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Ludovica Bizzaglia: “L’ansia per me è stata invalidante. Chiedere aiuto è un atto d’amore”

Ludovica Bizzaglia si racconta in un’intervista in cui mette a nudo il suo vissuto, parlando delle battaglie che più le stanno a cuore come quella sulla salute mentale. L’attrice romana, ora al cinema, sottolinea coma bisogna parlare di certi argomenti per abbattere l’ignoranza che vi ruota attorno.
A cura di Ilaria Costabile
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Non aver paura di dire ciò che si pensa è una delle più grandi doti che si possano avere in un periodo storico in cui, spesso e volentieri, le opinioni diventano dardi da scagliare contro chi la pensa in maniera differente, piuttosto che essere semi per coltivare nuove consapevolezze. Ludovica Bizzaglia non ha paura di affrontare temi difficili, delicati, temi di cui spesso si parla, ma a mezza bocca, come la salute mentale, i disturbi alimentari, il bullismo psicologico. Ora al cinema con Flaminia, il film di Michela Giraud, l'attrice 27enne parla delle sue battaglie personali, quelle con l'ansia, con l'importanza di diffondere una giusta informazione sulle tematiche che più le stanno a cuore, ma anche quella contro l'iper-produttività: "il male della mia generazione" ammette. Eppure la vera conquista è stata capire che il tempo per noi stessi, per prenderci cura delle nostre fragilità non è mai tempo sprecato, anzi, sono attimi necessari per accrescere quello che c'è dentro di noi e lasciarlo libero di venir fuori.

Partiamo dal tuo ultimo ruolo, quello di Costanza nel film Flaminia di Michela Giraud. Un personaggio anche divisivo.

Costanza parte come l’antagonista del film, ma sarebbe banale dire che rappresenti la cattiveria. Le amiche di Flaminia sono l'emblema dell'ignoranza, della totale assenza di sensibilità nei confronti di temi come il bullismo, la salute mentale, la disabilità, il body shaming. Nel film pronuncio delle battute orrende, difficili da dire ad alta voce, anche se finte, ma ho pensato che fosse giusto rappresentare la verità al meglio, anche nella crudeltà.

Ludovica Bizzaglia è Costanza nel film Flaminia
Ludovica Bizzaglia è Costanza nel film Flaminia

Credi, quindi, che vedere rappresentate certe situazioni anche sgradevoli, possa avere un impatto sul pubblico? Una sorta di terapia d'urto. 

Assolutamente. Spesso c’è poca conoscenza di quei disturbi che sono, passami il termine, invisibili. Succede la stessa cosa con i disturbi alimentari, si pensa che una persona malata lo sia perché vediamo un corpo troppo magro, o in sovrappeso, anche il bullismo si pensa che sia solo fisico, quando il bullo ti tira uno schiaffo. Certi traumi, anche se non visibili, sono molto più che presenti e il bullismo psicologico è uno di questi.

Quindi ti è capitato che qualcuno sottovalutasse un tuo malessere?

Molto spesso mi è stato detto “ma tu sei perfetta, hai una vita perfetta, di che cosa ti lamenti, di che cosa vuoi soffrire”. Porto avanti anche sui social una battaglia a favore della salute mentale, perché se ne riconosca l'importanza, se ne parli. Sarà un'ovvietà, ma bisogna rendersi conto di quanto non conosciamo la storia della persona che abbiamo davanti, quindi non possiamo giudicare.

A questo proposito, hai raccontato di avere un disturbo d'ansia generalizzato. Se dovessi spiegare a qualcuno che non sa cosa sia, come lo descriveresti? Cosa senti?

L'ansia è un po' come i mostri che sogni da bambino. Mi toglie il controllo di tutto ciò che ho intorno, è invalidante. Soffro di attacchi di panico, sono improvvisi e pensi di morire, di non farcela, pensi che ti stia succedendo qualcosa di brutto, non riesci a ritrovare la lucidità. Non solo, l'ansia porta con sé bassa autostima, stanchezza fisica. Nel mio lavoro in cui l'esposizione, vuoi o non vuoi, è continua c'è sempre qualcuno che deve sceglierti o decidere se vai bene per quella parte, ormai con l’ansia ci ho fatto amicizia. Eppure c'è chi pensa che io non possa soffrirne perché la mia vita da fuori sembra perfetta.

Che, poi, la perfezione a ben guardare è un concetto che ha qualcosa di "malsano". 

Credo sia la rincorsa verso un qualcosa che non esiste, o forse può esistere ma è del tutto soggettiva: ciò che è perfetto per me, potrebbe non esserlo per un'altra persona. La mia generazione vive nell'iper-produttività, questo sentimento malato ti fa pensare che se ti fermi, anche un attimo, perdi tutto, perché il mondo sembra andare talmente più veloce rispetto alle tempistiche normali, che è facile sentirsi in difetto ad avere del tempo libero. Tutto questo crea dei disturbi d'ansia in maniera automatica. I miei coetanei la conoscono molto bene.

C'è un momento specifico a cui fai risalire questi stati di agitazione?

A nove anni ero sul primo set, non volendo si è innescato un meccanismo di adultizzazione, perché inculcare l'etica del lavoro ad una bambina non è una cosa anagraficamente normale. Mi sono dovuta rapportare con persone che avevano anche 30-40 anni più di me, sono cresciuta in una famiglia in cui l'educazione è stata fondamentale, non ho mai potuto togliere tempo allo studio, alla normalità della mia vita. Questo sovraccarico di responsabilità ti fa sentire invincibile, ma anche di non avere il carattere adatto per stare in questa industria. Credo parta tutto da lì. Con la terapia ho capito che fermarmi è invece necessario per il percorso di auto-accettazione nei confronti di noi stessi.

Sul set di Un'altra Vita, fonte Instagram
Sul set di Un'altra Vita, fonte Instagram

Cosa ti ha mostrato la terapia di te che non sapevi?

Il fatto di non essere sola, di capire che quello che provo e provavo, lo avvertono anche altre persone. Mi ha dato lucidità, la terapia ha cambiato non tanto le mie idee, ma la percezione, la prospettiva nei confronti delle cose, so di parlare da privilegiata, perché purtroppo non è un servizio accessibile a chiunque, ancora c’è disinformazione. Sento coetanei che pensano che dallo psicologo ci si va solo se si è matti.

Come può esistere ancora un pregiudizio di questo tipo.

È sempre il concetto di invisibilità. Se hai una carie cosa fai? Vai dal dentista. Se ti fa male la gola perché hai un’infiammazione, vai dal medico e prendi un antibiotico. La salute fisica non è distante da quella mentale, se la tua testa non funziona vai dallo psicologo. Spero che un giorno si arrivi alla concezione automatica che i medici servono per farti stare meglio. Mi sento dire "perché dovrei pagare uno per fare una chiacchierata che farei con un amico", esiste ancora questa concezione, come se non fossero disturbi da cui si può guarire. Ma dall'ansia, dai disturbi del comportamento alimentare, si può guarire.

Parlavamo del fatto che il tuo lavoro è sempre sottoposto ad un giudizio. Questa condizione ti ha reso più difficile riconoscere e accogliere le tue fragilità?

Non sono mai voluta cadere nell’ipocrisia, perché è un mestiere che ho scelto, che scelgo ogni giorno consapevolmente, qualcuno potrebbe dirmi “se non volevi tutto questo facevi altro”. Ne sono cosciente, ma ho fatto pace con questa cosa quando ho capito che l’unicità stava proprio nel come io mi muovessi, nel come scegliessi di raccontare i personaggi o le storie che mi venivano affidate. Ognuno fa le cose a proprio modo, non si può piacere a tutti, è un lavoro dove ricevi un sì, ma le dieci volte prima hai ricevuto un no.

E qual è stato il tuo porto sicuro, quando hai attraversato momenti di sconforto?

La mia salvezza è il sistema di persone che ho intorno, le mie amiche, la mia famiglia, le persone con cui lavoro, perché di loro mi fido. Anche questo è da privilegiati, avere delle persone che sai che ti amano profondamente e soprattutto indipendentemente da chi sei e da cosa fai. La solitudine è un grande male di questa generazione, quello che cerco di fare, anche con sconosciuti, in ambienti nuovi, è cercare di includere il più possibile. L’esclusione è una cosa orrenda, quando escludiamo una persona da un discorso, da un gruppo, non ce ne accorgiamo, ma può essere veramente deleterio.

Che tipo di cattiveria hai dovuto toccare con mano?

L’ignoranza nei confronti delle problematiche che avevo. Mi sono ritrovata a dover spiegare che non sceglievo di avere l’ansia e l’attacco di panico, ho iniziato ad avere problemi a scuola perché lì ho vissuto i primi episodi di bullismo.

Cosa è successo?

Sono arrivata in un liceo e dopo 4 giorni è uscito un mio film al cinema. Hanno pensato bene di accerchiarmi e poi di chiudermi in un bagno, facendomi il verso, chiedendomi l’autografo. Ho dovuto difendere il mio lavoro sin da ragazzina, alcuni professori non volevano accettarlo. Un po’ di soddisfazioni negli anni me le sono prese, adesso sono le stesse persone che vanno a vedere i miei film al cinema, professori che pensano che io mi sia dimenticata le cose che mi hanno detto e che mi dicono "io l’ho sempre saputo che saresti diventata un’attrice", anche se magari non volevano ammettermi agli esami perché avevo fatto due assenze.

In cosa ti ha aiutato, invece, il tuo lavoro?

Mi ha messo in contatto con la mia ipersensibilità, mi ha insegnato cosa vuol dire la generosità, la condivisione, il voler donare alle persone una storia, sperando di potergli cambiare la vita. Parlo sempre da spettatrice, ci sono volte in cui vado al cinema ed esco che ho imparato qualcosa di nuovo, ho cambiato idea su un tema, mi sono emozionata con sentimenti che a volte ci dimentichiamo. Questo lavoro mi tiene in contatto con il romanticismo che io cerco di mettere in tutto quello che faccio, sempre.

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Il tuo lavoro ormai si sviluppa anche sui social, il regno delle critiche, degli insulti, oltre che della condivisione. È successo che ti abbiano attaccata?

Certo, ed è per questo che trovo grave, nonché assurdo, il fatto che non sia richiesto un documento di identità per iscriversi sui social, così pensi di poter dire quello che vuoi perché tanto è molto difficile trovarti. Ho ricevuto un messaggio terribile da un utente fake in cui c'era scritto “ah beh neanche in questo film sei protagonista, forse dovresti pensare ad un piano b”. Il concetto qual è? Che se non sono la protagonista assoluta del film il mio lavoro è sminuito o per te valgo di meno? Quello che dicono gli altri rappresenta quello che sono loro, non quello che siamo noi. Se un messaggio del genere arrivasse ad una 16enne in piena crescita, in piena definizione del proprio sé, purtroppo avrebbe minato la sua sicurezza. Ma è anche vero che sono le stesse persone che per strada mi chiedono le foto o che se mi vedessero non si azzarderebbero mai a venirmi a dire qualcosa.

Se dovessi individuare la tua più grande paura, oggi, quale sarebbe?

Non fare più quello che voglio fare spinta dalla grande forza motrice dell’amore, ma diventare schiava dei sistemi che mi circondano, questa ad oggi è la mia più grande paura. Perdere la parte di sogno, di luce, di amore nelle cose che faccio, ma andare un po’ in autonomia, è una cosa che vorrei non succedesse mai.

Lo temi perché lo hai visto accadere o ti è già successo?

Sì, l’ho visto accadere ed è una cosa che temo perché è un mondo difficile in cui stare, e mi rendo conto che tante persone fanno le cose perché si sentono obbligate, spinte anche dalla società. Non molti fanno le cose con amore e con romanticismo. Spero di non dovermi svegliare mai così, o se dovesse succedere di avere la forza di dire cambio, faccio qualcos’altro, però almeno ho l’amore che mi spinge.

E l'atto più coraggioso fatto finora?

Chiedere aiuto perché non si è invincibili. Durante l’adolescenza pensi di esserlo, che le cose succedono agli altri e mai a te, poi scopri che non è così. Chiedere aiuto è l’atto più grande che possiamo fare nei confronti di noi stessi e degli altri. Io devo un grande grazie a mia madre, che mi ha sempre accompagnato e supportato, tante volte sono andata da lei a dirle "non ce la faccio da sola, per favore aiutami". 

Hai mai temuto di essere giudicata per aver fatto questo passo?

Non ho mai sentito questo giudizio. Penso che ci si possa sentire giudicati, perché chiedere aiuto possa derivare da un’incapacità nel fare qualcosa, ma in realtà c'è uno spirito di condivisione, coinvolgo le persone che amo e che mi amano, perché oggi ho bisogno io, domani potresti averne bisogno tu. Penso che sia una responsabilità molto bella aiutare qualcuno. È un bellissimo scambio umano, non siamo tutti nemici di tutti, smettiamola anche con questa narrazione.

Quale caratteristica, secondo te, ti rende particolarmente umana, empatica?

Riuscire a trovare tenerezza nelle cose più piccole, più scontate. Il contatto con la natura, con gli altri esseri viventi, la gratitudine che è un concetto fondamentale per me. Soprattutto in questo periodo storico, avere una casa, del cibo, non dover scappare, sapere di vivere in sicurezza, sapere che le persone che amo stanno bene. Sono fortunata, siamo fortunati, e bisogna essere grati dal caffè che bevi la mattina fino al letto comodo e pulito in cui tornare a dormire la sera.

Sono anni che lavori come attrice, chi ancora non sei stata e vorresti essere?

Mi piacerebbe tantissimo fare una cosa in costume, raccontare il territorio italiano in un’epoca lontana o un passato recente, anche perché sono fan sfegatata della moda e penso che sia arte anche tutto il reparto dei costumi, delle scenografie. Da patita crime quale sono, passo le mie giornate ad ascoltare podcast crime mentre guido, cucino, pulisco, mi preparo, mi piacerebbe interpretare un thriller, un horror. Infine vorrei raccontare una storia che parli di salute mentale, un grande sogno che ho, fortissimo.

Magari sarebbe un qualcosa di davvero utile, se davvero il cinema mantiene un certo intento educativo. 

Il cinema è educativo, serve anche a darti il diritto di scelta. Difendo tanto i prodotti chiamati trash, più leggeri, perché il bello è proprio nel fatto che una sera vado a vedere il film impegnato che dura quattro ore, la sera dopo in base a come mi è andata la giornata, scelgo di andare a ridere, piangere, sognare. Il cinema è questo. Quanto sarebbe importante educare il pubblico con storie nuove e soprattutto attuali, noi siamo attori, siamo mezzi di comunicazione attraverso i quali le storie prendono vita e vengono raccontate.

A proposito di prodotti leggeri. Sei stata protagonista di Un Posto al Sole, che pur essendo l'unica soap italiana ancora in piedi, sembra che tutti la guardino dall'alto in basso. Perché secondo te?

È un discorso che mi fa imbestialire, difenderò Un posto al sole per sempre, innanzitutto per quello che ha dato a me. Trovo che sia un prodotto estremamente coraggioso, credo siano stati i primi in Italia a scrivere in base alle tematiche sociali di quel momento. Si è parlato di omosessualità, dipendenza dalle droghe, famiglie disfunzionali, sono pochi i prodotti in giro che trattano queste tematiche, il fatto di avere il privilegio di entrare nella casa delle persone ad ora di cena, ma chapeau a loro, agli sceneggiatori. Sono arrivata ad Upas che avevo 21 anni e mi è stata affidata una storia di dipendenza affettiva, dipendenza dalle droghe, di quanto fosse importante la figura genitoriale indipendentemente dal fatto che fosse maschio o femmina e poche altre volte mi è successo di trovare questa libertà di pensiero in un prodotto.

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Abbiamo toccato tanti temi, ma ora ti chiedo: cosa significa per te stare bene?

Per me stare bene significa non avere paura del domani, significa andare a letto sapendo che ho fatto tutto ciò che potevo fare per fare un gesto bello, buono, che potesse aiutare qualcuno. Soprattutto stare bene per me è recitare e sapere che lo faccio per me e che non lo faccio più per gli altri.

Hai sentito la pressione del dover fare qualcosa più per gli altri che per te stessa?

C’è stato un momento in cui sentivo tantissimo l’aspettativa addosso, il dover macinare, produrre il più possibile. Questo mi ha portato a perdere un po’ il romanticismo, era diventato un automatismo, quando poi sono cresciuta, ho capito che lo faccio per me. Devo credere fortemente che la mia storia sia già scritta e che tutto arriverà nel momento giusto, devo solo farmi trovare pronta. Tutti i giorni mi alleno per accogliere i grandi eventi della vita, belli e brutti, spero di essere pronta, ma se non dovesse essere così non fa niente, si cade e ci si rialza.

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