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Marino Bartoletti: “Quelli che il calcio era follia, Fazio fu l’ultima scelta e la nostra fortuna”

Marino Bartoletti racconta a Fanpage.it Quelli che il calcio a 30 anni dalla prima puntata del 1993. Un trionfo di maschere, da Idris a Suor Paola. Passò chiunque in quegli studi: “Elton John rimase per capire in che manicomio era capitato”. Il momento più duro? “Quando annunciammo la morte di un tifoso in diretta, prendemmo una decisione epocale”.
A cura di Andrea Parrella
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Sono trascorsi 30 anni dalla prima puntata di "Quelli che… il calcio". Il 26 settembre del 1993 Fabio Fazio dava il via a un'avventura televisiva che ha lasciato il segno indelebile nella storia del piccolo schermo italiano. Un programma nato dalla mente, o per meglio dire dai sogni, di Marino Bartoletti, in onda ogni domenica con Fazio, Carlo Sassi e tutte le "maschere" di quella commedia, come Bartoletti definisce i personaggi indimenticabili che hanno popolato il programma nella sua prima era. In questa intervista rilasciata a Fanpage.it il giornalista ripercorre la genesi di quell'impresa e di alcuni dei momenti cardine della sua ricchissima carriera.

Marino, innanzitutto come sta?

Il medico non è contento di tutte le cose che faccio, però la vita o la vivi così o non la vivi. Ho ritirato una nomina a poliziotto honoris causa a Roma, poi sarò a Napoli per l'ultima presentazione del mio libro "La discesa degli dei".

Torniamo a quel settembre del 1993. Quelli che il calcio nasce nell'anno in cui viene trasmessa la prima partita di Serie A su Tele+. Era casuale la vostra partenza in quell'anno o era volontà di ribadire una titolarità del racconto calcistico da parte della Rai?

Era una assoluta casualità, anzi ci disturbava abbastanza il fatto che cominciassero ad esistere posticipi ed anticipi che spezzettavano il campionato. Ma andavamo avanti per la nostra strada e va anche detto che la maggior parte delle partite le seguivamo in diretta, il core business era ancora quello della domenica pomeriggio.

Approfittare della scarsità, dell'impossibilità di mostrare le partite per realizzare il vostro racconto.

L'assunto di Quelli che il calcio era quello di un bambino che da piccolo la radio la guardava, non la ascoltava semplicemente. Dentro quell'aggeggio vedevo delle partite meravigliose raccontate dai cronisti di Tutto il calcio minuto per minuto. Quindi la mia fissazione era che si potesse fare una trasmissione in cui le partite, malgrado fossimo in televisione, si potessero immaginare. Chiaro che andassero vestite, imbellettate, etichettate, ci volevano ospiti e inquadrature speciali, però alla fine credo che chi aveva visto Quelli che il calcio, la sua partita se l'era guardata pur senza vederla.

Di fatto il programma trattava di calcio con il proposito di parlare di tutt'altro. Invadevate altri mondi, i teatri, gli eventi che nulla avrebbero avuto a che fare con il pallone.

Sì, anche se la matrice rimaneva quella calcistica. Entravamo negli spettacoli di De Gregori, Baglioni, personaggi eminenti, li disturbavamo durante lo show facendogli capire che la Roma o chissà quale altra squadra avesse segnato e loro dovevano ammiccare, facendo capire che in qualche modo fossero in trasmissione, anche se facevano altre cose.

Una cosa possibile solo con persone che stessero al gioco. Eravate già accreditati presso un determinato mondo.

Pian piano ci riuscimmo. Devo dire che di no non ne abbiamo mai ricevuti. Era talmente divertente e coinvolgente far parte della trasmissione, che buttavamo le reti e i pesci arrivavano. Pesci grossi eh, non c'è personaggio eminente che si sia sottratto alla gioia di far parte della trasmissione, comprese le vedette internazionali come Madonna ed Elton John, che doveva rimanere solo per l'anteprima ma restò per tutto il primo tempo. Voleva capire in che razza di manicomio fosse capitato.

Il titolo venne fuori prima di convincere Jannacci a cantare ogni settimana una sigla diversa?

Fu contestuale. Chiaramente il nostro voleva essere un omaggio a Beppe Viola, che aveva scritto con lui Quelli che… e si sarebbe molto divertito a vedere la nostra trasmissione. Poi la follia di Jannacci, la simpatia e l'amicizia furono quasi inevitabili, la scelta del titolo fu naturale.

Quindi fu lui a proporlo?

Lo chiamammo noi, chiedendogli se volesse "calcistizzare" il testo di Quelli che… e lui lo fece con grande gioia, regalandoci la sigla per i nostri otto anni.

È vero che i primi nomi contattati per la conduzione erano stati Morandi e Dario Fo?

Successe questo, diedi ad Angelo Guglielmi (direttore di Rai3 al tempo, ndr) tre nomi che a lui non piacquero. Tra questi c'era quello di Fazio, ma non dirò gli altri due. Iniziammo quindi a brancolare nel buio, perché se la parte del desk con Carlo Sassi era consolidata, non c'era un frontman. Contattammo quindi Morandi, Zuzzurro e Gaspare, Andrea Mingardi. Dario Fo fu una specie di boutade che venne fuori da un altro conduttore che temeva Fazio sarebbe stato scelto e, dato che non lo amava, propose a Guglielmi questo nome. Lui si divertì moltissimo e come noto noi andammo in pellegrinaggio a Spoleto, venendo rimbalzati da Franca Rame come era giusto che fosse. Non avrebbe avuto nulla a che fare Dario Fo con quel programma, anche se quando venne da noi si divertì moltissimo in quel happening jazzistico.

Quindi si arrivò al nome di Fazio.

Non essendoci più alcun candidato utile, Guglielmi decise di andare su Fabio Fazio come ultima scelta, sicuramente facendo la fortuna della trasmissione, ma anche la trasmissione ha fatto la sua fortuna. Difficile capire quali delle due cose pesi di più.

Aveva detto che, pensando al cast di Quelli che il calcio, avrebbe voluto un giornalista di colore tifoso, una religiosa tifosa. In pratica nella sua testa c'era un film di Fellini.

Sì, anche se Fellini poteva tracciare un identikit facendo dei disegni, io non potevo pensare esistesse Idris (scomparso di recente, ndr), consigliato da Paolo Beldì perché poteva essere affine al profilo da me immaginato, oppure Suor Paola, diventata un personaggio inamovibile. Si trattava a tutti gli effetti di maschere, era davvero una commedia dell'arte, come ci sono Arlecchino e Pulcinella, anche qui c'erano personaggi in cui lo spettatore si riconosceva e per cui tifava.

Suor Paola, tra i simboli d Quelli che il calcio
Suor Paola, tra i simboli d Quelli che il calcio

Le persone da casa si sentivano parte di Quelli che il calcio. La fortuna di questo programma sta nella conferma di una regola ineludibile della Tv: se non c'è il contesto, non funziona nulla. 

Sono d'accordo, io penso fosse un'alchimia irripetibile.

Angelo Guglielmi diceva della sua Tv: "Non ho mai inseguito quell'oggetto metafisico che è la verità, ho sempre parlato di realtà perché la verità è un giudizio e la realtà comprende anche la bugia". Quando penso a questa definizione penso a Quelli che il calcio.

Era follia, una meravigliosa finzione calata in una specie di realtà, per cui poi era difficile distinguere fra l'una e l'altra cosa. La metafora del raccontare qualcosa che non si vedeva rende l'idea. In televisione riuscivamo a far appassionare la gente per una cosa che per definizione la televisione dovrebbe far vedere e che invece non si vedeva.

Come mai poi non è proseguita la sua permanenza nell'era successiva di Simona Ventura?

Fu una cosa complessa e molto dolorosa. Fabio abbandonò per andare a La7 e io dovevo rimanere come fondatore e garante, ma diciamo che non ci fu un gran feeling con chi venne dopo di me.

Che idea si è fatto di quella successiva gestione?

Si provò a riproporre un clima che evidentemente era legato alle persone, non ne ho una buona opinione.

Nel 1990 viene nominato alla guida della redazione sportiva di Mediaset. Anche lì trovò un clima pionieristico?

Tutto andava fondato, dalla redazione ai diritti sportivi. Un bell'intonaco su cui fare un bellissimo affresco che sono state poi le trasmissioni degli anni successivi.

Fondò e condusse Pressing il primo anno, per poi lasciarlo alla conduzione di Raimondo Vianello. Come mai?

La ritengo una delle intuizioni migliori della mia carriera. Avviai la bottega, ma poi bisognava sparigliare le carte e quel Pressing di Vianello fece storia in una bellissima prateria. Ne nacquero cose stimolanti anche per la Rai, cui sfilammo il Giro d'Italia che tornò successivamente quando fui direttore di Rai Sport. Come sempre l'alternanza e la concorrenza sono valori per il mercato.

La televisione ha preferito pensarla o farla?

A volte ho preferito farla per non spiegare ad altri come andasse fatta. Mi piace molto pensarla, ma credo anche di saperla fare e tante volte mi sono accorto che pensare una cosa e spiegarla a un altro come farla… insomma facevo prima a realizzarla io.

Bartoletti con Sivori per la prima stagione di Pressing.
Bartoletti con Sivori per la prima stagione di Pressing.

Negli anni si è imposto anche come esperto in Tv, principalmente sulla storia di Sanremo. Scelta o evoluzione naturale?

La figura dell'esperto è venuta fuori col tempo. Chiaro che io provo ad andare soltanto lì dove pensi di essere utile e possa maneggiare la materia. Sono piuttosto diffidente nei confronti di chi venga invitato sistematicamente per dibattere di qualsiasi cosa che va dal trucido omicidio alla sfilata di moda. Per fortuna posso consentirmi di fare solo le cose che mi piacciono, quando vado in Tv parlo di televisione e musica e, molto raramente, di sport.

Con Fazio sembrava un connubio perfetto. Perché non è proseguito?

Fabio è andato avanti per la sua strada ed è stata una strada importantissima e molto alta. non c'è più stata occasione o voglia di farlo, rimaniamo amici, io resterò per sempre il suo testimone di nozze, ci sentiamo e ci messaggiamo e va bene così.

Che idea si è fatto del suo addio alla Rai?

Credo nessuno lo abbia cacciato. Lui è bravo, si può permettere di fare scelte che ha fatto, affrontando una sfida molto stimolante.

Rispetto a Quelli che il calcio, qual è il ricordo più duro?

Il 29 gennaio del 1995 quando arrivò notizia di un accoltellamento a Marassi di un tifoso del Genoa, arrivò la notizia in studio e dovemmo andare avanti e ammortizzare ciò che si stava già diffondendo. Quando si venne a sapere della morte di Vincenzo Spagnolo, prendemmo una decisione storica, facemmo uscire tutti gli ospiti dallo studio, che rimase al buio. Rimanemmo io, Carlo Sassi e Fabio, mandando avanti solo Tutto il calcio minuto per minuto e dando aggiornamenti compreso il nome del ragazzo ucciso. Essendosi diffuse notizie di più morti, quando lessi l'Ansa dissi: "sono costretto a leggerla perché a questo punto c'è una mamma che piange, ma almeno altre che potranno tirare un sospiro di sollievo". Fu epocale perché non era mai successo che si interrompesse una trasmissione sportiva, ma la settimana successiva venne interrotto il calcio e tutte le trasmissioni connesse. Altro momento brutto fu l'arrivo della notizia della morte di Ilaria Alpi, lasciammo la linea all'edizione straordinaria per ovvie ragioni.

Il momento più divertente?

Sono stati talmente tanti. Ne ricordo uno fra tutti, all'inizio della stagione 1998, quando Cesare Maldini era Ct della nazionale e Teo Teocoli si presentò per la prima volta con il personaggio di Cesare Maldini, venne fuori dal maxischermo che si allargò e Fabio non era più in grado di andare avanti dal ridere. Chiese. ame di continuare, ma io ero sotto al tavolo a ridere e devo dire che quel divertimento spontaneo era l'enzima che faceva divertire tutti.

Teocoli era in stato di grazia in quegli anni con voi.

Aveva trovato il suo habitat perfetto, era l'unica trasmissione da cui non sia andato via litigando. Stava proprio bene, noi stavamo bene con lui e stavano bene gli spettatori.

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