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Giuseppe Maggio è Bertolucci in un film: “L’ho giustificato per la scena del burro, oggi non sarebbe possibile

Intervista a Giuseppe Maggio, che nel film Maria di Jessica Palud presentato a Cannes, interpreta un giovane Bernardo Bertolucci. L’attore racconta il suo cambiamento, le sue ambizioni e anche la volontà di volersi migliorare, facendo anche scelte fuori dal comune.
A cura di Ilaria Costabile
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L'emozione della prima volta a Cannes si sente ancora dalla voce di Giuseppe Maggio che raggiungo a telefono, ad appena un giorno dalla proiezione di Maria, il film di Jessica Palud, che racconta la storia che si nasconde dietro le riprese di Ultimo tango a Parigi, film iconico di Bernardo Bertolucci, interpretato proprio dall'attore 31enne. Un ruolo diverso da quelli interpretati finora, che si scontra anche con la scomodità di certe scelte, che hanno destato negli anni non poche polemiche.

Il cinema è fatto di riflessioni e mira a generare dibattiti, ma spesso è anche amplificatore della società in cui viviamo, come d'altronde è stato proprio per la controversa pellicola con protagonista Marlon Brando. Giuseppe Maggio, quindi, racconta come lui stesso è riuscito a misurarsi con la necessità di dover cambiare, di fare compiere dei passi che gli assicurassero un salto nella sua carriera che, spera, possa essere sempre più internazionale.

Impressioni della tua prima volta a Cannes. 

È stato scioccante. In senso positivo, ovviamente, da un punto di vista umano è stato bellissimo perché è un sogno che si realizza, ancor di più portare un film come questo, che dopo la proiezioni ha ricevuto oltre 10 minuti di applausi. È stato molto emozionante, ha superato le aspettative, perché poi magari si cerca sempre di non caricarsi troppo, per non restarci male.

Questo film racconta la storia di Maria Schneider, parlando anche di quello che a tutti gli effetti è stato un trauma, relativo alla famosa scena del burro in Ultimo tango a Parigi. Ma, possiamo dire che sia anche un film dove è evidente la disparità di genere nel cinema?

Innanzitutto credo che il film vada contestualizzato, nel 72 quando è stato girato Ultimo tango a Parigi, la società era molto diversa da quella di oggi. Il Novecento è stato un secolo supersonico dal punto di vista dei cambiamenti e in quegli anni ci sono state tante lotte, rivoluzioni, nel pensiero, nella forma, ma la società dell'epoca era ancora fortemente patriarcale, figlia degli anni della guerra e del dopoguerra. Quando il film arrivò in sala, la polemica nacque non tanto per quella che era, a tutti gli effetti, una violenza su una donna, ma per la sodomia, fu quella che scandalizzò. Anche questo è indice di come la disparità di genere fosse intrinseca nella società di allora, oggi sono stati fatti passi avanti, ma c'è ancora tanto su cui lavorare.

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Ad ogni modo una scena come quella imposta da Bertolucci a Maria Scheinder oggi sarebbe impossibile. Anche perché, fortunatamente è stata introdotta una figura che tutela gli attori dal punto di vista della sessualità. 

Sì, anche sul set di Maria c'era un intimacy coordinator, che si è occupata di tutelare la figura dell'attrice protagonista, ma non solo. Rappresenta un garante, ed è presente anche nella serie che sto girando per Netflix, Playmen, sulla nota rivista erotica e durante scene più esplicite è stato fondamentale confrontarsi con qualcuno che abbia queste competenze.

Esplicite a che livello?

Beh, io stesso, ad esempio, ho realizzato il mio primo nudo integrale in questa serie e sapere di avere una figura come l'intimacy coordinator mi ha trasmesso tranquillità, sebbene non ce ne fosse bisogno perché sto avendo la fortuna di lavorare su un set con grandi professionisti, quindi non ho mai sentito imbarazzo o difficoltà.

Parlando di scene esplicite, quanto possono essere giustificate, secondo te, le scelte dei registi?

Nel realizzare il mio personaggio ho dovuto da una giustificazione alla scelta che ha messo in atto, perché altrimenti non avrei potuto interpretarlo e sono partito da un'intervista che Bertolucci ha fatto in cui ha detto di sentirsi in colpa per aver realizzato quella scena in quel modo, ma che lo avrebbe rifatto, perché lui voleva che lei vivesse, in quel momento, quelle sensazioni. Il mio punto di vista l'ho messo da parte, ma è giusto creare un dibattito, una riflessione. Però, quando si lavora con attori preparati, penso siano in grado di trasmettere qualsiasi emozione, senza doverle necessariamente vivere in quel momento, sarei favorevole a dare fiducia agli attori, al loro talento.

Tornando a Bertolucci, essendo stato un'icona del cinema, che impostazione hai voluto dargli?

La determinazione. Ho cercato, soprattutto nelle scene più delicate, di non trasmettere soddisfazione, magari di nasconderla, facendo capire che il fine giustifica il mezzo, ma non è qualcosa fatto con crudeltà. Ho mostrato come lui volesse portare avanti il suo pensiero, dandogli forma nel suo film. Bertolucci ha sempre voluto distruggere l'organismo sociale borghese, che qui si reincarna nel corpo dei due attori, specialmente quello di Maria, che quasi viene calpestato.

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La sregolatezza aiuta a creare qualcosa che resti?

Andrebbe fatta una riflessione più ampia. La sregolatezza priva di contenuto, non rimane. Ultimo Tango a Parigi credo sia un grandissimo film, perché contiene una serie di argomenti, divisioni, pensieri, che poi sfociano nella sregolatezza, ma la sua base è molto più solida. È sempre il discorso tra superficie e contenuto, la sinergia tra le due cose è fondamentale.

Finora, nella tua carriera, hai spaziato facendo film di vario genere. C'è un obiettivo che ti sei prefissato da quando hai iniziato a fare questo lavoro?

Ho sempre cercato di essere onesto con me stesso, la mia è una carriera fatta anche di tanti film mediocri, ma è importante anche riconoscerlo. Bisogna ammetterlo a se stessi, anche quando non si è bravi, perché é il primo passo per migliorare, per non restare impantanato. Il mio obiettivo, quindi, è sempre stato fare meglio.

Fare l'attore significa sottoporsi a dei provini in cui spesse volte, non è il talento a determinare il fatto che si possa ottenere o meno la parte, ma anche altri fattori come la fisicità. Ti è capitato di dover vivere una situazione di questo tipo? È stato frustrante?

Sì, però anche qui va fatto un ulteriore ragionamento. Per quanto possa essere vero, io ho sempre cercato di porre l'attenzione su me stesso, perché ci sono cose che rientrano nella nostra sfera di competenza e abbiamo la possibilità di modificarle. Pensare che un regista non mi abbia scelto perché non rispecchiavo certe caratteristiche, significa mettersi su una strada che non ha soluzioni, mentre bisogna abbracciare l'ottica del "come posso essere più convincente la prossima volta?". Spesso non ci si riesce, ma se sei perseverante puoi ottenere ciò che vuoi.

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Pensi che la tua dote migliore sia la perseveranza?

Sì, senza dubbio. Mi sono avvicinato anche a cose lontanissime da me per provare ad ottenere quello che volevo, almeno ci ho provato.

Il tuo lavoro ti mette costantemente a contatto con te stesso, cos'è che hai scoperto di te in questi anni?

Tante cose. In alcuni momenti credevo di essere più forte, ho pensato di dover alzare una barriera più solida, poi ho capito che essere vulnerabili è una cosa positiva. Accettare questa fragilità, questa debolezza, è importante anche se non sono molti a volerla approfondire. Poi, ho imparato una cosa davvero essenziale da questo lavoro.

Cosa?

Sto cercando di lavorarci di più, perché è un aspetto a cui tengo molto. Provo a pensare due, tre volte, prima di parlare o agire, perché la realtà che abbiamo di fronte ha diverse angolature, non è unica, quindi prima di sparare a zero o schierarsi rispetto a qualcosa, credo sia necessario averne una visione più ampia, altrimenti si rischia di cadere nell'errore.

Ti spaventa sbagliare?

Mi spaventa non tanto cadere, quanto perseverare nell'errore. Quando non si ha l'umiltà di capire di aver sbagliato. Non vorrei incappare in questa dinamica, infatti sono uno che quando sbaglia lo ammette subito, come diceva mia madre: "Sbagliare umano, perseverare è diabolico", essendo del Sud, rivango la saggezza dei proverbi.

Percepisco anche una certa severità.

Più che severo sono esigente, da quando in questi ultimi anni ho iniziato ad avere dei risultati più evidenti, gratificanti, allora quando è necessario mi do una strigliata, come se dovessi rimettermi in riga. Però sono anche un po' ca**one (ride ndr.), soprattutto con le persone che amo, perché mi sento libero. Ci sono momenti e momenti, ed è giusto trovare un equilibrio.

Hai lavorato in Francia, in Spagna, hai mai pensato che all'estero possano riconoscerti un talento che in Italia sembra che sia considerato diversamente? Prendiamo il caso di Sabrina Impacciatore. 

In realtà credo che la mia ambizione sia proprio quella di essere un attore internazionale, ciò significa che devi essere riconosciuto in Italia, come Sabrina Impacciatore lo è, però poi devi avere la capacità di fare cose che siano apprezzate in tutto il mondo. Ho avuto la fortuna di lavorare in Francia, la serie a cui ho preso parte è andata bene, poi questo film a Cannes, lavori che sono stati lodati e questo ti fa capire che è la strada giusta da seguire. Ma comunque sarebbe bello poter fare entrambe le cose.

Giuseppe Maggio in Ballo Ballo
Giuseppe Maggio in Ballo Ballo

E prendere parte a delle produzioni ambiziose, come ad esempio proprio Playmen che arriverà su Netflix, pensi possa aprire anche i confini dell'Italia?

Lavorando all'estero e vedendo tante realtà il fatto che siamo bravi è evidente, il confronto lo si fa in maniera automatica, non mi sono mai sentito inferiore a nessuno e non credi nemmeno che i registi, gli attori, le attrici che ci sono in Italia lo siano. Ci sono molti progetti che lo testimoniano, oggi ancora di più, stiamo vivendo un nuovo rinascimento italiano e nomi come Sorrentino, Garrone, Rohrwacher lo testimoniano.

C'è qualcosa di coraggioso che pensi di aver fatto finora? 

Credo cambiare impostazione del mio lavoro, affidarmi a nuove persone. È stato un salto nel buio, un mettermi in gioco, ma sentivo di doverlo fare.

Ti sentivi relegato sempre alla stessa immagine?

Non necessariamente, però è come quando vai in barca a vela e senti che il vento fatica a gonfiare le vele, la colpa può essere di tante persone, però la cosa migliore da fare in quei casi è accendere il motore, spostarsi e poi andare a vela in un secondo momento.

Hai vissuto diverse fasi della tua carriera, ora in che fase sei?

Ho visto tante fasi, quella del grande successo di Baby, che corrisponde ad una fase successiva a dei prodotti, magari un po' più commerciali. Ora protendo per cose che sia un po' più impegnate come questa serie Netflix. Dentro di me sono cambiate delle cose, in meglio.

Giuseppe Maggio in Baby su Netflix
Giuseppe Maggio in Baby su Netflix

E se dovessi farti un augurio quale sarebbe?

Mi auguro che il mio lavoro mi permetta di migliorarmi come persona, a prescindere dalla carriera, credo che ci debba essere una crescita parallela sia personale che lavorativa. Lo vedi lavorando anche con grandi artisti come Matt Dillon, una delle persone più disponibili e umili con cui ho lavorato, ed è un attore gigantesco. Quando c'è il sentore che certi atteggiamenti stanno cambiando, in realtà è perché le cose non stanno andando bene, c'è un problema di insoddisfazione di fondo.

E come si supera l'insoddisfazione?

Guardando se stessi e non gli altri, impegnandosi di più perché le cose possano andare meglio.

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