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L’Ora, Claudio Santamaria: “È la storia di chi ha sacrificato tutto per un giornalismo libero”

Intervista a Claudio Santamaria, protagonista della fiction di Canale 5 dedicata alla storia del giornale siciliano che prima di tutti si occupò di raccontare la mafia.
A cura di Andrea Parrella
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Arriverà su Canale 5 mercoledì 8 giugno L'Ora – Inchiostro contro piombo, la fiction con protagonista Claudio Santamaria che racconta proprio la storia de L'Ora, il giornale siciliano che prima di ogni altro si occupò di raccontare la mafia da vicino, senza reticenze. Il personaggio interpretato da Santamaria, Antonio Nicastro, è ispirato alla vita del giornalista Vittorio Nisticò, direttore che cambiò la rotta del giornale, slegandolo dal Partito Comunista e pubblicando storie scomode e fino a quel momento occultate. Si circondò di giornalisti giovani e determinati, pronti a fare nomi e cognomi dei mafiosi che macchiavano di sangue le strade di Palermo e Corleone. In questa intervista a Fanpage.it Claudio Santamaria racconta il lavoro fatto sul personaggio e la preparazione per questa serie che si prende la responsabilità di accendere un riflettore su una vicenda relativamente nota ai non addetti ai lavori.

Partiamo dalle basi: da non siciliano cosa sapevi della storia di questo giornale?

Conoscevo L'Ora di Palermo e sapevo cosa avesse significato quella grande esperienza per la Sicilia e per il giornalismo italiano. Di Vittorio Nisticò sapevo poco. Pian piano ho imparato a capire e a conoscerlo, ma come si fa sempre in questi casi io credo che la cosa migliore non sia riprodurre in fotocopia un personaggio cercando di imitarlo, ma di capire il fuoco sacro che lo animasse, coglierne l'essenza e farla mia.

Che cosa hai capito di Vittorio Nisticò?

Che era molto determinato, rigoroso, appassionato, uno che ha sacrificato tanto per fare questo lavoro.

Sembrano i tratti dell'eroe e quando la fiction televisiva si dedica a personaggi con queste caratteristiche il rischio di santificazione è dietro l'angolo. Come lo avete evitato?

Nella definizione di eroe c'è proprio l'elemento del sacrificio, in questo caso il personaggio sacrifica la propria vita privata, le relazioni, per completare la missione della verità, della democrazia e della giustizia. Non ho paura a dire che sia stato a tutti gli effetti un eroe. Oltre al sacrificio gli eroi hanno un'altra caratteristica, quella di sembrare talvolta scontrosi, come ci fosse qualcosa di più importante da perseguire. Abbiamo lavorato nella direzione del mostrare queste sfumature, costruire un personaggio spigoloso ma affettuoso nei confronti di chi lavora al giornale.

Per diventare un direttore di giornale nella Sicilia degli anni 50 a quale modello si ispira?

Al giornalismo d'assalto, quello per cui si alza il sedere dalle sedie e si vanno a cercare le notizie. Il direttore di giornale io l'ho immaginato come chiuso e serio, intenzionato a insegnare ai suoi un rigore morale richiesto da una grande professione. Una serietà, una deontologia che mette al primo posto la verità. Penso sia una lezione di giornalismo che parla all'oggi.

In questo momento il giornalismo vive una crisi di credibilità. È per questo che le storie su questa professione conservano grande fascino?

Innanzitutto in questa serie si mostra un tipo di giornalismo puro che ancora oggi fa scuola ed è pietra di paragone di come si fa questo mestiere. Il giornalismo appassiona proprio perché offre quei margini di racconto eroici di cui parlavo. Come diceva Pippo Fava "il giornalismo è tra le componenti più importanti della società". Un'informazione libera rende la società libera perché spinge le istituzioni a fare meglio, le forze dell'ordine a fare meglio, informa, sveglia l'opinione pubblica. È un mestiere importantissimo e oggi forse lo sottovalutiamo, di fatto indebolendo.

La gestazione del prodotto è stata lunga e la messa in onda coincide con l'inizio dell'estate. Credi possa penalizzare il prodotto?

Abbiamo iniziato a girare prima della pandemia ed era molto tempo che attendevamo l'uscita della serie. Arriva adesso e sono felice che esca, indipendentemente dalla collocazione. Io spero che vada bene e che le persone la guardino, che la facciano vedere ai propri figli, la ritengo una serie molto importante perché mostra certe sfaccettature sconosciute di questo mestiere.

La prima scena della serie riporta all'evento dell'esplosione del 19 ottobre 1958, forse poco noto all'opinione pubblica. Questa storia era rimasta sommersa per molto tempo.

In generale il tema della criminalità è sempre sommerso rispetto a quanto se ne dovrebbe parlare, è un dibattito che andrebbe mantenuto vivo sempre, costantemente, soprattutto attraverso la formazione scolastica. La politica se ne occupa a intermittenza, mentre dovrebbe esserci un'attenzione perenne.

Questo per te, inoltre, è un campo inedito. In Italia il tema della criminalità è quasi un passaggio inevitabile per il percorso di crescita di un attore. Come l'hai vissuta?

No, non avevo mai lavorato a un tema di questo tipo. Quando si fa una serie del genere si viene chiamati non solo come attori, ma anche come cittadini. Per me questo progetto è stato una sorta di chiamata. Leggere la sceneggiatura mi ha molto scosso, toccato nel profondo il mio senso di giustizia, la mia rabbia.

Anche in relazione a questa esigenza di parlarne di più, credi la televisione riesce ad andare più a fondo del cinema su temi come questo?

Sono mezzi diversi, la televisione può arrivare a più persone e raccontare le storie in maniera più ampia. Cambia il mezzo, ma il fatto che una storia del genere venga raccontata attraverso un'estetica cinematografica credo possa permetterle di arrivare al pubblico in un altro modo. C'è da dire che in questo momento il cinema sta attraversando una crisi enorme, chiaro che il modello televisivo sia quello prevalente.

Pensi che l'inerzia porterà il cinema a essere definitivamente ridimensionato, o intravedi speranze di ripresa?

Più che altro lo spero fortemente, credo che l'autunno sarà decisivo. In questo momento c'è grande incertezza, si producono tanti film e magari le distribuzioni sono poche, le sale chiudono, dove vengono messi poi questi film pensati per il grande schermo? Il mio profondo dolore è vedere sale storiche che chiudono, è una cosa straziante.

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