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Luca Gallone, da L’Amica Geniale a Malinconico: “In Vittorio Greco c’è mio padre, in Benny ci sono io”

Luca Gallone racconta a Fanpage.it il suo Vittorio Greco in L’Amica Geniale e Benny La Calamita in Malinconico, il suo forte legame con Napoli e il teatro: “La mia città ha ancora tanto da narrare”.
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Luca Gallone è presente in Rai con due personaggi per due prodotti di punta di questa stagione: Vittorio Greco in L'Amica Geniale e Benny La Calamita in Vincenzo Malinconico. A Fanpage.it, l'attore racconta il suo legame con Napoli, il valore forte della famiglia che ha portato anche nei suoi personaggi, l'evoluzione del teatro e della televisione.

"Recitare in L'Amica Geniale", racconta, "è stato un viaggio emotivo incredibile: ho rivisto parti della mia storia personale, come mio padre che non c’è più, e ho sentito di aver dato tutto per rendere Vittorio un personaggio complesso e umano". E sul personaggio che affianca quello di Massimiliano Gallo in Malinconico: "Non era affatto scontato che, pur essendo un prodotto di grande qualità, potesse ripetersi in termini di successo e coerenza narrativa. La critica ha apprezzato il nostro lavoro e sono felice che la Rai, in particolare, stia alzando l’asticella delle serie che propone". Il desiderio, a questo punto, è tornare al più presto in teatro: "La realtà è che i giovani, gli adolescenti, non vedono il teatro come parte della loro vita. Anzi, posso dirti che tra le nuove generazioni è praticamente assente. Forse è anche per questo che io voglio tornare a fare teatro, ma so che è una lotta difficile". 

Luca Gallone ne "L'amica geniale 4"
Luca Gallone ne "L'amica geniale 4"

Luca, partiamo dal monologo di Vittorio Greco che in Italia abbiamo visto nella terza serata de L'Amica Geniale. 

Che emozione! Mi sono emozionato parecchio, non te lo nascondo. Nel rivedermi, mi ha preso proprio un colpo. Non me l'aspettavo nemmeno io, perché sai, quando sei sul set non ti fermi tanto a pensare, vai in automatico. Però quando l'ho rivisto, mi ha dato un forte impatto emotivo. Ma soprattutto perché c'è una parte della mia storia familiare, mio padre che non c'è più, dentro quel sentimento…quel flusso di emozioni. Nel rivedermi, credo di essere stato efficace nel raccontare quel momento, usando strumenti miei, di Luca, che poi sono stati messi al servizio della storia della serie. Perché poi il personaggio che interpreto è un patriarca, ma senza esserlo per davvero.

Tutta l'opera, d'altronde, affronta il momento storico fondamentale per la contestazione alla famiglia patriarcale. 

Esatto. Vittorio Greco del resto è un capofamiglia vecchio stampo, ma non è riuscito ad essere quel tipo di patriarca, anche per la sua mentalità. Credo che lui non abbia mai voluto esserlo, se non per difendere la posizione della figlia. Mentre, ad esempio, il papà di Lila è un uomo violento, un personaggio negativo, come la stessa Lila, che è abbastanza cattivella, diciamolo. Vittorio non è un "padre padrone", assolutamente. Lui ha una moglie forte a fianco. Ha scelto bene la sua compagna. Poi, la loro è una bella coppia, si vede l'amore fino alla fine. Però, prima si parlava di quella scena, e si capisce tutto l'amore che Vittorio ha per sua moglie Imma.

La straordinaria Anna Rita Vitolo.

Recitare con Anna Rita ha reso tutto il percorso più semplice e più piacevole. Abbiamo condiviso uno spaccato di vita molto importante. Quando il suo personaggio muore, una parte del mio Vittorio muore con lei. Ma d'altra parte, lui continua a vivere per la figlia, Elena.

Quindi, Elena è la figlia preferita?

Probabilmente sì. Non chiedere mai a un genitore di dire che ha un figlio preferito, ma sicuramente Vittorio ha una figlia preferita, che è Elena.

Possiamo dire che la famiglia Greco è matriarcale?

È vero, forse si è invertita la cosa. Ma Vittorio combatte con la moglie Imma, se ti ricordi anche nel corso delle prime stagioni, lui lotta contro le idee di sua moglie e si impegna per far studiare Elena. Poi, è chiaro che ci sono i limiti della famiglia Greco, che è una famiglia povera, economicamente fragile, e viene da un periodo storico difficile, nel dopoguerra. Vittorio non è un uomo che impone la sua volontà ciecamente, è più un uomo che prova a difendere la sua famiglia, a proteggerla, senza mai forzare troppo le cose. L’amore per Elena, la figlia, lo porta a fare delle scelte che potrebbero sembrare dure, ma sono mosse dalla volontà di garantirle un futuro migliore.

Che tipo di padre sarebbe oggi, Vittorio Greco? 

Un uomo come lui potrebbe trovarsi in difficoltà. Ci sono altre dinamiche, la società è cambiata, il ruolo del padre si è evoluto e lui non avrebbe le stesse certezze di un tempo. Però credo che la sua attitudine verso la famiglia, e in particolare verso la figlia, rimarrebbe quella di sempre: un padre che, nonostante le difficoltà, cercherebbe sempre di proteggerla e di darle il meglio.

Hai avuto una grande opportunità di lavorare sul personaggio di Vittorio, soprattutto rispetto al libro, dove inizialmente sembrava più una figura di contorno. Come hai vissuto questa trasformazione del personaggio?

Sì, nel libro, Vittorio era solo un personaggio di servizio, una figura secondaria, quasi un'ombra. Però, grazie al lavoro di Saverio Costanzo, il regista, e a me, il personaggio ha acquisito maggiore dignità e centralità nella trama. È stato un processo interessante: ho potuto dare una dimensione più complessa e profonda a Vittorio. E credo che questo sia uno dei grandi successi di questa serie: non solo raccontare la storia, ma rendere tutti i personaggi reali, complessi, con conflitti interiori forti.

A proposito del tuo percorso, quanto ti ha aiutato la tua esperienza teatrale, in particolare con il teatro napoletano, nell’interpretazione di Vittorio?

Il mio background teatrale è stato fondamentale per l’elaborazione del personaggio. Il teatro, in particolare quello napoletano e di tradizione comica, mi ha dato un bagaglio di improvvisazione, di invenzione che ho portato anche sul set. L'improvvisazione è fondamentale per me, mi permette di esplorare e capire meglio i personaggi, e anche con Saverio Costanzo e Daniele Luchetti abbiamo fatto tanto lavoro di improvvisazione prima delle riprese. Questo mi ha permesso di entrare profondamente nella psicologia di Vittorio.

E pensi che tornerai a fare teatro?

Sì, mi piacerebbe. È da un po' che non lo faccio, perché mi sono concentrato su progetti televisivi e cinematografici. Ma il teatro è un'esperienza fondamentale, e mi piacerebbe tornare, forse con un progetto che possa unire il mio bagaglio di esperienza con nuove sfide. Il teatro oggi è diventato un ambiente per pochi, appannaggio di appassionati e persone di una certa età, che si abbonano magari più per moda o per perdita di tempo che per passione. La realtà è che i giovani, gli adolescenti, non vedono il teatro come parte della loro vita. Anzi, posso dirti che tra le nuove generazioni è praticamente assente. Forse è anche per questo che io voglio tornare a fare teatro, ma so che è una lotta difficile, un po' come Don Chisciotte contro i mulini a vento. Voglio cercare di invertire questa rotta, consapevole che forse è solo un'illusione.

Capisco, però è un’illusione che vale la pena provare. Dal teatro alla città: qual è il tuo legame con Napoli?

Io sono napoletano al 150-200%, sono nato nella Sanità, ho un forte senso di appartenenza. Però, guarda, non è facile. Ho fatto tante cose importanti, ma quasi sempre lontano da Napoli. Per esempio, "L’amica geniale" è una produzione che ha preso il via da Roma, e anche "Gomorra", pur raccontando storie di Napoli, è stata figlia di una produzione non napoletana. È strano, perché mi piacerebbe tornare a fare qualcosa qui a Napoli, ma sembra che non ci sia lo spazio giusto.

Una foto di scena da "Vincenzo Malinconico, avvocato d'insuccesso"
Una foto di scena da "Vincenzo Malinconico, avvocato d'insuccesso"

Parliamo di Benny La Calamita, il personaggio che sei tornato a interpretare per la seconda stagione di Vincenzo Malinconico, avvocato d'insuccesso. A che punto è la crescita di Benny?

Malinconico è stato un progetto che mi ha coinvolto molto. La crescita di Benny va di pari passo con quella della serie. Non era affatto scontato che, pur essendo un prodotto di grande qualità, potesse ripetersi in termini di successo e coerenza narrativa. La critica ha apprezzato il nostro lavoro e sono felice che la Rai, in particolare, stia alzando l’asticella delle serie che propone. Questo è un buon segno, un segno che le cose stanno cambiando. La Rai sta cercando di puntare su una qualità maggiore e su una narrazione che non solo intrattiene, ma fa riflettere. E se questo è il futuro, allora sono ottimista.

E riguardo alla rappresentazione di Napoli nelle serie pensi che ci sia un rischio di sovraesposizione o è invece un'opportunità per raccontare la città sotto nuovi punti di vista?

In realtà, credo che ci sia ancora molto da raccontare. Napoli è una città talmente ricca di storia, cultura e contraddizioni che ogni angolo può raccontare una storia diversa. "Gomorra" ha segnato uno spartiacque, ma Napoli è molto di più. C’è la Napoli storica, quella borbonica, c’è la Napoli delle rivoluzioni del 1799, c'è la Napoli delle sue tradizioni, del suo popolo. Non è solo criminalità, non è solo camorra. Noi abbiamo un tesoro enorme da raccontare. E per quanto il nostro cinema e la nostra televisione abbiano raccontato molto della Napoli che fa notizia, la vera forza della città è nella sua storia e nella sua cultura. E questo, credo, è ancora da esplorare appieno.

Luca, andando verso la conclusione, hai mai pensato di metterti dietro la macchina da presa?

Sinceramente, no. Ho sempre preferito concentrarmi sull'interpretazione, ma non escludo la possibilità di provare. Il cinema, il teatro, la televisione: sono tutti mondi che si intrecciano e non è detto che in futuro non possa cimentarmi anche in un ruolo diverso, magari da regista. Però per ora mi sento più forte nella recitazione, è quella la mia passione. Ho un bambino dentro che vuole ancora giocare, non vuole diventare adulto.

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