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Gerry Scotti, lo zio d’Italia: “In pensione a 70 anni? Mai detto. Dalla Rai nessuna proposta”

Un bilancio sincero sulla televisione italiana di oggi, i ricordi degli esordi ma anche il desiderio di non andare in pensione “finché mi diverto ancora”. C’è ancora tanta strada da fare per Gerry Scotti che a Fanpage.it rivela, a riguardo, di essere stato frainteso e non aver mai ricevuto proposte lavorative dalla Rai.
A cura di Andrea Conti
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A Fanpage.it uno dei pilastri della tv italiana traccia un bilancio sulla sua carriera e sulla televisione italiana di oggi. Gerry Scotti confessa che dalla Rai “mai avuto proposte lavorative di un certo tipo” e su un Sanremo con Amadeus: “Dei ragazzi di via Massena manco solo io, ma non sarebbe facile farlo coincidere con i miei impegni”. Ma anche alcune riflessioni sul Covid che l'ha colto impreparato e sul futuro, con una visione non pessimista ma disincantata della situazione attuale.

Nel 2013 disse di volersi ritirare a 60 anni, nel 2020 ha spostato l'asticella a 70. Oggi ne ha 65. Cosa le ha fatto cambiare idea?

Tengo a precisare che quando parlavo di 60 anni parlavo del mondo del lavoro e del fatto che debba garantire a una persona che ha lavorato per 30 anni di godersi la vita. È stata una affermazione sociale e welfare, non mia personale. Anzi, forse noi del mondo dello spettacolo non siamo autorizzati a parlare di lavoro e fatica. Non ci siamo mai ammazzati di fatica come fanno, ad esempio, gli operai o i meccanici. I limiti d'età cambiano a seconda di come ci sentiamo e adesso ho la consapevolezza che 70 è una bella asticella anche per chi fa questo mestiere.

Quindi potrebbe continuare a fare questo lavoro?

Ho la fortuna di fare un lavoro che comporta stress dietro le quinte, ma se c'è sempre un pizzico di divertimento in quello che fai credo si possa andare avanti all'infinito. Voglio continuare a farlo, ma anche dedicarmi alla mia famiglia, mia nipote, ai viaggi e ai miei hobby finché c'è la salute.

Nel 1982, Claudio Cecchetto le propose di diventare la prima voce di Radio Deejay. Il resto è storia. La radio oggi è peggiorata o migliorata?

Oggi le radio per la programmazione si affidano agli algoritmi. Questo non accadeva negli Anni 70 quando ascoltavi una stazione radio e capivi già qual era dalla musica che trasmetteva. Oggi mi capita di dover guardare bene il display per capire quale radio sto ascoltando. Credo che la ‘spersonalizzazione' sia il difetto più grave delle grandi radio nazionali. Forse le più piccole si discostano da questo trend, meno male.

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Dal 1983 ad oggi ha condotto e partecipato a oltre 100 programmi. Cosa le manca ancora?

La televisione sportiva me l'avevano proposta tante volte quando Raimondo Vianello non lo voleva fare più ed era un po' stanco. Volevano un personaggio del mondo del varietà e da allora ad oggi ci sono stati tantissimi esempi come Chiambretti, che adoro, e a seguire Brandi e Pardo. Parliamo di raccontare lo sport con la contaminazione del varietà. Io vorrei fare divulgazione, ma fatta in maniera leggera. Non voglio diventare come Piero Angela, sia chiaro, ma mi piacerebbe arrivare ai 70 per raccontare in mille modi diversi le storie dei paesi, dei territori, delle popolazioni e dei viaggi.

Insomma un inedito Gerry Scotti on the road?

Esattamente. Ho notato in questi giorni che in fin dei conti il mio lavoro – tranne i primi anni del Festivalbar – è sempre stato fatto all'interno di uno studio televisivo. Ecco, per i miei 70 anni mi regalerei un progetto televisivo tutto girato all'esterno in treno, per strada o in macchina.

C'è qualcuno di questi 100 programmi che non la convincevano? Cosa assolutamente non rifarebbe?

Essendo sempre stato in buona fede nei confronti delle persone con cui ho lavorato ai programmi e dei telespettatori, mi sembrerebbe poco elegante dire cosa non avrei fatto. Però posso dire che i programmi che mi hanno dato maggiore soddisfazione sono quelli per cui ho dovuto riflettere un po' di più per accettarli.

Ad esempio?

Quando mi proposero Deejay Television. Dissi a Cecchetto che in realtà volevo fare solo la radio… eppure aveva ragione lui. Grazie a quell'occasione tutti mi hanno conosciuto. Poi è arrivata Fatma Ruffini che mi propose ‘Il gioco dei Nove'. A lei dissi che avrei voluto fare la tv dei ragazzi, qualcosa che fosse figo… ‘e mi proponi il quiz alle sette di sera!'. Eppure ci aveva visto giusto. Ci ho ho messo due mesi per accettare di condurre ‘La Corrida'. Quando la moglie di Corrado, la signora Donato, mi ha fatto la proposta mi è caduta addosso una montagna. Ero bambino quando rientravo a casa col tram da scuola per ascoltare ‘La Corrida' alla radio. Non mi sembrava vero, non pensavo di essere all'altezza. Eppure è andata benissimo.

Quale proposta lavorativa l'ha sorpresa?

‘Caduta Libera'. Ero a Roma per condurre una quarantina di puntate di ‘Avanti un altro' su incarico dell'azienda e con l'ok di Paolo Bonolis. Non era mai accaduto a Mediaset che ci fosse un avvicendamento di conduttori su uno stesso format, quando in Rai già lo facevano. L'ho trovata una sfida divertente e stimolante. Durante la pausa, stavo bevendo un caffè con un dirigente che ha risposto ad una chiamata dalla Spagna. Cercavano qualcuno che andasse a Barcellona per condurre una puntata zero nel weekend di un format nuovo e fortissimo. Chiusa la telefonata mi è stato chiesto se mi sarebbe piaciuto andare in Spagna. Era ‘Caduta Libera', ad oggi abbiamo girato oltre duemila puntate. Insomma, quando si dice che le cose sono nell'aria.

“Tu Si Que Vales” è uno dei programmi di punta di Canale 5. Uno dei motivi del successo è anche la sua presenza. Cosa piace di questo show?

Con Maria De Filippi abbiamo una stima reciproca e una frequentazione speciale. Lei è di poche parole, non si lascia molto andare a espressioni stima e affetto, ci scambiamo due messaggi all'anno, ma ci vogliamo davvero bene. Uscivo dalla grande epopea de ‘La Corrida' che era andata alla Rai. La Rete ha proposto a me e Maria un programma a metà tra un people e talent show. Allora andava forte ‘America's Got Talent'. Abbiamo girato la puntata zero in un teatro a Milano a Porta Romana che è andata talmente bene che è andata in onda. Eravamo io, Maria De Filippi, Geppi Cucciari e Rudy Zerbi. Nascono così prima ‘Italia's Got Talent' e poi ‘Tu si que vales'. Lo scheletro della giuria è formato da me, Rudy e Maria e si è creata una alchimia magica, tra personalità totalmente diverse tra loro. E succede anche con Sabrina Ferilli e Teo Mammucari. Credo che ‘Tu si que vales' sia il varietà più innovativo, moderno e seguito.

Lo scorso aprile è scomparso Piero Sognaglia, storico assistente di studio di Maria De Filippi e dei programmi della Fascino, ma anche co-protagonista della Scuderia Scotti a ‘Tu si que vales'. Qual è il suo ricordo?

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Il mondo della tv è fatto anche di persone e di rapporti umani. In questi anni di lavoro ho voluto bene e stimato macchinisti, elettricisti, sarte, parrucchiere, cameraman e soprattutto gli assistenti di studio, perché sono il nostro tramite con la regia e il programma. Piero era il nostro punto di riferimento. Tutto ciò che accadeva sul palco passava attraverso la comunicazione di Piero. Nel mio caso per otto anni ha guidato l'ape o il trenino per la Scuderia Scotti. Si divertiva un mondo ed era uno dei momenti che aspettava con la luce negli occhi, come un bambino. Purtroppo non c'è più e pensare che dovremo registrare nelle prossime settimane i momenti della Scuderia senza di lui, mi riempie il cuore di un dolore enorme. Non so come farò a superare questo enorme ostacolo, ne parlerò con gli autori e vorrei urlare il suo nome lo stesso.

Ogni anno si fa il tuo nome sul palco con Amadeus a Sanremo. Come mai non è ancora successo?

In Rai se avessero voluto costruire un rapporto con me, negli anni passati, avrebbero potuto fare offerte di lavoro di un certo tipo. Non è mai accaduto. Nelle tre edizioni del Festival di Sanremo ‘i ragazzi di via Massena' (la sede di Radio Deejay, ndr) ci sono passati tutti e manco solo io. Sarà preoccupazione di Amadeus invitarmi alla prossima occasione per porre riparo all'errore (ride, ndr). Scherzi a parte, al Festival non potrei andare come co-conduttore o conduttore perché le stagioni televisive non coincidono mai con i miei impegni. Se avessi il carrozzone da gestire non potrei farlo e Mediaset dovrebbe darmi un anno sabbatico per riuscire a organizzare il Festival. Non avrei problemi invece a strappare un permesso per andare come ospite.

Il successo di Passaparola fu rappresentato anche dalle Letterine. Da fine anni 90 ad oggi è cambiata la percezione della donna in tv. Secondo te è giusto sia avvenuto?

La risposta è nella domanda. ‘Passaparola' è stato l'ultimo baluardo del varietà e dell'intrattenimento come si faceva una volta. È stato un successo enorme. Dalle ragazze che apparentemente ricoprivano solo il ruolo di Letterina è nata una specie di scuola che ha forgiato donne emancipate, dove ognuna è riuscita nel proprio lavoro. Cito Silvia Toffanin meravigliosa padrona di ‘Verissimo", abbiamo un rapporto tra fratello maggiore e sorella, e la stessa cosa vale per Ilary Blasi. Insomma parliamo di figure femminili che sono moderne e oggi tante cose sono cambiate in televisione. Dal nuovo millennio, io non ho più avuto figure di assistenti nei miei programmi, faccio tutto da solo. Altri non hanno rinunciato e non li biasimo. Ma i tempi sono cambiati.

Silvia Toffanin e Ilary Blasi quando erano letterine di Passaparola
Silvia Toffanin e Ilary Blasi quando erano letterine di Passaparola

C'è la parità di genere in tv?

Assolutamente sì. In un Paese in cui ci sono ancora differenze di stipendi tra uomini e donne, in cui non c'è la parità di genere in molti ambiti, la televisione – sebbene non sia una maestra perfetta, anzi viene facile chiamarla una cattiva maestra – ha preceduto tutti. Oggi abbiamo conduttrici ma anche nel quadro dirigente donne di successo che comandano, guadagnano e pretendono (giustamente) di guadagnare al pari degli uomini.

Cattelan è passato da Sky alla Rai e Da Grande non ha avuto gli ascolti desiderati, Serena Rossi a Canzone segreta non ha sfondato. Perché le ‘nuove leve' fanno fatica?

E stiamo parlando di due che sono molto bravi. Cattelan lo avevo invitato anni fa ad uscire dalla comfort zone delle pay tv che hanno un pubblico di riferimento di nicchia e sono autocelebrativi. Sono capsule – per utilizzare un termine del mondo della moda – dove si fa andare bene tutto dalla genialità alla provocazione, ma l'audience rappresenta un rischio. Rispetto alle nuove generazioni, secondo me quello che manca un po' è la gavetta, però è talmente vecchio questo concetto e termine che forse i ragazzi che ci leggono non sanno cosa sia la dura esperienza. A questo forse hanno contribuito anche il mondo dei media e dei social media che fa apparire facile una strada che in realtà è molto più complicata.

I suoi genitori la volevano avvocato, poi ha scelto la radio e la televisione. Tornando ai suoi 18 anni, con sulle spalle l'esperienza di oggi, cosa farebbe?

Esattamente le stesse cose che ho fatto, non ho rimpianti. La vita in periferia, il Liceo Classico e tutto il resto. Forse avrei patito meno ansie e paure se mio papà avesse assecondato il mio volere frequentare la facoltà di Architettura anziché Giurisprudenza. Se lo avesse fatto assai probabilmente oggi avremmo un architetto in più e un Gerry Scotti in meno in tv.

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L'8 novembre 2020 è stato ricoverato in terapia intensiva per Covid. Che cicatrici porta da questo evento terribile?

La vita arriva senza che ti iscriva alla sua scuola. Nel corso della mia esistenza, ho avuto diverse malattie, come tutti, tipo una gamba rotta, l'appendicite, una caduta in moto. Nulla di grave e, proprio per questo, arrivare a vedere il reparto di terapia intensiva mi ha colto totalmente impreparato. Ho passato tredici giorni in ospedale a pensare a tutte le cose che mi sono accadute e ho ringraziato il Signore ogni giorno per tutto quello che mi ha dato.

Sei nonno di Virginia, cosa auguri a lei e alle generazioni future che si sono ritrovate già in mezzo a pandemia e guerre?

Mio papà e i miei nonni volevano darci un mondo migliore di quello che avevano vissuto loro e ci sono riusciti. Sono diventato grande sperando di dare a mio figlio un mondo migliore, ma non sono certo di esserci riuscito. Mio figlio guardando Virginia non so se potrà darle un mondo migliore. Non è pessimismo, ma è il mio sguardo totale di chi ama e mi porta a dire che non so se tutto ciò che verrà sarà molto meglio di ciò che abbiamo vissuto. Come diceva il grande Ennio Flaiano, prendendo in giro la gente: ‘Coraggio, il meglio è passato'. Speriamo la guerra in Ucraina finisca prima possibile.

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