Michelangelo Tommaso: “Rischiai di non fare il provino per il ruolo di Filippo. In questi anni ho conosciuto tutte le mie paure”
Tra i volti più amati di Un Posto al Sole, la regina delle soap italiane, c'è senza dubbio Michelangelo Tommaso, che da 22 anni interpreta il ruolo di Filippo Sartori. Un personaggio che, pur affrontando diverse difficoltà, ha fatto della coerenza il suo valore portante, un po' come chi in questi anni gli ha dato corpo e voce. "Un attore non può non conoscere se stesso, altrimenti come farebbe ad interpretare qualcun altro" spiega, parlando della necessità di interrogarsi, scavare dentro sé stessi, prendendo per mano le proprie insicurezze e le fragilità. Quando lo raggiungo al telefono è appena tornato da una visita ai bambini del Santobono, ospedale pediatrico di Napoli, per sostenere i genitori e i loro bambini: "Ci riconoscono, Un posto al sole per alcuni diventa è un rituale". E anche questa ritualità può nascondere un racconto prezioso.
Un Posto al Sole è da sempre un appuntamento. Unisce la famiglia all'ora di cena, da qualche anno anche più tardi, avete mai saputo il perché di questo slittamento?
È stato un processo fatto a piccoli passi, piano piano si è ritardata la messa in onda, ma non ha penalizzato granché il prodotto, anzi, credo penalizzi la prima serata. Certe fasce orarie televisive sono molto sfruttate, quella dell'access prime time soprattutto, è dove si accaniscono di più, perché ci sono tante esigenze, le persone magari si ritrovano a tavola a guardare la tv e bisogna avere un'offerta quanto più ampia è possibile. Però Un Posto al Sole si difende bene.
A marzo ricordavi sui social il tuo ingresso in Upas, 22 anni fa, visto che ne compirai 44 a breve è esattamente metà della tua vita
Sì, 22 anni fa, metà della mia vita ma trascorsa bene.
Come è arrivato il ruolo di Filippo?
C'è una storia particolare dietro. Avevo fatto delle pubblicità in tv con la regia di Ozpetek, con me lavorava anche l'attrice Rosaria De Cicco che all'epoca era anche actor coach in Un posto al sole. La casting director della soap, Marita D'Elia, vide lo spot che giravo con altri ragazzi e ci disse di inviarle curriculum e foto. Non so perché, ma le inviai solo io, e sembra che non avessi nemmeno inserito il numero di telefono, quindi in maniera rocambolesca riuscirono a rintracciarmi. Un mistero. Mi fecero due provini, di cui uno per Filippo e, a naso, direi che è andato bene.
L'arte non è qualcosa di nuovo in famiglia, tuo padre è un musicista. Hai mai pensato di seguire le sue orme?
Sono sempre stato un bambino con una forte predisposizione musicale, ma lo spazio in famiglia era saturo, c'erano già troppi musicisti e quindi a 6 anni ho smesso, mi sono tirato indietro. Per anni mi sono divertito a fare il deejay, ho giocato con la musica e ci gioco ancora, è una parte preponderante della mia vita.
La recitazione ha avuto la meglio.
È stato un percorso che mi si è dipanato davanti, anche se avevo sempre avuto la sensazione che sarebbe successo. Non chiedermi perché.
In questi anni oltre Upas hai fatto altro, ma non hai mai avuto la curiosità di esplorare il mondo dietro la macchina da presa? Regia, sceneggiatura?
Assolutamente sì. Da quando ho circa 30 anni, parallelamente al lavoro ho iniziato un percorso di studio molto approfondito, sia a livello attoriale, per sette-otto anni ho studiato recitazione a New York, sono andato avanti e indietro per lungi periodi, anche se nella soap si è visto poco perché concentravamo le riprese. Poi sono iscritto all'Università, ho frequentato laboratori di sceneggiatura, lo studio è una parte della mia identità. Sto cercando di laurearmi al Dams, con molti sacrifici, perché con due figlie, mia moglie, il lavoro, l'impegno che una famiglia richiede mi trovo a studiare la notte.
E come riemergi dopo una notte di studio?
Distrutto, ma per me è una cosa necessaria. È bello stare davanti alla macchina da presa, è il mio mondo, ma esiste anche una parte di me più introversa, riflessiva che tende all'apprendimento e alla scrittura.
La voglia di approfondire non è scontata, c'è chi pensa che si impara anche solo facendo, senza costruirsi una struttura.
Ho imparato a mie spese che non è così. Ho iniziato con una formazione sufficiente, ma ho sentito la necessità di approfondire. Viviamo in un'epoca che, per quanto sia scontata come terminologia, definirei usa e getta, con una soglia dell'attenzione veramente bassa. Oggi è facile che tu possa fare un'interpretazione che sul momento funziona, ma nel tempo lascia il tempo che trova, perché può essere divorata da un sistema rapido, di bombardamento di contenuti. Lo studio ti permette di essere più forte, anche nelle tue interpretazioni. E poi studiare ti aiuta anche a superare le delusioni.
Come?
Se hai una formazione capisci che le delusioni professionali possono capitare, ma c'è sempre la possibilità di ripartire, è un atteggiamento che influisce anche sul carattere. Credo molto nell'impegno, nella forza di volontà, se ti dai da fare, studi, verrai ripagato e arriverà l'occasione che ti permetterà di mettere in gioco quello che ti sei costruito. Puoi avere un grandissimo talento, ma se non lo supporti con l'impegno, la tecnica e l'approfondimento non funziona.
Hai detto una cosa interessante, parlando dell'impegno che può forgiare il carattere. In più di vent'anni di questo lavoro, cosa hai scoperto di Michelangelo?
Ho conosciuto tutte le mie vulnerabilità e sono tante tante. Ma ho conosciuto anche la mia forza. Sono molto sensibile, molto ricettivo, mi sono sempre considerato uno facile da colpire, in parte era vero, però poi tutte le volte che accadeva, riuscivo a riprendermi. Ero concentrato sullo schivare le cadute, ma non mi rendevo conto della capacità che avevo di rialzarmi, cosa che ho capito nel tempo. Ho un forte istinto di sopravvivenza, forse è innato, considerando che sono nato a 7 mesi, ma proprio per un soffio.
Sei un combattente dalla nascita, quindi. Cosa ti è successo?
Mia madre si è accorta al settimo mese di gravidanza che non mi muovevo più. Sono nato con d'urgenza due mesi prima della data prevista per la mia nascita, mi sono fatto due mesi d'ospedale da solo, non ho nessun ricordo, ovviamente di questa cosa. Però me la sono cavata.
C'è stato qualcuno che ti ha aiutato a riconoscerti questa forza o semplicemente è stata l'esperienza a dimostrartelo?
Ho fatto tanto da solo, ma ho fatto tanti percorsi di crescita, anni di terapia sia tradizionale che non e ho conosciuto gli angoli più remoti della mia persona, mi ci sono tuffato, sono andato nelle mie profondità. La cosa sorprendente è che mi consideravo molto più fragile di quello che sono. È stato un bel viaggio alla scoperta delle mie paure, credo di averle affrontate tutte, almeno quelle che conosco fino ad oggi.
Perché si ha ancora tanta paura di mostrarsi vulnerabili?
C'è questa strana equivalenza per cui una persona vulnerabile possa essere più a rischio. Meno forte quindi meno affidabile, meno di successo, ma è esattamente il contrario. Nel momento in cui affronti i lati più oscuri del tuo carattere, quelli che ti spaventano di più e li riconosci è come se perdessero la loro forza negativa. Bisognerebbe considerarsi un'unicità, capire che i nostri punti fragili possono essere punti di forza. Si vorrebbe essere infallibili, perfetti, felici, con gli addominali e i denti bianchi, ma i prototipi che ci vengono proposti non sono la verità, quella la puoi trovare solo nelle sfumature del mondo, nel tanfo dell'essere umano, non so se rendo l'idea (ride ndr.)
A proposito di sfaccettature, Filippo in 22 anni di Upas ha cambiato pelle svariate volte. Tra le tante vicende che ha dovuto affrontare, ha fatto i conti anche con la perdita della memoria. Che rapporto hai con i ricordi, con il passato?
Un rapporto molto profondo. Ho creduto più nel peso del passato che nella capacità di creare un futuro diverso, ma negli ultimi anni ho fatto un'inversione di rotta. La nascita delle mie figlie mi ha proiettato in avanti, mi sono reso conto che è importante custodire i ricordi, non rinnegare quello che si è fatto perché qualsiasi esperienza ha contribuito a renderci ciò che siamo, ma il passato non deve essere un macigno. Per lungo tempo è stato così per me, ne sentivo il peso, era un qualcosa che mi bloccava, ho temuto di esserne schiacciato, poi ho trovato il giusto equilibrio.
L'abbiamo detto all'inizio di questa chiacchierata, sono 28 anni che Un Posto al Sole va in onda, secondo te è funzionale che resti sempre uguale a se stesso o dovrebbe reinventarsi per andare avanti?
In realtà è cambiato tanto, anche nel modo di girare le scene, raccontarle, te ne accorgi guardandolo. È stato un processo a piccoli passi, un'evoluzione naturale. Non credo, però, che debba cambiare più di tanto, è bene che rimanga fedele a se stesso perché il pubblico non si è mai sentito tradito, ed è questo il motivo per cui secondo me le persone sono ancora così legate al prodotto, siamo il romanzo popolare per eccellenza. Siamo i parenti televisivi degli italiani.
A proposito di famiglia, prima l'hai anche nominata. È noto che tua moglie, Samanta Piccinetti, l'hai conosciuta sul set di Upas dove lei interpretava Arianna Landi. Chi dei due si è accorto per primo di provare qualcosa per l'altro?
Credo più più lei, io sono un po' tardo (ride ndr). Siccome sono molto Sturm und Drang, ero sempre piuttosto preso dai miei tormenti, in più non mi accorgo mai di quello che le persone vogliono da me, mi capita di essere ingenuo, soprattutto nelle cose sentimentali. Non penso mai di poter interessare alle persone. Io e Samanta ci siamo conosciuti in un momento in cui ero preso da turbolenze sentimentali enormi, lei si era lasciata da poco, quindi aveva un suo lutto da elaborare, eravamo in due momenti di vita complessi.
Però è successo che vi siete innamorati, sorprendendo in primis voi stessi.
Sì, piano piano ci siamo avvicinati. Realisticamente credevo che non mi sarei mai sposato, non avrei mai avuto una famiglia, quindi ho sovvertito i miei piani.
Perché lo credevi?
Ero molto legato alla mia autonomia, non mi ero mai misurato con una relazione di lunga durata, quindi non sapevo nemmeno se fossi in grado, mi dicevo "vabbè, capirai, figurati". Ci sono determinate persone fatte per creare una famiglia e io mi consideravo dell'altra categoria, invece la vita mi ha sorpreso.
E ora che papà lo sei diventato, le tue figlie reali conoscono le tue figlie televisive?
È successa una cosa molto carina, proprio qualche giorno fa. Ci siamo ritrovati a guardare una puntata di Un Posto al sole tutti insieme, non sempre ci riusciamo anche perché le bambine a quell'ora vanno a dormire. Mia figlia più piccola, si fa d'improvviso tutta rossa, si gira e mi dice "papà, tu non hai altre figlie vero?", io l'ho tranquillizzata, però me l'ha anche richiesto piuttosto scocciata. Che tenerezza (ride ndr).
Guardandoti indietro, quale delle storie che Filippo ha raccontato ti ha emozionato di più?
Forse adesso la sento anche con maggior trasporto, ma sicuramente è il racconto della perdita di suo figlio. È una storia coinvolgente e anche oggi tocca molto gli spettatori, appena viene menzionata rievoca subito grandi emozioni.
Dopo 22 anni, possiamo dire che Filippo incarna il Principe Azzurro di Upas?
Certo che sì! È un po' il gioco delle parti, Filippo è il principe, Ferri l'imperatore, Marina è la regina, siamo un po' come la famiglia reale. Filippo e Serena sono come William e Kate, c'è sempre un po' di difficoltà nel trovare Harry (ride ndr.)
Ti sei mai sentito limitato in tutti questi anni, nel perseguire qualcosa che avresti voluto fare, ma eri impossibilitato per il tuo ruolo?
Indubbiamente Un Posto al Sole è un prodotto che ti impegna, anche contrattualmente ti lega, può essere limitante per altre progettualità, ma bisogna anche dire che ora c'è una maggiore possibilità, c'è più scambio, e sta scemando anche quella sorta di pregiudizio che c'era nei confronti degli attori di lunga serialità.
E nel futuro cosa c'è e cosa ti auguri ci sia?
Un po' di novità, anche per l'anno prossimo. Tornerò al cinema con una partecipazione in un film, poi ho fatto un'altra fiction. Spero ci sia sempre la gioia di fare questo mestiere e sentire quel senso di pienezza, perché proprio ora che sono passati tanti anni da quando ho cominciato, inizio a capire come si fa l'attore. Pensa te.