Luigi Luciano dai finti trailer a Bar Stella: “C’è ancora chi mi chiama Herbert Ballerina”
Se volessimo immortalare in un'immagine precisa il momento in cui la comicità in Italia ha trovato una sua forma riconoscibile attraverso internet, ci sarebbe probabilmente il fermo immagine della faccia di Herbert Ballerina nei panni di Fernandello. Ma dai tempi di quei finti trailer con Maccio Capatonda che hanno fatto la storia di acqua sotto i ponti ne è passata e Luigi Luciano, questo il suo nome all'anagrafe, ha fatto molta strada. Negli ultimi anni lo abbiamo visto in diversi programmi Tv, tra cui il più recente è Bar Stella, in cui Luciano si è disegnato un suo mondo. Lo abbiamo intervistato per ripercorrere la sua carriera, ancora breve ma già intensa, iniziata per puro caso.
Il 5 gennaio l'ultima puntata di Bar Stella. Come è andata questa seconda stagione?
Bilancio più che positivo. L'anno scorso ci siamo conosciuti e già si sentiva andasse bene, ci eravamo trovati subito tutti. La forza è stata Stefano, che è riuscito a creare un gruppo incredibile, ci siamo divertiti da subito. Questo clima ha fatto sì che quest'anno andassimo lisci, ci ha permesso di improvvisare molto.
Nel programma sembra che improvvisi costantemente e che nulla di quello che dici sia scritto.
In effetti io sono un po' a rischio, perché magari la battuta una volta viene e l'altra no, ma devo dire che trovandomi bene con tutti sono riuscito a fare un po' da battitore libero, stando nel programma in una maniera a me affine. Questa trasmissione per me è stata un toccasana, perché veramente posso esprimermi come voglio. I primi esempi che ho di Tv e che ricordo sono quegli Indietro Tutta e Quelli della notte che, come noto, ispirano questo programma in termini di riferimento. Una televisione un po' più pulita, calma, fatta di persone che si divertono.
Da Herbert Ballerina a Luciano di Bar Stella, un altro personaggio con un nome diverso dal tuo. Stare dietro alle maschere aiuta?
Ma guarda, io ho fatto molti personaggi che poi alla fine sono sempre surrogati di me stesso, tirano fuori qualcosa che ho dentro. Come questo Luciano, un lavoratore che in fondo non lavora tanto. Io cerco sempre di entrare in personaggi differenti per non essere Luigi Luciano, mi aiutano a tirare fuori delle cose in maniera più disinibita. Sono una scusa per una cazzata che forse non direi – o magari sì – se non fossi travestito. Come si trattasse di un costume da supereroe.
Lo pseudonimo come superpotere.
Esatto. Anche perché è doveroso precisare che io non mi chiamo Herbert Ballerina, ma Luigi Luciano.
È davvero necessario? Cioè, qualcuno pensa davvero che ti chiami così ?
Hai voglia! Che nome strano, mi dicono, come fosse mezzo tedesco e mezzo italiano. Poi va detto che questo nome manco me lo sono scelto, è nato assolutamente per caso.
Facciamo un po' di storia, come nasce Herbert Ballerina?
Per i finti trailer ai tempi degli inizi con Maccio. Ci servivano dei nomi altisonanti, che però fossero brutti. Anziché Brad Pitt c'era Herbert Ballerina, al posto di Michael Douglas nasceva Rupert Sciamenna. Il problema è che questi nomi ci sono rimasti appioppati, la gente ci chiamava così e basta, mascherando la vera identità.
"Non reggo l'alcol", "Italiano medio", molte delle vostre gag sono diventate epocali.
Il successo delle cose che facevamo è stato decisamente sopra ogni aspettativa. Non dico che la nostra sia stata nuova comicità, però un break c'è stato, la gente ha iniziato a parlare come noi interiorizzando quel linguaggio. La cosa assurda è che vedendole adesso, non sapendone nulla, si potrebbe rimanere spiazzati, mentre al tempo ci siamo infilati in un sentiero che la gente apprezzava.
"L'uomo che usciva la gente" ha legittimato definitivamente la transitività di questo verbo nell'uso colloquiale. La Crusca vi ha chiamati?
Io manco volevo farlo, perché mi vergognavo a mettere la calzamaglia, ma poi ho pensato che due minuti in televisione non avrebbe cambiato nulla, pur essendo Mai dire gol. Non c'erano social, nulla che riprendesse il momento. E invece L'uomo che usciva la gente è quello che ha dato la botta definitiva, la cosa per cui vengo ricordato.
Siete diventati dei miti, la cosa è mai arrivata ad infastidirvi come spesso capita per i successi imprevisti?
Assolutamente no, anche perché a noi credo sia accaduta una cosa rara. Abbiamo avuto la fortuna di essere subito capiti e apprezzati, ci portiamo dietro un pregiudizio che ci fa comodo e ci aiuta molto. Direi che ce lo teniamo stretto alla grande.
Con Maccio Capatonda (Marcello Macchia) c'è stata poi una progressiva separazione dei percorsi. Come mai?
In realtà la separazione è avvenuta quasi naturalmente, noi non siamo partiti come duo, ma come due persone che lavoravano insieme, scrivevano e facevano cose assieme. Poi come in tutte le cose, crescendo succede che ognuno voglia seguire un proprio percorso, però siamo sempre stati molto tranquilli e pacifici su questo. Quando io ho fatto il mio primo film con Zalone ho fatto capire che volevo farlo e il problema non si è mai posto. Le dinamiche del duo, tra noi, non ci sono mai state. E comunque continuiamo tutt'oggi a collaborare.
Un progetto in Tv insieme, magari, non è da escludere.
Ma certo, assolutamente, nessuna lite. Poi va detto che Maccio ha sempre preferito la strada autorale e di scrittura, mentre a me piace fare anche altre cose, variare.
Hai trovato la fama approdando a Milano, però in questo momento stai scoprendo un nuovo polo, una piccola isola felice della Tv di oggi che è Napoli.
Io vengo visto come un comico milanese, quello che abbiamo fatto lo abbiamo fatto lì, anche con la Gialappa's Band. Questa parte di Napoli è una cosa molto bella che mi sta risvegliando tante sensazioni e sento quasi di essere in un momento in cui sto sbocciando di nuovo. Sono due città molto distanti tra loro, ti danno energie diverse. Va detto che con Napoli ho avuto sempre una forma di gemellaggio, sono molisano, l'accento non è uguale ma simile, ho sempre avuto una passione per Totò, Troisi, De Filippo. È come tornare in un posto che già conosco, un mondo che sento mio.
E sei anche tifoso del Napoli, a quanto so…
Non volevo dirlo ma sì, a livelli sfegatati.
L'affinità con Stefano De Martino sembra una chiave fondamentale.
È stato un colpo di fortuna, ho trovato una persona che mi ha messo subito a mio agio, facendomi capire dove potessi andare, in quale direzione.
Vi conoscevate già?
Ci eravamo incontrati mezza volta tempo fa, poi lui lo scorso anno mi ha chiamato proponendomi l'idea di Bar Stella. Io ho detto subito sì, non sono una persona particolarmente problematica in generale e devo dire che già a pelle si percepivano buone vibrazioni. Penso che di incontri fortunati del genere non se ne facciano tanti ed è stato davvero bello.
Frassica di recente ha detto: "io vivo tendenzialmente su un altro pianeta, poi ogni tanto la vita mi costringe a tornare coi piedi per terra per pagare una bolletta e cose così". Non ti vedo molto distante da questa posizione, condividi?
Totalmente, io tendo a rifuggire sempre un po' la realtà, forse perché sono Pesci. Diciamo che ho sempre usato la comicità per uscire dal reale, una sorta di scudo che mi sono portato dietro. Far ridere gli altri mi è sempre piaciuto e mi aiuta a vedere il buffo anche quando capitano cose poco belle. La mia testa va verso ciò che fa ridere.
Appartieni alla generazione Dams, status symbol di un certo momento storico: l'università tanto agognata, ma da molti ritenuta poco definita. Come l'hai vissuta?
Anche questo è stato un colpo di fortuna. Per me l'università è stata un punto di fuga dalla città piccola in cui nascevo. "Che posso fare per andare via?" – mi sono chiesto – "Sicuramente ingegneria no", mi sono risposto. Siccome avevo sempre coltivato un passione per l'arte ho scelto il Dams e devo dire che arrivare a Bologna a 19 anni mi ha riplasmato. L'esperienza mi è servita soprattutto come mentalità. Non è un percorso tecnico, ma più che altro un'infarinatura di tipo filosofico, che personalmente mi ha cambiato insieme alla città.
Bar Stella si ispira a Indietro Tutta, un programma rimasto nella storia che durò meno di un mese. Le cose belle durano poco, o Bar Stella ha ancora un futuro?
Il fatto che con 30 puntate loro abbiano fatto la storia significa sì che la trasmissione era incredibile, ma anche che si sta parlando di un altro mondo e di un'altra epoca, perché oggi c'è tanta di quella roba da renderci impossibile l'ipotesi di creare un solco e lasciare il segno come una volta. Però credo che Bar Stella abbia fatto capire alle persone che guardano la possibilità di un tipo di Tv diversa, in cui non è necessario scannarsi, che si può fare senza prendersi sul serio. Nel suo piccolo credo abbia lasciato un segno.
Ultima curiosità: con Ambrosia hai fatto pace?
Ma fa tutto lei, io mica l'ho capito perché mi chiami bestia. È come l'allenatore che ha il terzino vicino e se la prende sempre con lui.