Giancarlo Commare: “Nel mio mondo se non ti fai vedere non esisti, per me non è mai stato così”
Di amore si parla sempre eppure non se ne parla mai abbastanza, forse perché le facce che lo compongono sono così tante che sarebbe difficile individuarne solo alcune su cui potersi soffermare. Ce lo racconta Giancarlo Commare, protagonista di Maschile Plurale, sequel del già noto e apprezzato Maschile Singolare, che arriva su Prime Video il 20 giugno.
L'attore, 32enne, per la prima volta da quando ha iniziato questo percorso nel mondo dello spettacolo, a soli 19 anni, è riuscito a fermarsi e chiedersi cosa gli piacesse fare davvero. Una domanda difficile, inusuale in un tempo in cui siamo tutti alla rincorsa di obiettivi, performance, momenti, senza essere in grado di viverli davvero, una volta che li abbiamo davanti.
Commare, reduce dal successo di Tutti parlano di Jamie, di Skam, di Nuovo Olimpo e tanti altri progetti che vedremo anche nei prossimi mesi, si è concesso il lusso di fermarsi, il tempo necessario per capire che il primo modo per dare amore è provare ad amare se stessi. Anche se spesso è più difficile di quanto si possa immaginare.
Quindi è un momento di stasi.
È un periodo in cui sono in ascolto, mi sto prendendo cura di me, del mio corpo, perché gli ultimi lavori mi hanno causato dei problemi fisici, quindi per necessità mi sto occupando di curarmi, per tornare ad essere più arzillo di prima. Il peggio è passato, sono in fase di recupero per la mia schiena. Il fatto di non essere dentro un frullatore, sebbene mi piaccia starci, mi ha permesso di selezionare, molto bene, quello che mi va di fare e cercherò da ora in poi di farlo più spesso, di seguire maggiormente le cose che mi piacciono.
E che effetto fa ascoltarsi dopo tanto girare?
Pensavo peggio. Se qualche tempo fa mi avessero chiesto come ti vedi nell'attraversare un periodo del genere, probabilmente avrei avuto l'istinto di scappare, pensavo di non essere in grado. Invece ho notato che finora ho fatto molte cose e ne scopro anche parecchie altre, non solo a livello attoriale, ho tante passioni e sto riuscendo a vederne la bellezza. Ci sono giornate in cui scapoccio, magari ho una cosa per la testa e poi non si concretizza, ma sono concentrato su di me.
Strano a dirsi ma a volte ci diamo per scontati.
Infatti e sembra assurdo. Nella mia vita non ho mai avuto grandi possibilità, anche a livello economico, sono sempre stato costretto a mettere il divertimento in secondo piano, non sono mai riuscito a godermi davvero il momento, sono cresciuto in fretta. Di conseguenza non ho mai avuto la vera possibilità di conoscere il mondo, di viaggiare. In questi anni ho lavorato tantissimo, sono stato in un frullatore, che da un lato è una sensazione bellissima, però ho scelto un lavoro in cui racconto storie e non posso vivere per sempre in una centrifuga, altrimenti non sarà mai chiaro quello che racconto. È bene anche uscire dal frullatore, vedere cosa c'è fuori, poi magari tornare a mettere degli ingredienti.
E hai trovato gli ingredienti che cercavi?
Non lo so ancora, ma sto viaggiando tanto e questo contatto sempre nuovo con l'esterno, paradossalmente, mi ha messo molto in contatto con l'interno.
Il 20 giugno arriva su Prime Maschile Plurale. Quando ci incontrammo per il primo capitolo del film, tu mi dicesti che nel mondo di Maschile Singolare la comunità Lgbtq+ aveva già acquisito tutti i suoi diritti, nel sequel sembra che si sia voluto dare spazio anche alle difficoltà di chi, ancora oggi, non si sente accettato per quello che è. Come mai questo cambio di rotta?
Con Maschile Singolare hanno voluto raccontare una storia universale, il fatto che fossero protagonisti due uomini era un di più, anche perché l'amore vero qui era quello verso se stessi. Era un viaggio alla scoperta di sé, a prescindere dal fatto che tu sia etero, gay o qualsiasi altra cosa. Stavolta, invece, il discorso si amplia. Il focus è sempre attorno ad Antonio, ma il racconto diventa più corale, dopo che hai fatto i conti con te, ci sono anche gli altri, che sono mondi da scoprire e sui quali, spesso, capita di volersi imporre.
Imporre in che modo?
Magari anche solo seguendo quello che interessa a te, senza renderti conto di calpestare la libertà altrui. Ed è un aspetto che, anche con ironia, Maschile Plurale prova a raccontare, magari facendo dei passi indietro, mostrando le difficoltà, ma proprio per capire che invece bisogna andare avanti, ognuno a suo modo.
Come cambia Antonio, il tuo personaggio, da un film all'altro?
È sempre un po' trasportato dalle voci di altre persone, inizia a fare cose che forse mai avrebbe fatto, passando da personaggio positivo a negativo, ma semplicemente perché non è ancora riuscito a mettere a fuoco se stesso. La sua irrisolutezza e questo volersi aggrappare ad un gancio di felicità passata, gli farà compiere gesti strani, che lo portano ad un finale che, però, è diverso da quello in cui sperano tutti. Ma credo sia il finale più romantico che potesse esserci, perché pur attraversando un momento buio, Antonio capisce di amare e inizia ad amarsi. Dall'importanza che si dà all'amore altrui, si comprende quella verso se stessi.
Maschile Singolare ha avuto un certo successo anche fuori dall'Italia, come te lo spieghi?
Ha avuto successo proprio perché è una storia universale. Di recente abbiamo presentato il film ad un festival di Miami, dove tra l'altro non si accettavano sequel, ma il Maschile Singolare era stato accolto talmente bene, che hanno spinto per avere il film in concorso. Alla fine della proiezione tantissime persone sono venuta da me a dirmi quanto avessero amato entrambi i film, e questo è indicativo del fatto che viviamo tutti più o meno le stesse cose quando si tratta di sentimenti. Il fatto che poi il protagonista sia un uomo non significa nulla, anche tantissime donne si sono riviste in lui.
A proposito di personaggi, come è arrivato il ruolo di Jamie, nel musical Tutti parlano di Jamie?
Mi proposero di fare il provino, ma all'epoca non ero molto convinto di farlo, perché non pensavo di riuscire ad affrontare soprattutto il canto, una delle mie più grandi paure è cantare in pubblico. Siccome sono una persona che ama le sfide e non allontano le difficoltà, proprio per scoprire quali siano i miei limiti, soprattutto nel mio lavoro in cui mi piace essere e fare tante cose, ci ho provato. Pian piano ho superato vari step, sono arrivato al palco, ed è stata una grande gioia, anche per il riscontro avuto da chi è venuto a vedermi.
Spesso Jamie si sente incompreso, inadeguato, ma continua imperterrito nel voler realizzare il suo sogno. Hai mai vissuto questi stati d'animo?
Quello che mi accomuna a Jamie è la forza e l'urgenza che ha di esprimersi, la paragono alla mia quando stavo in Sicilia e volevo a tutti i costi fare questo mestiere, ma sentivo dentro di me, che non avevo la possibilità di farlo. Venivo criticato, perché non è mai stato considerato un vero lavoro, ma un sogno quindi la domanda successiva era "cosa vuoi fare da grande?". Non mi prendevano sul serio e io stesso iniziai a pensare che fosse una cosa di poco conto, non mi sentivo all'altezza. Non ho vissuto situazioni piacevoli.
C'è qualcosa di quel periodo che ricordi e ti ha segnato?
Certo. Ricordo che manifestai a scuola questo mio desiderio di fare l'attore e c'era un professore che si divertiva a portarmi in giro per le classi, prendendomi in giro e diceva agli altri indicandomi "ecco un esempio del futuro fallimento". Ci sono state varie cose che ho dovuto superare, ma questo non mi ha mai impedito di continuare per la mia strada.
L'incipit di un famosissimo film di Woody Allen, Match Point, dice "Chi disse preferisco avere fortuna che talento, percepì l'essenza della vita". Pensi di aver avuto più fortuna o talento?
Il talento non è niente se non lo coltivi e lo metti in pratica, quindi nel mio caso ti direi più talento che fortuna. Mi sono messo in gioco, non mi è mai mancata la forza di volontà per studiare e mettere in pratica, quanto avessi studiato ed è così che sono arrivato fin qui. La fortuna fa parte dello stare nel posto giusto al momento giusto. Fai un provino con un regista e c'è connessione, può succedere, ma io punterei più sull'altro fattore. Se proprio non lo vogliamo chiamare talento, chiamiamolo testardaggine, impegno?
E invece c'è qualcuno che ti ha riconosciuto quel talento che tu, magari, non pensavi di avere?
Il mio secondo anno in Accademia è stato molto duro e c'è stata una professoressa, Giorgia Trasselli, che è stata una mamma e una maestra, mi è stata vicino, ha capito il mio momento. Poi, mia madre. Abbiamo avuto mille difficoltà, anche economiche, c'è stato un momento in cui mi sono detto che avrei dovuto lasciare tutto e pensare alla mia famiglia, ma nonostante tutto lei mi ha sempre spronato a continuare. C'è una cosa che, però, dico senza presunzione.
Ovvero?
È vero che ci sono state persone che mi hanno aiutato e che ringrazierò per sempre, ma la persona che mi è stata più vicina sono stato io. Le mie debolezze tendo a farle vedere poco, quelle vere le conosco solo io e quindi solo io posso dirmi davvero le cose giuste. Sono stato io a spronarmi nei momenti di difficoltà, perché dentro di me so che questo è il mio fuoco, non posso spegnerlo, altrimenti spegnerei Giancarlo.
A proposito della capacità di mettersi in gioco, sei tra i protagonisti della fiction Avetrana-Qui non è Hollywood, da dove nasce la necessità di raccontare uno dei casi di cronaca che ha più colpito l'Italia, a distanza di nemmeno molto tempo dal suo accaduto e che responsabilità senti di aver avuto nell'interpretare Ivano Russo?
Quando mi hanno chiamato ero in Spagna e la prima cosa che mi sono chiesta è stata perché? Non avevo capito di cosa si trattasse, poi ho parlato con il regista e ho compreso che la loro urgenza stava nel voler raccontare un fattore che ha caratterizzato questa terribile vicenda, in qualche modo aggravandola, ovvero l'invadenza dei mass media. Quasi ci si era dimenticati che fosse stata uccisa una ragazzina. C'era la volontà di dare dignità a Sarah. Sono stati mesi in cui la dignità delle persone coinvolte è stata calpestata e senza voler giustificare l'atto, capisci quello che un essere umano vive quello che raccontiamo, appena sarà possibile vederlo, sarà un vero pugno nello stomaco.
Chiudiamo un ciclo. Hai raccontato che quando hai incontrato Giuseppe Tornatore, ti ha detto che il segreto per fare al meglio questo lavoro è seguire quello che ti piace. Cosa ti piace, ma soprattutto quali sono le storie che ti piacerebbe raccontare?
Quando mi chiedono cosa mi piace di più non so mai rispondere, perché riesco a trovare la bellezza in ogni cosa, anche in quella più marcia. In questo momento, proprio perché mi sto ascoltando e posso fermarmi un po' in più, che è una condizione fortunata, lo riconosco, sento l'esigenza di voler raccontare proprio questo aspetto. Ho sempre avvertito dentro di me, sebbene ora con meno ansia di prima, la sensazione di essere sempre in ritardo rispetto agli altri.
E pensi che in questa sensazione si riconoscano in molti?
Non sai quanti. Ho incontrato tantissime persone che vivono questa condizione, ma non lo danno a vedere. Riuscire a raccontare questa sfumatura della nostra generazione, ad esempio, mi piacerebbe molto. Ho capito che bisogna parlarne. Viaggiando mi sono reso conto del fatto che avverto il mondo muoversi velocemente, mentre io mi sento fermo nella mia cameretta, ma è un'angoscia che mi viene trasmessa dall'esterno, come se ci fosse sempre qualcuno a chiederti che stai facendo? Perché sei fermo? Poi, nel mondo di cui faccio parte, sembra che se non sei su qualche copertina, a qualche sfilata o cena particolare, non stai facendo niente.
L'apparenza che regna sovrana, insomma.
Per questo, ribadisco, che l'urgenza è quella. Se non ti fai vedere non esisti e io invece esisto, ed esisto ancora di più mentre sto passeggiando, mentre sono in montagna e respiro a pieni polmoni. Non sono fermo, sono vivo.