Il Patriarca, Gianluca Zaccaria: “L’amore tra due uomini come normalità, Claudio Amendola ci teneva”
Gianluca Zaccaria è il giovane attore che in queste settimane sta tenendo attaccato allo schermo il pubblico di Canale 5 con il personaggio di Alessandro Buscemi ne "Il Patriarca", la serie diretta e interpretata da Claudio Amendola. Da quando aveva 17 anni sognava di fare l'attore e ora che ne ha 28 si può dire che passo dopo passo, questo desiderio si sia trasformato in una realtà che sta prendendo una forma definita e riconoscibile. Da ruoli impegnativi come quello di Roberto Peci nella fiction "Il Nostro Generale" su Dalla Chiesa, o in "Esterno Notte" con Marco Bellocchio, in futuro non esclude la possibilità di allargare i suoi orizzonti: "Quanto prima andrò a Parigi, voglio studiare e sapere qualcosa in più sulla cinematografia francese. Soprattutto non voglio smettere di migliorarmi".
Il tuo personaggio è quello di Alessandro Buscemi, un ragazzo generoso, ma profondamente tormentato. È lo specchio di Gianluca, o solo una parte?
Il personaggio di Alessandro è molto complesso, è un altruista cronico. Di me in lui c’è un senso di responsabilità e anche un profondo senso di giustizia, ma siamo molto diversi. Il suo tormento viene dalla ricerca costante della persona che ha assassinato suo padre e dalla dedizione verso una relazione che, sotto alcuni punti, è disfunzionale.
Infatti sei il fidanzato di Carlo (Carmine Buschini) e la vostra storia viene presentata come un dato di fatto. Non c'è una scoperta, o la necessità di rivelarla, un aspetto diverso rispetto a quanto si vede in molte fiction in prima serata. Questa scelta ha contribuito ad avvicinare il pubblico?
È stato sicuramente un valore aggiunto. Il fatto che loro stiano insieme rientra nella normalità, questo mi ha permesso di concentrarmi sulla costruzione del rapporto tra Alessandro e Carlo, perché nonostante i problemi e le differenze, Alessandro ne è innamoratissimo. È una cosa espressamente voluta da Claudio (Amendola), ci ha chiesto di sviluppare la relazione e poi il percorso narrativo dei singoli personaggi.
Secondo te, la ritrosia nel rappresentare relazioni omosessuali nella loro normalità, soprattutto nei prodotti tv, deriva da un pregiudizio nei confronti del pubblico?
In realtà, ultimamente, c’è una grande apertura da questo punto di vista. Quello che interpreto con Alessandro Buscemi, ad esempio, non è il mio primo ruolo omosessuale. Il riscontro delle produzioni è notevole, ma la verità è che il pubblico è sempre stato pronto.
La fiction è diretta da Claudio Amendola. Per chi è abituato a vederlo in veste d'attore, cos'è che caratterizza la sua regia?
Claudio Amendola è stato un regista divertente quando poteva esserlo, ma anche molto pragmatico. Arrivava sul set e aveva già in mente come posizionare la macchina, come voleva che gli attori interpretassero quella scena. Mi sono sentito molto valorizzato da lui, ha dato fiducia ad ognuno di noi e ha curato nel dettaglio la relazione tra regista e attore.
Quindi puoi dirti soddisfatto del lavoro fatto?
Non riesco mai ad essere soddisfatto fino in fondo, credo sia un modo per continuare a migliorarsi. Non parlo né del prodotto, né di come sia scritto il personaggio, ma dell'effetto che ho avuto rivedendomi: ho potuto discernere le sensazioni, riconoscere una cosa giusta che posso tenere, un’altra magari no. È una cosa che impari studiando e ricevendo feedback continui.
C'è qualcosa del tuo percorso di studi di recitazione che cerchi di non dimenticare mai, che magari ti aiuta ancora?
Ho studiato al Centro Sperimentale e lì hai la possibilità di vedere diversi metodi di recitazione, poi in base al tipo di attore che sei e a quello che vuoi diventare attingi da uno piuttosto che dall'altro. Ogni set ti mette in gioco in maniera diversa e questa è una cosa che ho potuto imparare solo studiando, sperimentando.
Questo inverno è andata in onda la fiction Il Nostro generale, in cui hai dovuto interpretare un personaggio realmente esistito. Hai avvertito la responsabilità di dover essere fedele alla realtà storica?
Interpretavo Roberto Peci, per farlo ho studiato dei video in cui parlava, ho letto documenti, visto documentari che raccontavano della storia cruentissima dei Fratelli Peci. L'approccio è stato diverso, perché non ho dovuto creare un personaggio, ma rapportarmi con una persona realmente esistita, mi sono innalzato. È stato splendido mettersi al servizio di una storia così drammatica, però i giorni prima dell'uscita ero particolarmente in ansia, temevo di scoprire cosa avessi fatto.
In questi anni c'è stato un aumento considerevole tra remake, ricostruzioni storiche e nuove produzioni seriali, televisive e cinematografiche. Questo significa che fare l'attore è diventato più semplice?
È senza dubbio un periodo florido, con le piattaforme streaming così attive, si è creato più lavoro. Ma non sempre è facile. Il punto è che non saprei dire se la qualità di tutti i prodotti sia buona o meno.
Hai scelto consapevolmente di intraprendere questa carriera o, come è successo in molti casi, ti è capitato?
L’ho scelto a 17 anni. Ho fatto un corso di recitazione e ho visto che questa cosa mi corrispondeva, mi piaceva tantissimo. Mi avevano parlato del Centro Sperimentale, ho fatto di tutto per entrare, e ce l'ho fatta.
La difficoltà più grande che hai incontrato da quando hai iniziato questo percorso?
La difficoltà più grande sono le attese tra un progetto e l’altro. Finisci un lavoro e non sai quando inizierai il prossimo, non sai se arriveranno provini, se li vincerai. Aspettare è stata la cosa più snervante, però mi ha dato anche la possibilità di capire delle cose di me, di sviluppare altre skills.
Ad esempio quali?
Anche scrivere, dedicarmi a degli sport che mi piacciono, all’arte in generale, a come credo di potermi esprimere come artista. Non ho ancora una risposta. È chiaro che inizi a farti delle domande, un artista può avere diverse forme espressive e quando hai di fronte un orizzonte nebuloso, devi cercare di accendere dei fari antinebbia per vedere cosa c’è davanti a te. Poi ho capito qualcosa in più sul mio approccio con l’attesa, col tempo.
E ora ti è un po' più chiaro che tipo di artista, di attore, vorresti essere?
Un attore come potrebbe essere Daniel Day Lewis che riesce ad essere credibile in una caratterizzazione completamente diversa alla sua personalità, o rispetto al film precedente. Mi piace l'idea di immergermi totalmente nel personaggio uscendo da me, per conoscere altri mondi, tipi di sensibilità.
Parafrasando Paolo Sorrentino e Antonio Capuano: tu ce l'hai qualcosa da raccontare?
Sì, ce l’ho, poi è anche qualcosa di inconscio. Sento questa spinta a voler raccontare qualcosa del mio vissuto, portarlo in un personaggio e in una storia, farmi anche raccontare qualcosa da quella esperienza seriale o cinematografica che sto vivendo.
Che rapporto hai con l'idea della popolarità?
Ho l’esempio di Matteo Paolillo, che è un mio caro amico e sta vivendo questo boom. Io non lo vivo in prima persona, ma so bene quello che sta provando lui. È una cosa a cui non penso, non faccio film o serie per diventare famoso, quello non mi è mai interessato. Forse da un lato ti rende meno ambizioso, però non mi piacerebbe l’idea di precludermi qualcosa nella mia vita privata per una questione di popolarità.
E con i social? Ormai sono imprescindibili per essere "riconosciuti".
Ho un rapporto controverso, da un lato sono consapevole che sono imprescindibili dall’altro vorrei tantissimo che non lo fossero. Non sono del tutto pro social, sono un’arma a doppio taglio. Il mio obiettivo sarà cancellarmi appena potrò, anche lavorativamente parlando.
Ho letto che uno dei motivi che ti ha spinto a fare l'attore, è stata l'emozione che hai provato vedendo Heath Ledger in Batman. Quell'emozione ce l'hai ancora?
Mi capita spesso quando vedo un film di risentire quella sensazione ed è una cosa che mi nutre. Sul set di Dalla Chiesa è successo, nelle scene finali, di sentire quel groviglio di emozioni che ti legano a questo mestiere in maniera così profonda. C’è stato un periodo in cui ero un po' assuefatto, ma ultimamente la sento. Ma credo sia fondamentale, ci deve essere, altrimenti diventi un esecutore e non voglio esserlo, vorrei veicolare delle emozioni.
Una cosa che ti fa commuovere?
Il pensiero di mio nonno, quello mi fa ancora commuovere, è venuto a mancare tanti anni fa, ma lui sì è una persona che mi crea una forte commozione.
Ritorniamo al punto di partenza, una seconda stagione del Patriarca visto il successo della prima, ci sarà?
Penso di sì, non è una cosa che posso dire con certezza. Godiamoci queste puntate, poi vediamo.