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Giuliano Peparini: “Ho aperto la mia scuola ma non sfido Amici. Lasciai l’Italia a 16 anni, mi sentivo respinto”

Giuliano Peparini si racconta in un’intervista a Fanpage. La fuga in America, poi la notorietà in Francia e il ritorno in Italia: “Maria De Filippi è stata generosa con me”. Oggi fa spettacoli in tutto il mondo e lancia la sua accademia: “Non è concorrenza ad Amici, al massimo è una preparazione per il talent Tv”. Infine torna sulle molestie subite da giovane: “Allora sembrava tutto normale”.
A cura di Andrea Parrella
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Giuliano Peparini è diventato un grande nome dello spettacolo in Italia con relativo ritardo rispetto al percorso della sua carriera. Come spesso succede in questo mondo, ha dovuto cercare fortuna all'estero. In Italia la sua riconoscibilità presso il grande pubblico è legata soprattutto ad Amici, il talent di Maria De Filippi, dove è stato direttore artistico per sette anni, reinventando l'estetica del programma con i suoi quadri. Oggi che la sua fama è consolidata, ha deciso di fondare una scuola tutta sua, la Peparini Academy, mentre continua lavorare a grandi produzioni internazionali, come quella in Cina, dove sta ideando uno dei più grandi spettacoli acquatici al mondo.

I progetti internazionali proseguiranno nonostante la tua accademia?

Certo, questo progetto è funzionale all'idea di avere una Peparini Academy a livello internazionale, per mescolare culture e arti diverse. Stiamo prendendo accordi anche con la Francia per creare un ponte artistico che consenta ai ragazzi di studiare tecniche differenti.

Escludi quindi di diventare un insegnante fisso nella sua scuola?

Io sono uno di territorio, ogni volta che sarò qui in Italia seguirò i ragazzi per poter insegnare. Nei programmi sono previsti corsi con me e c'è anche una classe special, per ragazzi che entrano con una borsa di studio al 50% che gli consentirà nello stesso anno di avere un contratto di lavoro per collaborare con me.

Mi chiedo dell'effettiva accessibilità della tua accademia. Sarà aperta ai più o solo per chi avrà determinate possibilità economiche?

Ho deciso di rimanere nella media delle altre grandi scuole che ci sono a Roma, non volevo che la mia apparisse come entità astratta. Ciò che guadagno lo guadagno fuori e questo non è un posto attraverso il quale voglia arricchirmi. È il principio che mi ha fatto trovare un'intesa con Beppe Vessicchio (sarà uno dei docenti dell'accademia, ndr) sin dall'inizio, quello di redistribuire e offrire opportunità.

Beppe Vessicchio, tra i docenti della Peparini Academy
Beppe Vessicchio, tra i docenti della Peparini Academy

Hai raccontato di aver lasciato l'Italia a 16 anni. Al tempo era una cosa che potevi permetterti o fu un salto nel vuoto?

A livello economico era un salto nel buio perché io non vengo da una famiglia ricca, ma modesta. Partire per New York, anche se hai una borsa di studio, comporta i costi di alloggio e altre spese complesse da affrontare, quindi fu un azzardo. Ma ero molto determinato, sentivo di avere delle capacità.

Partisti solo?

Mio padre mi accompagnò, per poi lasciarmi lì perché non poteva restare. Tornavo per le feste, a Natale e in estate, ma di fatto vivevo lì. Ero il paracadute di me stesso.

Rischiare fa parte dell'epica del tuo mondo, hai puntato tutto sulla danza.

Mi sentivo bravo nei mestieri dell'arte, nel resto ero una catastrofe, sia a scuola che nello sport. Era un po' scritto che la danza fosse il mio percorso. I miei genitori ci hanno anche provato a farmi fare altro, ma non mi riusciva.

La cultura del musical in Italia non ha mai attecchito troppo. Per questo scegliesti l'America?

Sì e devo dire che funziona così anche oggi, forse perché gli italiani vanno meno a teatro. In America, per cultura, lo fanno con più frequenza. Poi New York all'epoca era un brulicare di esperienze. Quando io sono arrivato molte cose non c'erano, ma in 30 anni c'è stata una crescita incredibile. Era il posto giusto in cui stare.

Poi torni in Europa e trovi la strada giusta in Francia. Come mai proprio lì?

È stato un po' frutto del caso, tornato dall'America fui contattato per un casting in una compagnia di balletto di Marsiglia. Ma posso dire che una volta arrivato in Francia ho iniziato a conoscere tutto il loro teatro, la nouvelle vague del cinema, cose che mi hanno fatto capire dovessi rimanere lì. La Francia mi aprì un mondo, facendomi affacciare su studi e scoperte che non avrei immaginato. È sicuramente quello il posto che ha formato la mia visione delle cose, la mia tecnica dei quadri (i "tableaux", ndr) è nata lì.

Lì sei diventato una specie di istituzione. 

La Francia mi ha adottato e lì continuo a lavorare con grande piacere. Di recente abbiamo dato vita a questo nuovo show che ha già fatto tutta una tournée e riaprirà a giugno, per rimanere fino a fine Olimpiadi. Percepisco ci sia grande fermento per questo mio ritorno lì.

Sia in Francia che in Italia la televisione ha contribuito alla tua notorietà.

Assolutamente sì, la televisione è uno strumento fondamentale anche per portare le persone a teatro. Le sale negli anni non si sono riempite grazie al mio nome, ma prevalentemente per quello che la gente aveva conosciuto di me in Tv. Non la rinnegherei mai, la porto sempre con me come una grande medaglia. Inoltre è quello il luogo in cui mi sono avvicinato alla formazione dei ragazzi.

Grazie ad Amici senti di aver inciso sulla percezione comune di come guardiamo la danza e il musical in Italia?

Lo spero. Quando Maria mi ha cercato l'intento era quello. Mi disse che voleva fare qualcosa di diverso, avvicinare il pubblico anche alla danza oltre che al canto. Il mio focus era quello di riuscire ad arrivare al pubblico e farlo attraverso delle emozioni, cose vissute e riferimenti conosciuti.

Come hai incontrato Maria De Filippi?

All'epoca mia sorella Veronica già lavorava con lei. Io ero in Arabia Saudita per uno spettacolo e lei mi chiamò dicendo che Maria voleva parlarmi perché era alla ricerca di un direttore artistico che cambiasse le cose. Parlai con il braccio destro di Maria precisando che mi andava, ma che non ero in grado di fare televisione e che ci sarei andato portando ciò che sapevo fare.

Come andò?

La prima edizione fu complicatissima, ti senti un pesce fuor d'acqua perché non conosci molte dinamiche, però fu una grande scoperta, l'incontro con lei e la condivisione di tanti momenti che porto nel cuore.

Quel programma lo segni, sei stato il primo nome riconoscibile del dietro le quinte e Maria De Filippi non mancava mai di segnalarlo.

Sì, su questo è stata molto generosa ed è vero che me lo ritrovo ancora oggi, la gente per strada mi chiede quando torno. Mi pare anche che il programma sia rimasto in quel solco dopo che l'ho lasciato e mi fa piacere.

La tua accademia sembra una risposta alla scuola di Amici. Sei consapevole che a primo impatto appaia come una forma di concorrenza?

Amici è un format Tv prima di essere una scuola e la Tv fa la Tv. Che ci sia dietro un processo di formazione è una cosa bellissima, ma resta un programma televisivo e penso sia la cosa più importante che i ragazzi devono capire. Si tratta di un'esperienza di un tot di mesi in un micromondo molto specifico con dinamiche ben precise.

Il vostro può essere anche un percorso di preparazione?

Sì, per esempio si può concepire come una formazione per fare un talent. In nessun caso vuole essere concorrenza, non potremmo esserlo: non ci sono le telecamere, che cambiano tutto perché nessuno agisce davanti alle telecamere come quando non ci sta. Si tratta di una delle tante scuole in giro.

Vessicchio, Steve La Chance, Veronica Peparini, Andreas Muller: anche i docenti sono gli stessi.

Ma noi siamo persone con anni e anni di studi alle spalle da voler condividere con i ragazzi. L'intento è dare la possibilità ai ragazzi di formarsi bene per poi andarci a un talent. Lì ad Amici mi è capitato di avere ragazzi dotati ma senza la preparazione giusta. Uscendo da lì, se non continui a studiare non vai da nessuna parte. Pochi avevano già una carriera alle spalle, non erano tutti Javier.

Veronica e Giuliano Peparini
Veronica e Giuliano Peparini

Il coronamento definitivo della tua esperienza qui in Italia è il connubio artistico con Claudio Baglioni. L'evento live è più appagante della Tv?

Sicuramente lo è per me. In Tv le camere vanno, poi stacchi e quel che è fatto è fatto. Uno spettacolo dal vivo prevede un percorso, un viaggio che rende tutto più bello. Claudio poi è un uomo a cui piace molto condividere il palcoscenico e da noi, in Italia, è raro trovarne.

A produrre un tuo spettacolo nel 2012 era stato David Zard, storico produttore degli show di Baglioni. È stato lui il ponte che vi ha fatto conoscere?

Esattamente. Claudio è venuto a vedere Romeo e Giulietta cinque volte. La prima è stata per caso, convinto da Zard. Lui non è uno che esce tantissimo, racconta sempre di aver detto alla moglie che era piuttosto svogliato all'idea di venirci, ma tornato a casa era entusiasta e finì per venire a vederlo cinque volte. Quindi David ci fece poi conoscere, dicendoci che avevamo due teste che dovevano collaborare. David ha fatto la storia e gli ho anche dedicato una sala in accademia.

Di recente hai parlato di molestie nel mondo della danza e di essere tra i tanti che ne hanno subite. Come mai hai scelto di condividere queste esperienze?

Lo dico con franchezza, nel corso della conferenza di presentazione dell'accademia un giornalista mi ha fatto la domanda e io, come ho sempre fatto in vita mia, ho risposto con sincerità. Mi è successo a scuola, quando ero piccolo, in una circostanza che all'epoca mi sembrava normale, tornavo a casa e non dicevo nulla. Poi col tempo ho capito che non lo fosse. Non potevo immaginare uscisse fuori in modo così potente, ma io credo sia importante far sapere alle persone determinate cose, in fondo danno anche la percezione alle persone di chi sei tu.

Non ti ha dato alcun fastidio raccontare queste cose?

Mi hanno dato fastidio allora, quando ho capito non fossero cose normali. Voglio che la gente sappia che ci sono persone che le hanno vissute e non vogliono che gli altri le vivano. Penso che tutte le scuole qui a Roma siano già qualificate e fanno attenzione al problema. All'epoca, però, non era così. Ero ingenuo e dovevo stare zitto e fingere fosse tutto normale.

Quando dici che era "normale" lasci intendere fosse una questione di contesto. Per evitare che cose del genere accadano bastano le brave persone, o vanno riscritte le regole?

Le regole sono state già riscritte e molto bene. Purtroppo i predatori possono essere ovunque, dove meno ce lo si aspetti, adesso è importante che le persone che dirigono questi luoghi si assicurino di chi lavora con loro.

D'altronde è un contesto fragile, è un mondo in cui le dicerie, anche legate all'arrivismo, si producono con grande facilità.

Assolutamente sì, ma io penso che ai miei tempi e prima del fenomeno MeToo fosse tutto molto diverso, c'era una maggiore ingenuità. Io ricordo che anche mia sorella Veronica ha iniziato a 18 anni, ancora una ragazzina, eppure c'era gente che faceva avances, che veniva a citofonare sotto casa. Poi lei era una così tosta da fregarsene, non aveva interessi mondani e quindi il problema non si poneva per una sua mentalità precisa. Le dava anche fastidio che gli le contestassero di non partecipare agli eventi, ma lei credeva che se riusciva a fare una cosa era perché ne fosse capace.

Sei diventato un'istituzione all'estero e poi rientrato con grandi celebrazioni. Ti sei sentito respinto dall'Italia?

Sì, ovviamente. Questo purtroppo succede nel nostro lavoro, non c'è un periodo e un tempo preciso. L'artista vive così, dai grandi successi all'essere dimenticato, per poi uscire fuori di colpo. Io da piccolo sono andato via dall'Italia perché ricevevo molti no. Mi dissi che era giusto andare via e tornare al momento giusto. Ma succede ancora oggi, nella narrazione comune chi va fuori viene accusato di essere scappato via. Io continuo a fare cose fuori anche perché mi piace difendere l'Italia all'estero e so che lo fanno tante altre persone di altri mondi, medici, scienziati che diventano nomi all'estero e noi nemmeno lo sappiamo. Quello che conta, in fondo, è la soddisfazione personale, nel mio caso essere riconosciuto per meriti da un pubblico che non ti apprezza solo per chi sei ma per quello che fai.

Nel tuo mondo, con grandi ruoli di responsabilità, la severità sembra essere una prerogativa. Sei severo?

Sono estremamente esigente, attento ai dettagli, il classico rompiscatole e potete chiedere a Maria (De Filippi, ndr) che lo sa. Ma la mancanza di rispetto mai, è una questione di educazione e non è possibile che questo accada. Spero che anche questo possa essere un insegnamento per chi da me e dalla mia scuola imparerà questo lavoro. Quando sorridi alle persone e sei gentile, le persone lo riconoscono.

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