Mameli, Riccardo De Rinaldis: “Goffredo era un ragazzo, come noi che oggi possiamo cambiare le cose”
La storia di Goffredo Mameli, colui che ha scritto e firmato il canto divenuto l'inno nazionale italiano, è innanzitutto la storia di un ragazzo dai forti e profondi ideali che non ha mai perso la speranza di poter cambiare il mondo attorno a sé. Riccardo De Rinaldis Santorelli, il giovane attore che impersona il poeta sul piccolo schermo nella serie Mameli-Il ragazzo che sogno l'Italia, in prima serata su Rai1, incarna perfettamente quella spinta rivoluzionaria e innovatrice ha contraddistinto gli uomini del Risorgimento italiano. Il suo Mameli è decisamente pop, nonostante gli abiti e il linguaggio affettato: "Era così, lo dimostrano alcuni scritti, ma soprattutto ho voluto dare spazio alla persona, prima ancora che al personaggio", ci racconta in questa intervista dove sottolinea l'importanza di far valere i propri ideali, anche quando si ha paura e racconta quanto le parole, anche in una fiction, possano veicolare messaggi importanti: "Sono fondamentali, hanno un potere di cui forse ci dimentichiamo, ma è in grado di cambiare la gente".
Come ti sei preparato al debutto di questo progetto?
Sono elettrizzato. È una storia che non si conosce molto, c'è una nube che copre il Risorgimento italiano, lo si studia anche in maniera lacunosa. Prima di vederlo in chiaro su Rai1 lo abbiamo visto qualche settimana fa tutti insieme, ci siamo commossi, è stato un viaggio bellissimo, spero che possa emozionare tutti.
Cosa provi quando ti rivedi?
All'inizio un sentimento di amore e odio, non avendo mai fatto accademie, o scuole di recitazione. Tendevo ad essere cattivo con me stesso, molte cose non mi piacevano e cercavo di migliorare, ma sbagliare era l'unico modo che avevo per imparare, per crescere e capire cosa non andasse. Essere severo mi ha aiutato, ma adesso mi lascio andare molto di più, mi faccio guidare dai miei capitani di viaggio, dalla sceneggiatura. Di questo progetto sono contento, non avevo catene che mi bloccassero, ho solo assecondato quello che mi chiedeva il personaggio e sono soddisfatto.
Si conosce davvero poco della vita di Mameli, ti sei ispirato a qualcuno per interpretarlo oppure hai provato a mettere in luce degli aspetti che per te fossero significativi?
Ho fatto in modo che la sceneggiatura mi parlasse. In questa miniserie portiamo persone, non personaggi, perciò ho cercato di sottolineare l'umanità, soprattutto per un ragazzo giovane come Goffredo, che diventa un eroe non volendo. Il suo scopo era far capire alla gente di non essere sola, di poter avere un pensiero comune e, soprattutto, che c'era bisogno di una rivoluzione. È un ragazzo che attraversa una crescita incredibile, passa dal damerino genovese di alta borghesia a diventare un uomo rivoluzionario.
Si può dire, quindi, che hai cercato di rendere pop una figura storica.
Assolutamente. È stato fatto per avvicinare lo spettatore ad una storia antica, anche se è meno lontana da noi di quanto si possa pensare, è molto attuale. Goffredo era già così, non abbiamo fatto una forzatura nel raccontarlo, parlava con i suoi genitori dandogli del tu, una cosa fuori dal comune per quei tempi. In più l'idea è sempre stata quella di rendere il racconto meno televisivo possibile, più vicino al cinema.
C'è una scena in cui Giuseppe Mazzini dice a Mameli "Non c'è spada più affilata della penna", allargando il concetto, che peso pensi possano avere i messaggi che si possono veicolare con una fiction di questo tipo?
La parola è veramente potente, anche la scrittura, ha la capacità di far cambiare idea alle persone e a te stesso. Ed è quello che vogliamo raccontare con la genesi di questo canto, che per me ora ha avuto un significato completamente diverso. È ciò che accade con i cantanti che fanno musica, vogliono raccontare una realtà, lo ha fatto anche Mameli e non c'è stato nulla di più forte. Con le sue parole ha unito la gente, li ha convinti di avere le capacità di fare qualcosa, soprattutto che fosse nel loro pieno diritto.
Credi che anche oggigiorno la parola abbia lo stesso valore?
Senza dubbio ha un potere molto forte, perciò bisogna stare attenti. Ora con i social, i cosiddetti leoni da tastiera sono fuori controllo, capisco che ognuno possa avere la libertà di dire ciò che pensa, ma è giusto equilibrare ciò che si dice, senza offendere, comprendendo i punti di vista differenti, senza distruggerli. Una serie del genere può far capire quanto usare le parole giuste possa essere importante.
Temi che la fiction possa essere accusata di avere una certa impronta politica?
Quello di cui parliamo nella serie ha un connotato politico, ma non coincide con l'accezione politica che gli si può dare adesso. Ha un'impronta prettamente sociale, in cui cerchiamo di raccontare i motivi che si nascondono dietro a determinate scelte, certe azioni. Il Canto degli Italiani sembrava una marcetta e invece è un testo potente, mi spiace infatti che non lo si sente tutto nelle puntate. Certi prodotti televisivi non sono solo di intrattenimento, ma servono per regalare conoscenza, non si smette mai di essere studenti.
Viene affrontato anche il lato romantico, come avete costruito il rapporto che Goffredo ha con Geronima e Adele?
Siamo stati molto fortunati tutti, perché abbiamo creato un rapporto molto stretto anche fuori, questa complicità ha rotto il ghiaccio durante le scene d'amore, di intimità, abbiamo avuto delle scene di nudo in cui eravamo le persone più tranquille al mondo. L'amore di Goffredo per entrambe è prima mentale, è attratto dall'intelligenza e l'avanguardia di queste due donne bellissime.
Parliamo di te, come sei arrivato a fare l'attore?
Non ho mai avuto il sogno di farlo. Ho iniziato da bambino a fare degli spot pubblicitari a Milano, mi divertivo e mi piaceva. Poi con la scuola e lo sport mi sono disinteressato a questo mondo, finché a 14 anni mi hanno chiamato per il mio primo provino su parte, ero travolto dall'ansia di non dimenticare le cose. Mia madre mi accompagnò a Roma, e lì, forse, ci ha visto molto più lungo di me, ha capito che poteva essere la mia strada, quindi ho iniziato a farne sempre più spesso. Finché a 18 ho fatto lo spot per X Factor e ho anche preso il mio primo ruolo in una serie.
Cosa ti piace, oggi che l'hai scelto, del tuo lavoro?
Come qualsiasi mondo lavorativo ci sono cose belle e altre che non lo sono, molti pensano che fare questo lavoro significa avere una vita facile e perfetta, ma non è così. Mi sono innamorato di questo mestiere perché mi fa stare bene, quando recito cresco, maturo, il fatto di toccare delle emozioni che potrei non vivere, mi fa pensare, capire in questa situazione come si comporterebbe Riccardo invece che il personaggio. Anche il set mi fa stare bene, lo farei tutti i giorni non mi stanca mai, lo farei veramente tutta la mia vita.
In Mameli è ben chiaro il concetto che sono i giovani a fare la rivoluzione. Anche oggi pensi che sia nelle mani dei giovani il cambiamento oppure oggi si ha più paura?
Sono un ragazzo di questa generazione ed è vero che siamo più concentrati su noi stessi. Se da un lato è positivo, perché manifestare i propri bisogni, anche quando si sta male, concentrarsi sul proprio io in quel caso è giusto, ma è quando l'ego prende il sopravvento che viene meno il contesto di insieme. Oggi abbiamo la possibilità di parlare di tante tematiche, come la violenza sulle donne, in molti non lo fanno perché pensano a sé stessi. Anche la guerra, finché non mi tocca allora non mi interessa, pensano in molti, ma invece se almeno una persona non fa la differenza, allora non c'è possibilità di cambiamento e rimarremo sempre passivi rispetto a quello che succede nella vita. Le generazioni di oggi hanno paura di quello che può comportare una scelta. Siamo noi il futuro alla fine, se non lo facciamo noi, chi deve farlo?