bene in una determinata nazione. All’inizio lo trovavo un po’ penalizzante per gli autori italiani, perché una serie di idee ce le abbiamo e quindi avrebbero potuto puntare di più su di noi, poi fanno anche quello, la Rai fa tutto, è talmente grande.
Quindi c'è ancora speranza per il "made in Italy"?
Certo. La differenza sta nel sistema produttivo, quello americano e anche francese sono molto diversi strutturalmente dal nostro, ma anche noi riusciamo a fare qualcosa di bello e originale.