Laetitia Casta: “Non sono responsabile della mia bellezza. La terapia mi ha aiutata a convivere con i miei problemi”

Laetitia Casta è al cinema con Una storia nera dal 16 maggio. Fanpage.it l’ha raggiunta a Roma per questa intervista: “L’amore non ha nulla a che fare con la violenza di genere, c’è una gran voglia di cambiamento”. E sulla sua evoluzione personale: “Non sono responsabile della mia bellezza. La terapia mi ha aiutata a convivere con i miei problemi, ma non li ha cambiati”.
A cura di Eleonora D'Amore
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Laetitia Casta è al cinema con Una storia nera dal 16 maggio. Tratto dall’omonimo romanzo di Antonella Lattanzi, per la regia di Leonardo D'Agostini, vede la nota attrice francese protagonista e nel cast con Andrea Carpenzano, Cristiana Dell’Anna, Lea Gavino, Mario Sgueglia, Giordano De Plano e Licia Maglietta. Una storia nera parla di violenze domestiche e femminicidi, che non accennano a diminuire.

La storia di Carla, vittima del marito Vito, che la picchia quotidianamente, anche davanti ai tre figli Nicola, Rosa e la piccola Mara. Un giorno, Vito verrà trovato morto e da quel momento inizierà un lungo processo a carico di Carla, accusata della sua uccisione. Un processo che ha toni duri e tinte fosche, durante il quale il posto più scomodo alla sbarra sarà riservato a lei. Fanpage.it ha incontrato Laetitia Casta a Roma in occasione della presentazione del film per parlare di violenza di genere e di possibilità di cambiamento, "in Italia come in Francia e ovunque nel mondo", ma anche della sua carriera da supermodella e attrice mai animata da vere ambizioni: "Mi lascio guidare con incontri, con progetti, con il cuore e lo so che se io seguo il mio cuore non mi posso sbagliare. Sto lavorando sulla scrittura adesso".

“Una storia nera” come il colore dei femminicidi e della violenza domestica che non accennano a diminuire. 

Non è attuale attuale, non è una cosa nuova, è una cosa di cui adesso parliamo di più. Perché c'è più che bisogno di farlo. C'è una grande voglia di cambiamento, anche in Francia e Spagna, ovunque.

Il tuo è un personaggio che la fa sua (quella situazione di violenza, ndr) per un periodo della vita e poi la respinge totalmente, come accade molte volte.

Il marito Vito mette in funzione una forma di manipolazione che invalida il suo essere dritta, forte, luminosa, in gamba, indipendente. È una cosa che può capitare a tutti, anche a me. Quando l'uomo arriva e ti chiede scusa, ti dice che gli dispiace, che non sa cosa gli è preso e tu per amore rispondi: “Ok, per questa volta va bene”. Poi si ricomincia e tu ti senti in colpa d'avere accettato tutto questo e perdi fiducia in te. Il predatore ti isola, non hai amici né lavoro, sei preoccupata per i figli, ti ritrovi in una situazione psicologicamente di fragilità e non sei più tu. Non stai accettando questa situazione, la stai subendo.

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Vito Semeraro, che è appunto tuo marito nel film, è inizialmente innamorato e molto premuroso, poi, una volta sposati, diventa un mostro con la fede al dito. Come cambia l'amore contaminato dalla violenza e dall'abuso?

Non credo che l'amore abbia a che fare con la violenza fisica. Spesso ci si nasconde dietro i vari ‘perché ti amo', ‘perché ho paura di perderti', ‘perché sono geloso', ‘perché ti amo troppo'. Questo non è giusto. Non ha niente a che fare con l'amore, parliamo di malattia mentale.

La donna a volte è sottoposta a un processo molto più feroce di quello al quale viene sottoposto l'uomo, che è il carnefice. Secondo te quali sono i motivi che incidono ancora così tanto in un giudizio così forte sulla donna, che invece è vittima?

Perché quando una persona muore, c’è sempre bisogno di un tempo del Tribunale, della giustizia, per capire cosa è successo. C’è gente che va in prigione per niente, tutti abbiamo il diritto di essere difesi. Probabilmente il nodo si crea quando le donne chiedono aiuto la prima volta alla polizia ma non vengono prese in considerazione. Non essere prese in tempo, è lì il problema.

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Soprattutto poi se ci sono dei figli anche piccoli, incapaci di poter capire che cosa sta succedendo e di accettarlo. La tutela dei figli in questo film è molto centrale quanto il tema.

È molto centrale perché sono dinamiche diverse. Carla vuole proteggere i figli, i figli vogliono proteggere la loro mamma, sono tutte dinamiche familiari complicate.

Nel film reciti in italiano, hai detto che hai anche migliorato l'italiano facendo Sanremo. Cos’altro ti ha avvicinato così tanto all'Italia e ti spinge a tornarci anche con così tanto trasporto?

Sono le radici che ho, della mia bisnonna. E della Corsica, che è una cultura mediterranea molto diversa. Da francesi, la vediamo come una mentalità diversa. Io poi, per esempio, gesticolo quando parlo, muovo le mani come voi. Sono poco parigina in questo, non sono snob.

Che cos'è che ti completa, che trovi in Italia che in Francia non c'è?

La vita epicurea e anche l’essere in famiglia, un modo di esprimere i sentimenti molto più diretto.

Ti contraddistingue una grande ironia e sembra che prenda il sopravvento su una bellezza che è assolutamente innegabile. È così?

Sì. Io mi vedo come uno schermo bianco e tutti vi proiettano i loro fantasmi, se non rido da questo (ride, ndr). E poi io non sono responsabile per il mio aspetto fisico, sono responsabile delle scelte che faccio al cinema e al teatro. Questo è ciò che conta di più.

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C'è una qualità che pensi di avere e che però pensi sia ancora passata inosservata?

Anche i difetti con il tempo diventano qualità. Il fatto di non mollare mai la presa sulle mie idee o sulle cose in cui credo, che voglio, all'inizio è stato considerato come un carattere difficile, adesso rappresentano la mia forza.

È un momento storico in cui la salute mentale è diventata un tema imprescindibile per l'essere umano. Non hai mai fatto segreto del tuo desiderio di indagare te stessa attraverso la psicoanalisi. In cosa in particolare senti di essere stata aiutata con la terapia?

Ho fatto dieci anni di psicanalisi e ho notato, personalmente, che mi ha aiutata a vivere con i problemi, ma non li ha cambiati. Adesso ci posso convivere, li capisco, ma la cosa più interessante per me è stato un lavoro più spirituale e profondo. Ho capito che è fondamentale amarsi.

Da supermodella ad attrice, un percorso fatto di diversi step professionali. Ne manca uno in particolare che vorresti si realizzasse?

Non sono una persona ambiziosa, non c'è un’immagine della carriera che vorrei. Mi lascio guidare con incontri, con progetti, con il cuore e lo so che se io seguo il mio cuore non mi posso sbagliare. Sto lavorando sulla scrittura adesso.

Appartieni ad una generazione che credeva nella gavetta e la usava per formarsi al meglio. Cosa suggeriresti oggi a modelle e influencer che hanno invece una popolarità immediata, molto alla portata di un click?

C'è tanta gente che vuole essere famosa per aver soldi subito. Io sono stata mossa dalla passione per il lavoro. Ma non sono radicale sulle cose, non mi esprimo mai dicendo ‘ah, ai miei tempi si stava meglio'. L’unica cosa che vedo distorta per le giovani è questa ostentazione su Instagram di vite perfette che non esistono, che generano varie forme di depressione, perché ad alcune innesca il pensiero su quanto la loro vita possa essere inutile.

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