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Mia Ceran: “Da bambina in America guardavo la Tv di Guzzanti e Dandini. A TvTalk cercherò il garbo di Bernardini”

Mia Ceran si racconta in un’intervista a Fanpage come nuova conduttrice di TvTalk: “Mai ho pensato che una cosa fosse più aderente a me”. Cresciuta in America fino a 13 anni, per poi trasferirsi a Roma, descrive la Tv italiana come una cosa sempre presente nella sua vita, anche quando viveva a Miami: “Vedere le videocassette con i miei era un momento familiare”.
A cura di Andrea Parrella
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Mia Ceran riparte da TvTalk. La conduttrice, a partire dal 28 settembre, traghetterà verso una nuova era il programma storico di Rai 3, dopo l'uscita di Massimo Bernardini alla fine della scorsa stagione. Pochi personaggi come Ceran incarnano, in ambito giornalistico, un'intersezione tra media tradizionali e nuovi: formazione decennale in televisione, diverse esperienze sul piccolo schermo, ma anche una risonanza importante con un suo podcast quotidiano. Il suo TvTalk proverà a raccontare questa terra di mezzo tra ciò che era e ciò che è, come lei ci spiega in questa intervista, in cui si parla della televisione che vediamo, ma anche di quella con cui lei, cresciuta in America e approdata in Italia quando era ancora un'adolescente, si è formata.

Come ci si sente a prendere in carico la conduzione un marchio storico della Rai? 

Non eredito solo un brand ma un'intera squadra. Avere decine di professionisti che a questo prodotto lavorano da cinque, dieci, in alcuni casi vent'anni, è una grandissima risorsa. Il format di per sé funziona, quindi non farò stravolgimenti. Tra le novità, dalla prima puntata si vedranno per la prima volta persone che non sono esperti o volti del piccolo schermo, ma personaggi che incarnano le varie categorie che definiscono i dati Auditel.

Sostituisci Massimo Bernardini dopo 23 anni di conduzione. Quale sarà la tua impronta?

Sul cambio alla conduzione c'è un tema generazionale. Quando Massimo Bernardini parlò del suo successore desiderava fosse una donna, che avesse l'età dei suoi figli e una formazione più internazionale della sua. Sentendo quelle parole, ho capito che queste caratteristiche dovevo utilizzarle, metterle in campo. Non cercherò di imitarlo, perché sarebbe fallimentare, però sono portatrice di queste differenze e la cosa inevitabilmente si vedrà sulla conduzione. Massimo aveva uno scranno dal quale conduceva, non si muoveva da quel luogo deputato al saggio. Io invece non so star ferma, mi muovo in studio, sono più tarantolata. Insomma, anche se fai lo stesso programma, il cambio agli occhi è così evidente che non c'è bisogno di forzare la mano.

Cosa scegli di portare con te, invece, dell'era Bernardini?

Il garbo, l'eleganza con cui Massimo ha sempre condotto questo programma. Ho ben chiari i punti forti, che da pubblico ho amato anche io. Presentare le cose in una maniera non urlata, completa, non faziosa, anche con voci in dissonanza, sempre in un perimetro di garbo.

Mia Ceran con Massimo Bernardini, passaggio di consegne a TvTalk
Mia Ceran con Massimo Bernardini, passaggio di consegne a TvTalk

Vi apprestate a raccontare una stagione televisiva piena di novità. In qualche modo è sempre la Tv che sposta il dibattito, si tratti della sfida Amadeus-De Martino, oppure della confessione di un delitto registrata davanti alle telecamere.

Sono d'accordo e hai citato due delle questioni che tratteremo in scaletta. La sfida dell'access con 20 milioni di persone davanti alla Tv e gli sponsor che lottano, movimenti tellurici a livello televisivo, Amadeus che lascia e l'ingaggio del talentuoso De Martino. La Tv sposta ancora il dibattito e lo fa anche sui social, come il fenomeno Temptation Island ci dice in modo chiaro. Lo si guardi o meno, quella cosa lì non solo muove un numero di spettatori non trascurabile, ma è mostruoso l'indotto social. Ci sono programmi che nemmeno i giovani possono ignorare, altro che tv morta. Questo lo dico al netto dell'aver investito tantissimo nella mia vita sui podcast e realtà che esistono solo sui social, resto convinta che tra i due mondi quello dominante sia ancora la televisione, che è emanazione di materiale che poi viene rielaborato, rivisto.

Condurre un programma del genere, che analizza la televisione dalla televisione, ti pone in una condizione sostanzialmente laterale rispetto al ruolo classico di conduttrice? Ti percepisci in una sorta di zona franca?

Assolutamente sì, è una cosa alla quale ho riflettuto. In un certo senso è come uscire dal campionato dei conduttori, diventare parte terza. Anche sul come vestirsi e che look avere, io avrò il più semplice e neutro dei look e lo dico dopo essere stata in onda con paillettes e lustrini, perché sento che mai come in questo caso la conduzione è un elemento laterale al racconto, vero protagonista. TvTalk non è un programma da guidare con il piglio della primadonna.

De Martino ci aveva detto in un’intervista che se la Rai investe nei giovani guarda fondamentalmente al futuro della Tv. Tralasciando il discorso meramente anagrafico, ti percepisci come un volto che può traghettare un pubblico diverso e più giovane verso la Tv, facendola apparire, in qualche modo, più "dignitosa"?

La presunzione di gioventù superati i 35 anni mi fa molto sorridere, la trovo un po' fuorviante. Per me è un'età di grande consapevolezza dal punto di vista professionale, ho iniziato a 19 anni da stagista alla Cnn e poi alla Tv italiana come praticante a Mediaset, poi La7, ora sono da 12 anni in Rai. Dopo un bel po' di giri di giostra, sento di aver raggiunto una certa maturità per potermi intestare sia le battaglie che vinco, sia quelle che perdo. Tra gli obiettivi futuri non c'è tanto quello di convincere un nostro coetaneo a seguire l'appuntamento televisivo come si faceva un tempo. Penso che si può fare una Tv intelligente tramite i frammenti, che si sposi bene con i nuovi mezzi, che riesca ad essere facilmente ripescabile e che quindi diventi rilevante nel contenuto anche per generazioni giovani. La forza dei programmi Tv non è solo l'Auditel, che sposta la pubblicità, ma i programmi con grande seguito sui social diventano prodotti che fanno brand, opinione.

Allo stesso tempo questa commistione con i social di cui parli ha anche, come effetto, quello di spingere la Tv alla ricerca del meme a tutti i costi. Non è un rischio?

Questo è vero, ma sai che io credo l'insincerità si veda? Quando vedo programmi che strizzano l'occhio, che fanno il meme forzato, senza spontaneità, un pochino puzza. I social hanno tanti difetti, ma posseggono la dote di squarciare il velo della finzione molto più rapidamente di come accade in Tv. Tant'è che i più grandi successi social di programmi televisivi sono inattesi, non c'era investimento. Il caso Belve è emblematico, il successo fuori dalla Tv non era pianificato. I social sono così, hanno movimenti che si incanalano e possono diventare autonomamente piccole maree.

Nel 2023 hai chiuso in anticipo la tua esperienza con "Nei Tuoi Panni" su Rai2 per portare a termine la gravidanza. "Ho sempre avuto paura che fosse una debolezza ammettere di non farcela”, avevi detto in diretta. Una decisione maturata anche nell’ottica di dare un messaggio? 

No, fu del tutto involontario. La conduzione prevede diverse strade, una di queste è la forte personalizzazione che aiuta nella fidelizzazione del pubblico, ma io non ho mai amato farlo. Quando è successo è perché sono stata un po' travolta da questa cosa e mi pareva insincero lavorare in un programma che parlasse di famiglie senza dire che non ce la facevo più fisicamente. Mi ero anche resa conto anche che non sarei riuscita a ripetere l'esperienza di un quotidiano l'anno successivo, con due bambini così piccoli.

A proposito della spontaneità, questo momento è diventato un frammento che ha lasciato un segno, proprio perché muoveva da qualcosa di non costruito. 

Sì, ne ho pianto in privato e ci è scappata la lacrima anche in pubblico, perché c'è una squadra al lavoro con cui eravamo cresciuti, raggiungendo risultati importanti in una fascia infernale come quella del pomeriggio. Perché ti impegni e perché non è sempre facile. Io so di avere la fortuna di poter dire "mi fermo", ma dentro quella commozione c'era anche la riflessione per tutte quelle donne che una scelta non possono farla, che devono trovare un modo di far funzionare le cose, facendo combaciare il tutto con l'esigenza di far entrare uno stipendio in casa. Quindi no, non è stato un messaggio pianificato, ma se ha aiutato qualche donna a sentirsi meno solo, a dirsi che va bene non farcela quando tutto piomba addosso, allora ben venga.

L’approfondimento giornalistico prima, poi l’esperienza a cavallo tra sport e intrattenimento, la generale sensazione che fossi un volto adatto a qualsiasi circostanza televisiva. Ora che sei a TvTalk, in quale veste ti senti più a tuo agio?

Dopo 12 anni guardi l'insieme delle decisioni prese e vedi un percorso che non avresti mai immaginato potesse essere così. Quando mi è arrivata la proposta di TvTalk, la prima cosa che ho pensato è che quella fosse la mia pelle. È una cosa che amo da entrambi i lati, anche seduta sul divano. Conosco la squadra e l'accoglienza mi ha fatto pensare che la stima fosse reciproca. C'è un elemento di attualità per il quale avere strumenti giornalistici è utile al racconto e dentro me c'è una passione per il mezzo televisivo in sé a prescindere che si parli di intrattenimento o altri contenuti. Insomma, non c'è una sola parte che non mi interessi, che non accenda qualcosa in me. Su carta, mai ho pensato che una cosa fosse più aderente a me di questa proposta.

Nel corso degli anni hai avuto modo di lavorare con giganti dell'intrattenimento. 

Sì, senza dubbio. Prima il mago Forest, poi la Gialappa's, Luca e Paolo, mi spiegavano cosa fosse un tempo comico, come funzionasse una battuta. Sono tutte cose profondamente tecniche, che in Tv appaiono molto naturali. Per anni sono stata una studentessa, sui banchi ad imparare ed è una dimensione naturale che mi piace. Non devo sentirmi la più brava a fare una cosa, ma se sento che sto imparando, mi accendo.

Ceran con Luca e Paolo a Quelli che il calcio, nel 2017
Ceran con Luca e Paolo a Quelli che il calcio, nel 2017

Nella tua vita hai avuto una dieta televisiva atipica. Fino a 13 anni hai vissuto in America, poi sei venuta in Italia. 

Vero, ma non sono arrivata completamente a digiuno. Mia madre è una giornalista televisiva, che aveva lavorato in Italia tanti anni prima che io nascessi. C'era una comprensione della lingua che avevo già e poi mia madre si faceva mandare VHS di programmi che andavano in onda in Italia. Ricordo per esempio da bambina di aver visto tutto il Pippo Chennedy Show di Guzzanti e Dandini nella nostra casa di Miami. Era un momento magico della famiglia, divoravo quella Tv. Quando lavorando al Tg5 ho visto per la prima volta Toni Capuozzo, per me era un volto noto.

C'è qualche pillola di cultura televisiva italiana che senti di aver perso?

Mi sono persa cose come Non è la Rai, i cartoni animati al pomeriggio, le cose del liceo, ma c'è stato tanto studio. Sono un po' una secchiona e ho recuperato molto. Oggi sono al livello di una concorrente del telequiz che ha una certa memoria storica sulla Tv italiana.

L’informazione pura, di fatto, la sperimenti ogni mattina con The Essential. Podcast e Tv paiono linguaggi apparentemente in contrasto tra loro, ma tu sembri sposare l'idea che l'uno possa raccontare l'altro e viceversa. 

Ne sono convinta. La vicenda della confessione dell'omicidio davanti alla telecamere è la classica cosa per la quale, se avessi avuto tempo, mi sarei messa lì in un minuto a spiegare cosa sia successo. Perché è la classica cosa sulla quale i coetanei e più giovani sentono di voler avere un'opinione su questa cosa, ma non hanno gli strumenti. È un po' quello che provo a fare con The Essential, raccontare tutto come fosse la prima volta. Su questa storia, molti si sono convinti che ci sia stata una confessione in diretta, mentre non è così.C'è una possibilità enorme di andare, con credibilità, a conquistarsi il pubblico.

Credibilità, è quello di cui il pubblico che ha abbandonato la Tv, o non ci si è mai affezionato, ha bisogno?

Sì, l'idea di crea un rapporto di schiettezza con un pubblico che, in parte, non ama i media tradizionali perché li percepisce lontani, ma in parte ha anche il pregiudizio, si sente un po' truffato. È in questo spazio che si può andare ad incidere e creare un pubblico.

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