Massimo Gramellini a La7: “L’identità di Rai3 non esisteva più, qui sono a casa”
Partirà sabato 23 settembre alle 20.35 la nuova avventura su La7 di Massimo Gramellini dalle 20.35 alle 23.15. Si chiamerà In altre Parole il nuovo programma del giornalista, altro addio eccellente alla Rai della movimentata estate di mercato televisivo che ci lasciamo alle spalle. Andrà in onda al sabato in prima serata e nell'access della domenica della rete di Urbano Cairo, patron di La7 e del Corriere della Sera di cui Gramellini è firma. Approdo naturale, ma anche perdita una perdita importante per Rai3, soprattutto se accostata a quelle di Fazio, Annunziata e Berlinguer. Della sua nuova avventura e relative implicazioni Massimo Gramellini ha parlato in questa intervista a Fanpage.it.
A La7 il sabato sera non ha mai avuto una connotazione particolare. Partire senza precedenti è un vantaggio?
Diciamo che noi ci inseriamo in un racconto di rete coerente con un taglio diverso, più narrativo, una sorta di rototalk attraverso il quale proviamo a ripercorrere la settimana con parole diverse, in "altre" parole, in sostanza. Ma la vera sfida è che mai nessuno, non solo su La7 ma anche su altri canali, ha fatto un talk di sole parole al sabato sera, fino alle 11. Quella è una serata in cui solitamente si balla e si canta, ci sono programmi di sentimenti. Noi proviamo a fare uno spettacolo di parole in prima serata. Questo elemento ha determinato molto la mia scelta, quella di passare dall'access a uno spazio diverso. Una scommessa entusiasmante.
È tra i nomi di questa grande fuga dalla Rai. Com'è andata?
È successo per una serie di concomitanze, sicuramente il fatto che la dirigenza Rai sia cambiata proprio a maggio, un momento delicato in cui molte trattative erano già avanti, visto che le nuove stagioni si iniziano a pensare da gennaio e febbraio. Questo aspetto spiega più dell'elemento politico la causa principale di questi movimenti: nei momenti decisivi non c'era un interlocutore. La vecchia dirigenza era in uscita e la nuova, che pure già tutti sapevano quale sarebbe stata, non era ancora operativa, creando un vuoto. La tv è industria e non si può improvvisare tutto.
Fare la voce fuori dal coro in Rai non le sarebbe dispiaciuto?
Non ho ragionato nei termini di cosa fosse più conveniente fare. Ho ricevuto una proposta da La7 che non significava traslocare ma stare a casa mia, che è il Corriere della Sera. Si trattava di una cosa decisamente coerente e io e i miei autori non abbiamo fatto una riflessione del tipo che restare in Rai significasse poter fare la parte di quelli che resistono. C'è poi un altro tema che secondo me non è passato.
Quale?
Che non esistono più Rai1, Rai2, e Rai3. Le persone continuano ad associare i canali ai tasti del telecomando, ma purtroppo non è così e dico purtroppo perché secondo me è stato un grave errore non capire che il pubblico è sì affezionato ad un'azienda, ma è ancora più legato a una rete, vuole quel tipo di racconto.
Si riferisce alla riorganizzazione della Rai divisa per generi e non più per reti, prevista dal piano industriale dell'ex Ad Fabrizio Salini (2018-2021).
Esatto. Rete 4 ha capito molto bene il discorso dell'identità, da più tempo lo aveva capito La7, mentre in Rai, che pure aveva reti molto forti come Rai3 e Rai1, si è deciso di non dare più importanza a questa cosa e riformare l'azienda secondo le direzioni di genere. Se ne parla poco perché può sembrare un tema poco interessante a livello giornalistico, ma per come la vedo io è il tema centrale di tutto, molto più della politica.
Rai3 è stata di fatto smantellata.
C'era una rete con una forte identità e un suo pubblico che voleva quelle cose lì. Io ricordo quando mi capitava il sabato di pubblicizzare la fiction di Albanese, che era stata concepita per Rai3, non per altre reti Rai Questa logica è stata stranamente abbandonata e io penso sia stato sbagliato.
La questione strettamente politica è dunque secondaria? Da mesi passa la narrazione della maggioranza che si è presa tutto.
È successo infatti, ma questa cosa risale a decisioni politiche di alcuni anni fa, la destra ha ereditato una situazione nata con i governi precedenti. Chi ha fatto questa riforma della Rai non ha probabilmente pensato che sarebbe successo quello che è successo, ovvero che personalità culturali appartenenti al mondo della destra si sarebbero ritrovate a decidere i palinsesti di Rai3, una rete con un'identità chiaramente di sinistra.
Se si tratta di un rototalk, ci saranno quindi anche i contrasti tipici del talk?
Quando siamo in riunione per il programma e salta fuori il nome di un ospite, capita spesso che uno degli autori dica "meglio di no perché non va d'accordo con gli altri". Un po' l'opposto di come funziona il talk, invece di cercare la rissa proviamo a mettere insieme persone che magari la pensino diversamente, ma che abbiano un codice comune di partecipazione. Il mio punto di partenza è sempre l'invito a cena di sabato sera. L'obiettivo è che a casa si capisca un po' di più, non vogliamo essere un talk bellico, con posizioni opposte e inconciliabili. Con grandi divulgatori come Vecchioni e Veneziani, parto dal presupposto che ogni sabato sera tornerò a casa avendo imparato una cosa nuova. Sarà già una vittoria. Questo per me è il modo di fare cultura popolare, noi non siamo cultura alta, ma proviamo a fare quella che voglia arrivare a tutti, con il linguaggio più naturale possibile e senza tirarsela.
Da Le Parole a In altre parole. Succede spesso che programmi passino da una rete all'altra con una variazione su uno stesso titolo, penso a Giletti o Berlinguer. Si fa per conservare pubblico?
Confesso che già l'anno scorso in Rai avevo detto agli autori che avrei voluto cambiare nome al programma. Pensavo che "Le parole" fosse più un sottotitolo, mentre "In altre parole" dà il senso di arrivare a fine settimane e sforzarsi di dire in altre parole ciò che è già stato detto. Poi il cambio di rete e la cosa è stata quasi naturale, ma ci tengo a dire che non abbiamo fatto "No non è Le Parole", ma un titolo a se stante che avrebbe funzionato a prescindere. Per il resto è chiaro che il modo di raccontare la realtà resta quello di chi conduce, il format è il tuo modo di raccontare il mondo, sei tu.
A Rai3 nello spazio che era suo arriva Serena Bortone. Che ne pensa?
Prima di tutto non ci incrociamo, non è concorrenza diretta di orario e non lo sottolineo perché altrimenti dovrei dire che la mia concorrenza è Maria De Filippi e fa paura solo a dirlo, come parlare di calcio e paragonare calciatori a Maradona. Serena prende il nostro spazio dello scorso anno, dove è stata anche ospite nella scorsa stagione. Le auguro tutto il bene, fatico ad avere una visione della competizione, so che il telecomando è uno e non si può stare su due canali, ma nella mia visione i programmi sono come i libri, i giornali, più cose vedi e meglio è.
Alla domenica invece dovrà vedersela con Fabio Fazio sul NOVE.
A proposito di Maradona, il sabato De Filippi, la domenica Fazio. La cosa vera è che io non dovrei fare il programma, da persona educata mi stai dicendo dolcemente da mezz'ora che sono pazzo. Mi viene da dire, per consolarmi, che fossi rimasto sulla Rai la sovrapposizione con Fabio sarebbe stata ancora più lunga. Pubblicità esclude direi che ci incroceremo pochissimo, spero il meno possibile perché posso solo rimetterci (ride, ndr). D'altronde faremo due programmi totalmente diversi, noi non faremo né attualità, né interviste, come immagino farà lui.
Tra gli ospiti fissi anche Roberto Vecchioni, presente come artista e docente. A proposito di insegnamento, ha l'urgenza e la preoccupazione di connettersi di più al pubblico giovane che la Tv fatica ad agganciare?
È il mio sogno. Pur essendo grato al nostro pubblico che è quello della Tv generalista che sappiamo appartiene a una generazione che va dalla mia in su. Diciamo che il sabato è il meno adatto per intercettarli, dato che escono, però ho notato che anche grazie ai social c'è una possibilità di aggancio. Il mio monologo finale, che prima era buonasera e ora sarà buonanotte, ho notato abbia sempre avuto un buon ritorno. Quando vado nelle scuole i ragazzi dicono di seguirci, magari in modo diverso.
Questo condiziona o veicola la scrittura del programma, affinché si predisponga alla frammentazione?
Noi, senza saperlo, siamo nati già social. Il nostro è un programma a blocchetti, l'idea nasceva dall'esigenza di non annoiare con un argomento che possa non interessare. È una logica che finisce anche per adattarsi a quella social: il monologo di Vecchioni, quello di Veneziani, quello di Raimondo, quello di Cecilia Sala (ospiti fissi anche Alessandra Sardoni e Laura Buonasera, ndr). Tante cose che possono essere isolate e guardate quando vuoi o come vuoi.
Obiettivi di ascolti?
Si finisce per essere sempre schiavi dei numeri, quello che sto dicendo alle persone che ci lavorano è iniziare a fare un programma che piaccia a noi e alle persone che ci hanno guardato in questi anni. Se poi andrà bene, ancora meglio. So che all'inizio sarà complicato, non mi aspetto ascolti clamorosi e nemmeno quelli che facevamo sulla Rai, molti nemmeno lo sapranno. Ma sono fiducioso.