L’Arte della Gioia, Tecla Insolia: “Modesta vive una sessualità implacabile, con lei ho attenuato le mie insicurezze”

Il nome di Tecla Insolia è uno di quelli che difficilmente si dimenticano, un nome che ha in sé un qualcosa di antico e di magnetico. Anche la protagonista dell'Arte della Gioia, la serie tratta dall'omonimo romanzo di Goliarda Sapienza e diretta da Valerio Golino, i cui episodi sono disponibili su Sky e NOW ogni venerdì dal 28 febbraio, ha un nome, Modesta, che stride con l'esplosione emotiva che emana tanto tra le pagine che sulla scena. Un lavoro intenso, quello portato sullo schermo dalla 21enne che, finora, si è cimentata in ruoli sfaccettati, particolarmente introspettivi che le hanno dato modo di diventare altro da sé. L'attrice racconta di aver desiderato questo ruolo, immaginando di potergli dare quelle sfumature necessarie per raccontare una femminilità dirompente, a tratti diabolica e disturbante, una giovane donna come raramente sono state raccontate in letteratura che sullo schermo trascina lo spettatore in un gioco di attrazione e repulsione. È così che Tecla ci porta per mano negli abissi della sua spregiudicata e ribelle Modesta.
Modesta è un personaggio raro, di quelli che non si incontrano spesso. Valeria Golino l'ha definita un'antieroina, se scardinassimo l'accezione eroica e la definissimo drammaticamente umana?
Credo che Valeria descriva questo personaggio come antieroico perché è indefinibile. Lo è per il tipo di invincibilità che ha Modesta, perché riesce ad ottenere tutto ciò che desidera a discapito di tutto. È animalesca per me, d'altronde è pur sempre un'assassina. Le sue azioni sono mosse da necessità, reitera i comportamenti che ha imparato e con i quali è riuscita a liberarsi. La definirei solo umana, perché per le cose terribili che le succedono, è invece piena di vita, di gioia.
La serie come il libro raccontano lo stupro che Modesta subisce da suo padre e sembra quasi che lei non ne abbia paura, ma che lo aspetti. È un modo dissacrante di affrontare la tematica.
La prima pagina del romanzo racconta una scena di Modesta bambina che si masturba, ascoltando le urla della sorella down chiusa nello stanzino. Partiamo da una dissacrazione spietata. Poco dopo c'è l'incontro sessuale tra lei e Tuzzo, quindi è una bambina che ha appena scoperto qualcosa di sé e ha la vorace curiosità di studiarlo. Quando le arriva di fronte quest'uomo bellissimo, che si oppone alla madre, alla sorella come lei, vede una somiglianza. Dopo lo stupro, però, lei reagisce rivoltandosi, è come se questa cosa terribile non la bloccasse, pur essendo lei una bambina.
Pensi che la reazione a cui assistiamo si discosti da quella in cui ci si potrebbe imbattere dopo un evento del genere?
Sì. L'atteggiamento che ha nei confronti del sesso e del suo piacere fisico, la spingerà sempre oltre. Diventa implacabile. Penso che Valeria sia stata molto elegante e allo stesso tempo spietata nel raccontarlo. È un'immagine che turba e per stemperare quel momento, togliere scabrosità, io e Viviana (Modesta bambina ndr.) abbiamo girato la stessa scena, quindi è come se la violenza fosse subita anche da Modesta adolescente.

Modesta è un personaggio che sente molto il suo corpo, centrale nel racconto. Ma il vero traino dello spettatore sono i suoi occhi. Cosa c'è in quello sguardo?
È stata una scelta stilistica quella di guardare dritta in camera, è stato un modo per voler riportare umanità al personaggio. Mi dava tantissima forza, era come se mi stessi specchiando, come se Modesta parlasse a se stessa. Gli occhi sono un filo che connette gli amori e le passioni di Modesta. Tutti i personaggi che incontra, forse in contrapposizione con lei, hanno infatti gli occhi azzurri. Poi, gli occhi raccontano una tristezza e al tempo stesso un'esperienza di vita che a parole probabilmente non si riuscirebbe a fare.

Cos'è la spregiudicatezza per te?
Spregiudicatezza è andare contro tutto, contro il potere, il giudizio che hanno gli altri su di te. È un atteggiamento che comporta una reazione non prestabilita e Modesta è un personaggio che fa tutto e il contrario di tutto.
Quanto è spregiudicata Tecla?
Nella mia vita penso di essere molto limitata dalle mie insicurezze, poco predisposta a fregarmene di non essere accettata, anzi, è uno dei motivi per i quali si prova ad esprimersi attraverso un mestiere artistico. Quando lavoro, infatti, sono spregiudicata o almeno quando ho avuto la possibilità di esserlo.
Guardando Modesta, ma anche Bianca nel film l'Albero e altri ruoli interpretati finora, sembra che abbiano assecondato il lato più profondo della tua personalità. Sei d'accordo?
Spererei di essere un po' come i personaggi che ho interpretato fino ad oggi. Ho avuto la possibilità di esplorare, di diventare cose che non saprei essere se fossi stata da sola, se non avessi fatto questo mestiere. È meraviglioso poter diventare altro da te. Ho avuto la fortuna di interfacciarmi con dei ruoli non disegnati su di me, in quanto ragazza timida, composta, responsabile. Ed è un aspetto magico per me.
Cosa vorresti indagare di te, allora?
La fermezza. Mi piacerebbe poter entrare in contatto con quella parte di me che rimane ferma davanti alle cose che succedono, vorrei interpretare un personaggio che non si muove, che è capace di parlare attraverso un minimo movimento facciale.
Desideravi con tutta te stessa questo ruolo. Cosa pensavi di poter dare a questo personaggio?
Non saprei dire cos'è che mi spingeva verso questa persona così distante da me, credo sia frutto della mia grande curiosità. Poi ho pensato che questo ruolo fosse legato anche al mio aspetto. So di non assomigliare al tipico canone estetico che vige oggi, conosco le mie asimmetrie e mi piaceva pensare che nel racconto di un personaggio così controverso, avere una faccia un po' obliqua, come l'ha definita anche Valeria, fosse qualcosa in cui credere. Per la prima volta ho sentito che la mia incongruenza estetica potesse dare un valore in più, andare oltre quei canoni estetici che ci vengono imposti.

Una serie come l'Arte della gioia porta con sé una tensione sottile che si percepisce in ogni episodio, la figura femminile è raccontata quasi come demoniaca, un po' torbida. Quali reazioni pensi possa suscitare in chi la guarda?
Spero possa suscitare reazioni contrastanti. Spero che un giorno ci si possa riconoscere in un certo tipo di libertà, accettare che l'essere umano sia fatto in modi diversi. Mi piacerebbe che risvegliasse un po' di ribellione, coscienza di sé. Modesta non è un personaggio edificante, non fa cosa che possono essere replicate, ma libera dal senso di colpa, e a volte trovo sia molto bello.
E in te cosa si è risvegliato?
Ho preso coscienza di me, ho imparato -poco- a riconoscermi un valore, a riconoscere le cose che siamo in grado di fare se veniamo guardati da chi ci vede, da chi ci dà e da chi ci ama e ci conosce. Modesta ha risvegliato in me una concessione che non riuscirei a darmi, nel pormi alla vita mitigando il senso di colpa.
Rifacendoci al titolo della serie e del libro di Goliarda Sapienza, oggi cos'è che ti regala gioia?
Oggi, come spero rimarrà per sempre, amare quello che faccio, le persone che mi circondano, il mio lavoro. Senza cadere nella banalità, mi dà gioia condividere qualcosa con qualcuno, ma anche con te stessa, con il lavoro che stai facendo, riconoscerti le cose, imparare. Forse tra dieci anni saprò rispondere anche meglio (ride ndr.)
Curiosando tra i tuoi social, di cui non sei un'assidua frequentatrice, si nota una certa tendenza alla scrittura. Che valore le dai?
La scrittura ha un valore molto alto per me, anche se non penso di saper scrivere bene. Per quanto riguarda i social non sono capace di usarli, non mi interessa quel tipo di esposizione perché prende molto potere sulla tua vita. Quando li uso, lo faccio pubblicando cose mirate, che facciano trasparire che dietro quella foto c'è una persona che sta pensando, provando qualcosa.
Hai appena 21 e una bella carriera davanti e alle spalle, l'aver iniziato ragazzina ti ha privato di qualcosa che avresti voluto?
Sì, non lo dico rammaricandomi, è una cosa che prendo come certa, ho perso delle cose perché ne ho avute delle altre, ma hanno costruito la persona che sono oggi. La me di 14-15 anni che si ritrova a cantare al Festival di Sanremo magari non era cosciente di quello che stava facendo, ma non sento di essere stata impreparata. Ho imparato a dosare l'aspettativa, ad utilizzare la paura come risposta, a trasformarla in qualcosa che poi lasciavo andare fuori da me, traslavo in altro. Sono contenta di quello che ho fatto, anche nelle difficoltà, nelle sofferenze che mi ha potuto provocare quando ero più piccola, che mi provoca tutt'oggi.
E, nonostante questo, puoi dire di essere felice?
Sì, oggi posso dire sono felice.