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Lee Child su Reacher 3: “Non volevo un eroe traumatizzato. Il suo senso di giustizia è di un’America che non esiste più”

Reacher 3 torna su Prime Video dal 20 febbraio. Lo scrittore Lee Child in questa intervista a Fanpage.it ha parlato di quanto la sua creatura letteraria rappresenti un’America che non esiste più o che forse non è mai esistita, specie perché “L’11 settembre ha rimosso buona parte del suo ottimismo”. E sul protagonista Alan Ritchson: “Non volevo l’ennesimo eroe traumatizzato, nella terza stagione non potrà riportare in vita la gente o rivedere il suo passato, ma punire le persone che hanno fatto del male sì”.
A cura di Andrea Bedeschi
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Il Jack Reacher di Alan Ritchson è tornato su Prime Video con la stagione 3 basata sul settimo romanzo dell'epopea letteraria di Lee Child, La vittima designata. Già, Lee Child. Un signore inglese, il cui vero nome è James Dover Grant, che a ottobre spegnerà 71 candeline sulla torta e che ha alle spalle un quantitativo non meglio definibile di libri venduti. Su internet potete leggere che la saga di Reacher ha venduto più di 100 milioni di copie, ma la realtà dei fatti è che ne ha piazzate molte di più. Almeno il doppio. Non male, per uno che ha esordito come scrittore dopo i quarant'anni e dopo aver visto naufragare la sua carriera di autore e produttore per importanti emittenti tv inglesi.

Al cinema Jack Reacher ci era già arrivato con i due film interpretati da Tom Cruise nel 2012 e nel 2016. Il primo ebbe un discreto successo tanto da giustificare una seconda incursione di quella che è stata una scelta di casting fra le più criticate degli ultimi quindici anni. Nei romanzi, Lee Child descrive la sua creatura come un armadio ambulante alto 1 metro e 98 centimetri. Ora, Tom Cruise avrà sicuramente dalla sua una lunga lista di qualità, ma di sicuro per arrivare a quell'altezza gli mancano 25 centimetri buoni.

In occasione del debutto di Reacher 3 su Prime Video, abbiamo potuto discutere a lungo proprio con Lee Child, parlando a tutto tondo del successo di questa saga e di come rappresenti un'America che non esiste più. O che forse non è mai esistita.

La stagione 3 di Reacher ci presenta una svolta. Per la prima volta non sembra più invulnerabile, è un protagonista solo e in pericolo. È per questo che avete lavorato basandovi su La vittima designata (Persuader, il settimo romanzo della saga, ndr.)?

La prima cosa che abbiamo fatto è stata lavorare a una sequenza che spiegasse in maniera adeguata allo spettatore l'evoluzione del personaggio. La stagione 1 si basava sul primo libro della serie (Killing floor, Zona pericolosa in Italia, ndr.), in cui Reacher affrontava il suo viaggio emotivo con quella che era la sua autentica famiglia. Poi la seconda (tratta da Bad luck and trouble, Vendetta a freddo in Italia, ndr.) ruotava attorno al percorso di Reacher con l'altra sua famiglia, quella di lavoro, la sua unità investigativa nell'esercito. Dopo queste due stagioni, il personaggio ci sembrava spiegato bene al pubblico, le sue radici erano ben piantate, le persone ormai sapevano chi fosse.

E ora che succede?

Con la stagione 3 abbiamo il Reacher ideale, il misterioso lupo solitario che agisce da solo, non dipende da nessuno ed è costantemente in pericolo. Ora abbiamo la libertà di fare quello che vogliamo. La stagione 3 ci offriva ampi margini di manovra e abbiamo scelto quel libro, che dalla sua ha anche un notevolissimo prologo e un particolare elemento geografico: una casa tanto grande quanto isolata dove Reacher è praticamente in trappola. Un posto dove è difficile entrare e ancora di più uscirne fuori.

Parlami del casting di questa stagione. C'è anche Anthony Michael Hall in una sorta di “nuova prigionia” 40 anni dopo la punizione in The Breakfast Club.

Il casting è una fase importantissima e critica. Alan Ritchson ha dedicato grande attenzione al personaggio, ma ciò non sminuisce la bravura degli altri attori. Un lavoro di squadra armonico quando è fatto con professionisti come Anthony (Michael Hall, ndr) che è nel giro da decenni, ma anche con chi ha meno esperienza di lui. È un affascinante e strano fenomeno dove tutti sembrano scattare all'unisono diventando personaggi estremamente realistici, non c'è nulla di posticcio. Lo spettatore diventa un voyeur che spia uno spicchio di realtà.

Anthony Michael Hall
Anthony Michael Hall

E su Olivier Richters? È anche più piazzato di Alan Ritchson. Immagino che non sia semplicissimo trovare in giro attori alti due metri e diciotto.

È stata una sfida trovare qualcuno che rispondesse a queste necessità. Come scrittore è molto semplice: mi basta usare un aggettivo al posto di un altro. “Gigantesco” al posto di “normale”, non mi costa nulla. Ma un aggettivo fa la differenza in fase di traduzione per il piccolo o grande schermo. Con quelle caratteristiche fisiche, e un buon grado di recitazione, ci saranno state al massimo tre o quattro persone nel mondo. Olivier l'abbiamo trovato in Olanda, avevamo bisogno di qualcuno che incutesse paura, che creasse uno stacco rispetto al Reacher sempre pronto e sicuro di sé che conosciamo.

Osservando la natura vagabonda di Reacher, non posso fare a meno di pensare a Sylvester Stallone e al suo vagabondo reduce del Vietnam nel primo Rambo. Eppure sono due icone delle storie d'azione che dialogano in modo diverso coi traumi del loro passato: John Rambo ha un costante disturbo da stress post-traumatico, mentre con Reacher ogni episodio della sua saga lo mette di fronte a un episodio ben specifico del suo passato che riemerge. 

Se c'era una cosa con cui non volevo assolutamente avere a che fare era l'ennesimo eroe traumatizzato, è un cliché. Ormai è diventata una gara alla creazione del personaggio più disfunzionale e traumatizzato che ci sia. Volevo che Reacher fosse senza preoccupazioni, felice della vita che ha scelto di condurre, ma consapevole delle occasioni in cui ha mandato tutto a pu**ane, in cui potenzialmente qualcuno è rimasto anche ucciso. Ma Reacher ha dei rimpianti più che dei traumi, cercherà di correggere il tiro: non potrà riportare in vita la gente o rivedere il suo passato, ma punire le persone che hanno fatto del male sì.

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Com'è cambiato il tuo rapporto col personaggio in quasi trent'anni, specie oggi che te ne occupi esclusivamente per la serie e a livello letterario l'hai lasciato nelle mani di tuo fratello?

Per me chi crea un personaggio o una saga duratura, arrivato a un certo punto del percorso punto dovrebbe abbandonare ciò che ha ideato. Come scrittore dovresti desiderare con tutto te stesso che il tuo personaggio appartenga ai lettori. Per me è così con Reacher. Prima è appartenuto ai lettori, adesso a chi segue la serie Tv. Non è più mio. Non è un distacco semplice, ma devi comunque desiderarlo.

Scrivere un libro e scrivere per cinema e TV sono cose differenti. Reacher era già stato adattato per il cinema con i due film con Tom Cruise e prima di diventare uno scrittore hai lavorato per importanti emittenti televisive inglesi. Queste esperienze, come hanno plasmato il tuo rapporto con i moderni ritmi e tempi televisivi delle serie streaming?

C'è una differenza molto radicale che ruota tutta intorno alla durata. Un film, come quelli con Tom Cruise, propone 90, 120 minuti di “contenuto”. Con la TV streaming la durata è esponenzialmente maggiore e questo ti consente di modulare meglio i momenti d'azione a quelli più riflessivi. Nel complesso, le serie TV in streaming sono qualcosa di simile a un libro e penso che nessun autore preferirebbe un film a una serie per un qualche adattamento. Infatti, i due film con Cruise sono figli di un accordo che era stato siglato nel 2005 quando la Tv streaming non esisteva.

Parli anche di modalità di fruizione?

Il binge watching è come leggere un libro. Hai presente? Stai leggendo un libro che ti coinvolge incredibilmente e pensi “Leggo solo un altro capitolo!”, lo finisci e ne leggi un altro e poi un altro. All'improvviso sono le 4 del mattino e devi andare al lavoro dopo tre ore. Con il binge watch è lo stesso. Ti metti seduto e pensi “Mi guardo solo un paio di puntate” ma ti ritrovi a guardarne cinque.

Risiedi negli Stati Uniti da tanto tempo, ma sei europeo come me. Quando ancora non vivevi negli USA come hai lavorato alla scelta dei posti dove ambientare le varie storie di Reacher?

È stato un processo stimolante per me perché, per quanto assurdo possa sembrare, le radici di Reacher sono essenzialmente europee. L'Italia, l'Inghilterra, la Germania in particolare, sono tutte nazioni che hanno personaggi come questi nella loro storia letteraria. Pensa a Robin Hood, ai Cavalieri erranti, allo straniero misterioso. Sono tutti archetipi letterari europei. Tutti personaggi calati spesso nel contesto di un territorio sconosciuto e pericoloso. Posti che esistevano davvero. Pensa alla Foresta Nera in Germania e ai suoi pericoli, a buona parte d'Inghilterra, il sud dell'Italia. Posti non troppo evoluti e molto pericolosi nel medioevo.

E ora invece?

Ora è diverso. L'Italia è così moderna e densamente popolata da Nord a Sud, così come l'Inghilterra e la Germania. Dove puoi trovare posti sterminati e selvaggi oggi? Solo in America. Per questo la storia di Reacher poteva essere ambientata solo lì. È pure molto divertente perché gli USA vivono di contraddizioni: ci sono località universalmente conosciute come Los Angeles, New York, Boston, Chicago o Washington, ma anche aree sterminate, disabitate, pericolose. Il mito della frontiera c'è ancora. La terza stagione si svolge nel Maine. Uno stato a nord, che si affaccia sull'Atlantico. È freddo, grigio, roccioso, molto diverso da altre zone d'America.

L'America è cambiata molto da quando è uscito il primo libro di Reacher quasi trent'anni fa. Osservando questo personaggio caratterizzato da un senso di giustizia così forte, sempre pronto ad aiutare chi è più debole o ha subito un torto, non pare rappresenti un'America che non esiste più?

È una domanda molto intelligente. Per persone come te e me che hanno osservato e conosciuto l'America dall'Europa, forse non è mai esistita davvero. È sempre stata un mito, una leggenda. Un'immagine che si siamo creati da soli a nostro uso e consumo e dalla quale ci siamo sentiti fortemente attratti. Nella realtà dei fatti è cambiata molto e in quella che è la mia personale esperienza è stato davvero l'11 settembre a sconvolgere tutto. Prima di quel giorno gli USA erano un posto spensierato, allegro, ottimista, alquanto ingenuo oserei dire. L'11 settembre ha rimosso buona parte di quell'ottimismo che la contraddistingueva, ucciso l'ingenuità delle persone che sono diventate più ciniche e scoraggiate. È il punto di partenza che ha reso l'America il posto che è oggi. Se quell'America ideale di cui ci siamo innamorati noi europei è mai davvero esistita, ormai è qualcosa che non c'è più.

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Reacher è senza peli sulla lingua. Alan Ritchson non ha mai nascosto di essere un fervente cristiano e che, in quanto tale, non abbraccia certe politiche trumpiane perché per lui essere cristiano significa davvero amare qualunque persona con tutto sé stesso. Con tutto ciò che ne è conseguito a livello di polemiche da parte della frangia dei conservatori. Ti preoccupa il fatto che la serie potrebbe perdere potenziale pubblico per uscite del genere?

Personalmente sono molto felice che Alan possa dire quello che vuole. Io faccio lo stesso. Sono felice quando la gente esprime liberamente il suo pensiero. Sempre per esperienza diretta, posso dirti che in genere chi ti critica tende a essere tutto fumo e niente arrosto. Ho scritto un libro tempo fa intitolato Nothing to lose (12° romanzo della saga di Reacher, ndr.), era molto critico circa il coinvolgimento statunitense nella guerra in Iraq. L'estrema destra americana non la prese bene, secondo quanto venne scritto al tempo ero stato “cancellato”, nessuno avrebbe mai più comprato un mio libro. Mi pare che non sia accaduto nulla di tutto ciò. Ma posso anche citarti casi individuali. Ricevo tantissime lettere di gente che dice di odiarmi, di detestare quello che scrivo e che esprime apertamente il desiderio di volermi prendere a botte. In genere rispondo “Va bene, ti posso dire quando e dove vederci”.

Sei di Birmingham, non te la fai di certo addosso per cose come queste.

Esattamente. Non sono uno che si tira indietro, a differenza di chi mi dice quelle cose.

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