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Marco Rossi sul problema stupri tra adolescenti: “Il porno non va vietato, ma spiegato a scuola”

Parla Marco Rossi, sessuologo che fu volto di Lovelive, su MTV, a inizio anni Duemila: “Più che insegnare a fare sesso, aiutava a capirlo”. Per Rossi il dibattito dopo i casi di cronaca a Palermo e Caivano dimostra che l’Italia ha un eterno problema con il tema della sessualità e l’educazione sessuale nelle scuole è un grande investimento a lungo termine da fare: “Il sesso è ovunque ma non se ne può parlare, segno di pudicizia e ipocrisia”.
A cura di Andrea Parrella
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Che in Italia esista un problema legato alla sessualità è un dato oggettivo. Lo dimostra la difficoltà ad avere un dibattito serio sul tema, anche quando questo invade la cronaca nazionale, come successo per i fatti recentissimi di Palermo e Caivano, tra chi specula politicamente su un tabù, chi si rifugia nella condanna aprioristica della pornografia e chi preferisce il silenzio. Accade perché siamo sostanzialmente diseducati a parlare di sesso, non avendo nessuno che ci insegni a capirlo. C'è stato un tempo in cui in Italia di sesso si parlava in Tv, senza reticenze. Erano i primi anni Duemila quando partiva su MTV Loveline, condotto nelle prime stagioni da Camila Raznovich che, affiancata dal sessuologo Marco Rossi, rispondeva a dubbi e curiosità sul sesso del pubblico da casa e dei ragazzi presenti in studio. Dell'importanza della divulgazione sessuale e dell'educazione sessuale abbiamo parlato proprio con Marco Rossi.

Professore, Loveline è stato un esperimento televisivo pionieristico. Qual era il segreto di quel programma?

La caatteristica di Loveline era basarsi sull'idea di dare modo a chi non sapeva di sesso di chiedere informazioni a qualcuno che era autorevole e che veniva riconosciuto come autorevole dai ragazzi stessi. Più che insegnare a fare sesso, aiutava a capirlo, una differenza fondamentale.

È singolare che il tema della sessualità in Italia continui ad essere ammantato da una pudicizia che è quasi in contraddizione con i tempi che cambiano e l'evoluzione della società. È d'accordo?

È verissimo. In Italia continuiamo a saltellare da posizioni assolutamente antitetiche l'una rispetto all'altra. Temo dipenda dal solito problema di tipo geografico: siamo troppo vicini a Città del Vaticano. Questo determina una sorta di pudicizia, che poi è ipocrisia imperante.

Perché parla di ipocrisia?

Perché il sesso è ovunque ma non si può parlare di sesso e non si deve parlare di educazione sessuale, che è il vero problema. Da sempre si dice che bisogna farne, ma poi nessuno si prende la briga di mettere mano all'argomento, che il governo sia di destra o di sinistra.

Il governo di recente, sulla scorta dei casi di cronaca, ha annunciato l'introduzione di un programma di educazione sessuale. Cosa ne pensa?

Se ne sa ancora pochissimo, spero che la cosa funzioni, ma bisogna vedere nei fatti cosa accade, oltre i proclami. Potrebbe essere complesso formare gli insegnanti, che non è detto siano predisposti. Non escludo che potrebbero esserci anche un problema di obiezione di coscienza.

La carenza di educazione sessuale è evidente, l'Italia è tra i pochi paesi europei in cui la materia non è obbligatoria nelle scuole. Come si può educare in un tempo ragionevole le persone che dovrebbero essere preposte poi ad educare?

È complesso e infatti la mia idea è diversa. Dovremmo utilizzare le scuole, che sono l'unico luogo in cui il 90% e più della popolazione giovanile si reca per un certo periodo dell'anno, ma gli insegnanti devono fare gli insegnanti, già faticano con le loro materie e non possiamo inventarci che debbano anche insegnare l'educazione sessuale. Esistono delle figure specifiche, quelle dei sessuologi, che dovrebbero occuparsene.

Perché questo non accade?

Per tante ragioni, ma di base una: la figura del sessuologo non è riconosciuta in Italia. Ci sono master, corsi, ma non esiste un profilo riconosciuto in base a una specializzazione medica o psicologica e questo è cruciale. In Italia ci sono tante persone formate per fare educazione sessuale e affettiva, ma c'è un aspetto di cui non parliamo mai: cosa sia l'educazione sessuale.

Ce lo spieghi lei.

Il rischio è concepire l'educazione sessuale come un percorso in cui la sola cosa che si spiega è come si indossi il preservativo. Da un punto di vista pratico sarà anche quello, ma specialmente nei bambini la prima cosa da insegnare è il rispetto dell'altro, del proprio corpo, le emozioni, che apparentemente non c'entrano nulla col sesso, ma che invece sono le basi su cui si costruisce una buona sessualità.

E qui sembra entrare in gioco la pornografia, che pare essere diventata la sola fonte da cui prendere informazioni su come si fa sesso.

Esatto. La pornografia è sempre più usata e questo è innegabile, ma inibirla non serve a nulla. Il mercato è uno dei più fiorenti, c'è un potere di denaro assoluto. Tanti la utilizzano, ma vanno tutti incontro a quella che io definisco la "sindrome di Spiderman".

Me la spieghi come fossi un bambino di cinque anni.

Provi a immaginare di andare al cinema a vedere un film di Spiderman e ipotizziamo che il film le piaccia. Torna a casa tutto contento di aver visto il film e io dubito che lei si metta a saltare da un palazzo all'altro con delle ragnatele o delle corde. Semplicemente: si rende conto che quel film è fiction, una rappresentazione verosimile della realtà, ma non la realtà.

Dice che questa cosa con la pornografia non è chiara?

Tutt'altro. Le persone quando guardano un film pornografico senza strumenti critici pensano immediatamente che quella sia la realtà, comportandosi di conseguenza. Da una parte iniziano ad avere enormi aspettative verso se stessi e quindi all'ansia da prestazione, in termini di dimensioni e durata. Dall'altra parte si ha anche una visione molto distorta di come avviene il consenso di cui parlavamo prima. Nei porno basta uno sguardo e immediatamente tutti iniziano a far sesso, nella realtà non è così. I nostri ragazzi sono educati a una sessualità che vedono attraverso la pornografia e non sono in grado di capire sia cinematografia, proprio come i film di Spiderman.

L'educazione alla pornografia dovrebbe far parte di un percorso di educazione sessuale nelle scuole?

Ma certo che sì. Bisogna insegnare ai ragazzi che la pornografia è intrattenimento, che può essere utile a rinvigorire, a tenere vive le fantasie erotiche e sessuali, che sono una parte importante della sessualità per mantenere alto un livello di eccitazione. Lo si dovrebbe fare al pari di come si guarda un film normalissimo: capire che siano utili a mantenere alto il livello di eccitazione, prima di arrivare al passaggio in cui la pornografia si osserva in maniera critica. Ed è un lavoro che con i ragazzi si può fare, basterebbe volerlo.

In caso contrario, la conclusione più semplice è che si butti la palla in tribuna e che la soluzione sia l'inibizione, il blocco della pornografia per i minorenni, come sostiene il ministro Roccella e tanti altri esponenti politici.

Certo, è l'atteggiamento che stanno avendo in generale i governi negli ultimi anni. Ma vietare non serve a nulla, la pornografia è sempre esistita e la sola cosa che cambia è il supporto attraverso cui si fruisce della cosa. Oggi, ad esempio, è sempre più parcellizzata, c'è un'infinità di generi e ognuno riesce a trovare cosa piace di più. E diciamocelo, è inarrestabile, non si può placare.

Uno scenario problematico è relativo alla reazione delle famiglie. In Belgio, in questi giorni, alcune scuole sono state incendiate per delle proteste contro l'educazione sessuale. Non è un rischio?

Gli estremismi non fanno mai bene, inutile dirlo. C'è sempre qualcuno che sarà contro, come per tutte le cose, bisogna pensare che un investimento dal punto di vista educativo è un investimento che fai oggi per raccogliere i frutti tra molti anni, ma con dei costi sociali vantaggiosi. Anche se ci sono frange che non sono d'accordo. D'altronde se c'è un governo apparentemente stabile, che vuole governare cinque anni, è giusto fare un investimento a lungo respiro. Se non lo fai oggi…

Sul tema della sessualità c'è uno spartiacque generazionale. Una parte anagraficamente più "anziana" pare irrecuperabile, mentre c'è un'onda, quella delle nuove generazioni, che rispetto al tema sembra avere un approccio più libero. Come si conciliano questi due mondi?

La risposta è articolata e complessa. Quello che sta accadendo in questi ultimi tempi è che, con la digitalizzazione, il porno è sempre più facilmente accessibile, anche in maniera gratuita. La virtualità, in generale, è un aspetto cui i nostri giovani sono assai sensibili, sia dal punto di vista dei rapporti tra loro che dei divertimenti. Sono molto più virtuali di come eravamo noi un tempo e di conseguenza vivono anche il sesso in maniera sempre più virtuale e si abituano a una sessualità che è prima di tutto masturbatoria. Alla fine cosa accade? Che non hanno una capacità critica verso la pornografia, la usano sempre di più, ricevono messaggi errati e si abituano a degli stimoli eccitatori molto facilmente, cercandone ancora, fino ad arrivare a forme di pornografia estreme, continuando a credere sia la realtà.

Questo inficia anche sui rapporti umani?

Molto. È un effetto che va ad agire sui lobi frontali, sono ragazzi sempre più privi di volontà ed abituati a stimoli di tipo virtuale. Questo produce un paradosso, da un certo punto di vista la sessualità è più libera per i ragazzi di oggi, ma fanno meno sesso di quanto se ne facesse prima, nel senso che per loro una componente importante del sesso è proprio la virtualità, quindi la masturbazione. In percentuale, quella reale è inferiore.

Di recente emergono sempre più frequentemente casi di giovanissimi che rendono pubblica la propria scelta di parlare di sessualità e fare sesso in maniera aperta, anche tramite piattaforme come OnlyFans. Penso ai casi, seppur diversi, di Maria Sofia Federico ed Emy Buono. Che idea ha?

È un altro dei problemi della sessualità, ovvero chi fa divulgazione basandosi sul consenso dei follower, che a me paiono bolle speculative. Ragazzi e ragazze diventano sex blogger parlando di sesso, ma con quale capacità o conoscenza lo fanno? Io posso ancora eventualmente accettare che una persona possa parlare di sesso raccontandomi le proprie avventure, in modo descrittivo. Ma se io vado a prendere un libro di ingegneria e lo leggo non sono un ingegnere. Sulla sessualità questo fraintendimento si produce spesso.

Maria Sofia Federico, ad esempio, punta la questione sul disinnescare il meccanismo del pregiudizio nei confronti del sex work, il sesso come lavoro. Questo è un altro grande problema della società?

Lavorare col sesso esiste da sempre, da quando esiste l'essere umano e va benissimo. Quello che non va bene è mettere sullo stesso piano dei sex workers con quello di esperti, tecnici, lavori estremamente significativi dal punto di vista sociale. La divulgazione non deve essere fatta da un esperto sul campo, ma da una persona che va oltre la semplice pratica e sa cosa c'è dietro.

Torniamo alla sua avventura nella divulgazione. Loveline iniziava nel 2001, periodo come molto simile a quello che viviamo nel modo in cui gli impulsi e le resistenze al tema del sesso sono in conflitto. La disinformazione sul sesso è ciclica?

Quello che io penso è che il non sapere di sesso e sessualità c'è sempre stato, in qualunque periodo storico. Adesso abbiamo tanti finti esperti, ma alla fine i ragazzi ne sanno quanto prima. Per fare una metafora è un po' come morire di sete nel mare, tante informazioni, tanti input, ma non poterli utilizzare in maniera proficua.

Quella di Loveline fu un'esperienza avanguardista e la cosa strana è che non ha lasciato una traccia, non è rimasto che il ricordo.

MTV aveva creato dei nuovi filoni e nuovi modi di comunicare con i ragazzi, ma a un certo punto per scarsità di risorse è andata a morire. Da allora la Tv è cambiata, MTV produceva in proprio i programmi, in Italia la tendenza è stata quella di comprare solo format esteri. Una tendenza all'imitazione perenne e se ragioniamo da un punto di vista della sessuologia, prendendo prodotti esteri che non rispecchiano la cultura italiana, il consenso e il ritorno sono calati.

Un'esperienza di quel tipo, oggi, troverebbe le stesse resistenze di vent'anni fa?

Direi di sì, per certi versi la Tv è rimasta la stessa, la Rai è sempre la Rai, Mediaset è sempre Mediaset e le piattaforma sono più mainstream delle Tv generaliste stesse. Al contrario non c'è più una Tv alternativa come era MTV, che del mainstream poteva sbattersene e poteva parlare di sesso.

D'altronde si crede che in Tv non siano più possibili degli spazi alternativi, che oggi invece sono sui social. Lei non prova a stare sulle piattaforme?

Io penso che la divulgazione sia sempre importante, però bisogna che parta da persone capaci e bisogna avere il coraggio di uscire allo scoperto. Non penso che i social siano il luogo ideale perché queste circostanze si verifichino, anche se riconosco ci siano professionisti che cercano di fare un buon lavoro, trovo che il problema sia non avere un feedback, non sai chi sono i tuoi interlocutori e non sai quanto possa essere efficace un messaggio anziché l'altro.

Quindi quali sono i luoghi più idonei per fare divulgazione sessuale?

Televisione e radio credo siano ancora i mezzi che ti permettono di avere più contatto con chi ti ascolta, anche perché un programma te lo devi andare a cercare, non arriva una pillola sullo smartphone. Anche qui incide la frammentazione.

Per chi si chiede come mai Marco Rossi non sia più in Tv, cosa risponde?

Perché non è più bella la televisione. Bisogna fare dei programmi che siano validi.

Come nacque Loveline?

Al tempo c'era Antonio Campo Dall'Orto, direttore di MTV e genio assoluto, che aveva scovato un'idea di programma all'estero adattabile all'Italia e mise su una squadra di produttori e autori. Mi contattarono e da lì abbiamo provato a costruire poco per volta un programma che fosse culturalmente fruibile in Italia, con un linguaggio comprensibile per i nostri ragazzi. È stato un lavoro molto entusiasmante, le riunioni di preparazione a ogni puntata duravano anche quattro o cinque ore, più del programma stesso. Ogni puntata era calibrata su tutto. Fu un lavoro che ci permetteva di sviluppare qualcosa di adatto a noi, che avesse presa.

Oggi un programma di sesso in Tv sarebbe ancora una notizia.

È esattamente così. Un paradosso, ma è esattamente così.

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